ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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NON VOGLIO MORIRE - Sassofoni e camere a gas

28/7/2014

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Da quando canto in un coro gospel mi sono avvicinata al jazz con la lente d’ingrandimento. Sì, lo conoscevo anche prima, ma adesso che lo studio dei ritmi è diventato più accurato, jazz, blues e swing hanno ottenuto un posto d’onore nei miei timpani. Cerco di “sentirli” più che ascoltarli e non c’è nulla di facile in tutto ciò.
Per questo i primi istanti di I Want to Live (un titolo che inneggia alla vita, tradotto in italiano in maniera più vicina alla paura che al coraggio) mi colpiscono a fondo. In questo film c'è qualcosa di sconvolgente, sin dal principio. Un jazz durissimo e indiavolato ci accompagna nella storia, creando un’atmosfera torrida di piedi che scalciano, mani che battono, bocche che soffiano disperate negli strumenti a fiato e fragore di piatti. 
Siamo in una sala da ballo, teste scosse dal ritmo si muovono in una lingua di fumo, i bicchieri scivolano sui tavoli come ballerini in pista e i portuali se la spassano con le ragazze – seagull, le gabbiane, quelle bellezze dal fare spiccio che bazzicano nei locali e vendono notti di piacere. Barbara Graham (Susan Hayward) è una di quelle e la sua è una storia vera: il film si basa sulle testimonianze, la corrispondenza e i diari di una donna realmente esistita. Scoveremo poi qualche pennellata romanzesca di Robert Wise, ma per ora conosciamo Barbara per come ci è presentata.
Capelli e carattere infuocato, rude, aggressiva e brava a sfoderare gli artigli. Ciondola per i bassifondi al braccio del primo che capita ed è solita mettersi nei guai: conosce bene il carcere e ha esperienza in materia di pugni, ne ha presi la sua parte. Un tipo noto alla polizia e impenitente nei suoi giochi pericolosi. La sua “condotta amorale” le costa spesso la reclusione assieme ad altri piccoli reati occasionali. Poi?
Poi la solita storia, ogni volta. Barbara torna a piede libero e guarda i buoni consigli con fare sprezzante, dice “cambierò vita” senza alcuna convinzione e ricade nel solito baratro. Si sposa a cuor leggero come ha già fatto altre volte, rimane persino incinta, ma nulla può strapparla al crimine. Quando viene picchiata dal marito tossicodipendente, è costretta a uscire e raggiungere i suoi amici ad alto rischio: avanzi di galera dall’aria un po’ complice che la usano come esca per truffe d’ogni tipo. A Barbara sta bene, ruggisce, insulta, impreca, sfida il fato, si scatena col jazz, si lascia acchiappare dalle braccia dei marinai. E una notte, come prevedibile, la polizia irrompe nel covo della banda e anche la rossa gabbiana ne paga le spese. Perché i suoi complici sono accusati di omicidio e lei non ha uno straccio d’alibi per la notte del delitto.
Così si presentano i gradini di una scala a chiocciola che conduce all’inferno. Ogni gradino è carcere e nervi.
Carcere, con le sue sbarre insormontabili e le giornate passate a macerare nell’indolenza.
Nervi, per la focosa Barbara che non smette di pestare, calciare, aggredire e “farsi furba”. Furba sì, ma non abbastanza, specie quando decide di procurarsi un falso testimone per la notte dell’omicidio. Il complice la ascolta, si accorda con lei e infine si presenta a processo per affossarla. Perché quell’uomo è un agente di polizia e Barbara è cascata in pieno nel tranello: per lo stato della California, la aspetta la camera a gas.
Un film obliquo nella sua fotografia affascinante e carico di sfaccettature. Barbara è innocente ma paga caro il prezzo della sua incoscienza, diviene ritratto di una realtà ruvida e indomita, di donne cresciute a fame, schiaffi e jazz. Sa essere madre con potenza leonina e rassegnazione di condannata a morte, subisce l’attacco famelico degli avvoltoi della stampa senza potersi difendere. La Hayward imprime al film un’unghiata di grinta e rabbia, non c’è ombra di sete di giustizia nel cuore di coloro che sono nati spacciati.
Barbara si sente condannata da sempre, dichiara guerra ai poliziotti, non può fidarsi degli amici, odia le gabbie ma è abituata a viverci dentro. Attorno a lei gravitano microscopici ambasciatori di speranza: lo psichiatra, il giornalista, il sacerdote, l’infermiera. Ognuno di loro cerca di accarezzare la belva, ma la belva appartiene al suo destino.
La vera Graham (Bloody Babs, così definita dalla stampa) fu condannata per un crimine che aveva commesso, mentre il film ritrae un’innocente. L’evidente intento di Wise è quello di muovere un’accusa verso la pena di morte; per questo ogni meticolosa scelta mira a mettere in luce l’umanità. Una donna con un bambino, preda per giornalisti, pedina sfortunata di un gioco superiore, appesa a un filo e irrecuperabile.
Assolutamente impareggiabile l’ultima mezz’ora di film, dove il ritmo del mio cuore ha raggiunto le stelle. Pathos puro, un calvario straziante che passa dallo schermo allo spettatore in un doloroso rimbalzo.
Onnipresente è il jazz, un ritmo vivo mentre la morte si avvicina.
E come il jazz, questo film è da “sentire”.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection

Scheda tecnica

Titolo originale: I Want to Live!
Anno: 1958
Durata: 120'
Regia: Robert Wise
Sceneggiatura: Nelson Gidding e Don Mankiewicz
Musiche: Johnny Mandel
Attori: Susan Hayward, Simon Oakland, Virginia Vincent, Theodore Bikel

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OSSESSIONE DI DONNA - Il diavolo alla fattoria

22/5/2013

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Una delle mie principali soddisfazioni è cimentarmi coi lavori da uomo. Mi piace giocare a indovinare “l’uomo che sarei” e credo di aver individuato il mio profilo maschile: io sono “il distruttore”. Tutta la mia abilità manuale di stampo maschile risiede nello smontare elettrodomestici. Faccio accurate autopsie all’aspirapolvere e riesco a ridurre in microscopici cubetti anche il lettore Dvd. Nessuna di queste attività ha una finalità: semplicemente, sfido l’uomo che è in me a svitare ogni minuscolo componente degli elettrodomestici e ricostruire tutto senza sbagliare. Di solito, nella fase “ricostruzione”, fallisco in modo più o meno evidente. Non c’è da stupirsi, d’altronde. Ve l’ho detto: io sono un uomo “distruttore”.
Allontanandoci dalla distesa di viti e rotelle sacrificate alla mia esigenza di “fare l’ometto di casa”, potremmo imbatterci in una donna che ha disperata esigenza di fare “l’uomo di casa” e lo fa sul serio: certo, lo fa con una zazzera rosso fuoco e il viso pieno e gioioso di Susan Hayward, nella fattoria alle porte del bosco.
Quel bosco strappa a Mary Sharron (Susan Hayward) il giovane marito, risucchiandolo in un vortice di fiamme. Il piccolo Robbie, eredità del loro amore, cresce curioso verso gli animali, legato alla tomba verde del padre e impaurito dai trabocchetti che gli alberi sanno celare. La piccola fattoria, pur resistendo alle intemperie, piange l’assenza di un padrone di casa. Mary si occupa di Robbie, si affanna tutto il giorno, ha i nervi frantumati e i suoi sospiri, in quel letto immenso e vuoto, diventano ogni giorno più profondi. Nemmeno l’annuncio per la ricerca di un garzone sembra portare braccia forti a quel piccolo e operoso nucleo d’amore, isolato dal resto del paese: fra l’arrivo di piccoli conigli bianchi e i primi fiori in boccio, la vita corre a fiato corto e manca puntualmente di una parte.
Poi l’alba, una mattina come le altre; Mary si è coricata stremata la sera prima e sta dormendo: di colpo il suono ritmico della legna spaccata all’esterno fa capolino alla finestra e la riporta indietro coi ricordi. Sembra davvero che un uomo sia tornato alla fattoria e si sia rimboccato le maniche. E ho una bella notizia per tutti voi (che un po’ ci speravate, lo so): non è un sogno, è Fred Carter. Ragazzone rude e taciturno, fa girare la testa a tutte le ragazze del paese, non gode di buona fama e lotta perché il suo passato rimanga nell’ombra. Ha il corpo possente e il volto sensuale di Stephen Boyd. Cerca lavoro, ha forza da vendere.
Per l’inquieta Mary è il prologo di ciò che sembra a tutti gli effetti un miracolo. Mentre Carter si occupa dei lavori pesanti, essa riscopre la sua freschezza di donna e la sua tenace cura per la casa, e non fa mancare al guardaroba un nuovo tessuto celeste col quale confezionare abiti alla moda. Sospinta dalla curiosità e sempre più incapace di comunicare con l’uomo misterioso e bellissimo che è venuto a salvarla, Mary decide di affidarsi alle voci di paese e affondare le mani nelle dicerie locali. Carter è stato sposato con una poco di buono, lei è morta qualche anno prima, tutte le ragazze del posto sembrano aver diviso il letto con lui e nessuno ha buone parole da spendere sul suo conto. Ma il cuore di una donna è spesso irragionevole e ci sono tutti gli elementi per innamorarsi di un delinquente gentiluomo. Frattanto, il tempo trascorso alla fattoria ingentilisce i modi bruschi da ragazzone di campagna di Carter, e il suo affetto verso il piccolo Robbie sembra l’ultima conferma di un crescente presagio: Carter è un uomo di fatica ineccepibile e può diventare all’occorrenza un buon papà.
Il secondo matrimonio di Mary s’impone sulla scena e scaraventa all’istante il piccolo Robbie in una nuova vita di terrore. Perché Carter è un uomo di fatica ineccepibile, ma siamo sicuri che possa diventare un buon papà?
L’indole violenta e prepotente dell’uomo viene a galla, il sangue si contrappone alla tenerezza del mondo infantile. Il diavolo è in fattoria, nella persona di un bifolco ottuso e aggressivo che non è riuscito a chiudere i suoi conti col passato.
A Mary, sfiorita e segregata in se stessa, spetta il difficile compito di difendere il suo unico figlio e fare buon viso a pessimo gioco. Volano insulti e schiaffi sullo sfondo del nido d’amore divenuto anticamera del mattatoio.
Ossessione di donna è un dramma addolcito dall’istinto di mamma; un vivido Technicolor per una storia a tinte cupe, con fotogrammi di vita degli animali del bosco che sembrano fiutare i sentimenti dell’uomo. È la struggente immagine di una tormenta di neve dove Mary e Robbie avanzano ancorati l’uno all’altra: due vite fragili precipitate in grembo alla violenza.
E se domani dovessi svegliarmi e accorgermi che qualcuno sta avvitando bulloni al posto mio, non esiterò a mandarlo via in malo modo.
Qui c’è posto per un solo distruttore e quel distruttore sono io.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Woman Obsessed
Anno: 1959
Durata: 103 min
Regia: Henry Hathaway
Sceneggiatura: Sydney Boehm (dal romanzo di John Mantley)
Fotografia: William C. Mellor
Musiche: Hugo Friedhofer
Attori principali: Susan Hayward, Stephen Boyd, Dennis Holmes, Theodore Bikel

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