ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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MERLETTO DI MEZZANOTTE - Rosa inglese in pizzo nero

21/11/2013

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A costo di sembrarvi una psicolabile ubriaca di film vintage noir, sono a raccontarvi l’inquietante “questione dell’indiano”, un mio recente traguardo nel campo della smodata immaginazione poliziesca. L’indiano è un uomo dinoccolato, veste di rosso, ha capelli piuttosto lunghi e cammina tutto il giorno nel mio quartiere. Percorre il solito quadrilatero di portici, poi scompare nel nulla. Sin dalla prima volta in cui l’ho incrociato, ho provato l’istinto di darmela a gambe. Ha un’innata tendenza a pedinarmi: ho cercato di convincermi che non ce l’abbia con me, ma i suoi piedi incrociano troppo spesso le mie traiettorie. 
Ebbene, l’indiano sconosciuto non si limita a camminarmi appresso, ma mi parla in continuazione. Si rivolge a me come se mi conoscesse e intavola lunghi monologhi pressoché incomprensibili facendomi sveltire il passo. Così ho temuto l’indiano per giorni e giorni, fin quando non l’ho visto solo, al parco pubblico. E mi sono accorta che l’indiano in questione ha un piccolissimo auricolare nell’orecchio e parla al telefono con qualcuno, mentre passeggia.
D’accordo, ve lo concedo, sono un tipo piuttosto impressionabile. Ma sentirsi seguiti da qualcuno è sempre spaventoso. Specie se una vocina gracchiante alle tue spalle ti promette di ucciderti di lì a qualche giorno.
In una nebbiosa Londra, nella sua pelliccia bianca e col viso da bambina scempiato dal terrore, Kit Preston (Doris Day) fugge correndo dal suo invisibile inseguitore. Giovane, bella, ricca americana sposata a un finanziere britannico e alle prese con la nuova vita londinese: per la frivola Kit è difficile misurarsi con un boia sconosciuto che si muove nelle tenebre e dietro lo scudo della cornetta telefonica. Dentro casa, l’affascinante marito Tony (Rex Harrison), riesce a lenire le sue paure con la promessa di romantici viaggi a Venezia e il patinato, ordinario bon ton inglese prende il sopravvento sul resto. Kit sfoggia cappellini magnifici, gira la città con curiosi occhi da turista e cerca di svagarsi con acquisti sfrenati da mettere sul conto del marito. Inclusa la finissima e provocante vestaglia di pizzo nero “Merletto di mezzanotte”, un capo così sottile e prezioso da sembrare fatto d’aria.
Puntuali, le telefonate minatorie tornano a tormentarla e il suo allegro e polposo sorriso si dilegua. Il misterioso persecutore è di certo un uomo e l’altalena dei sospetti inizia a dondolare: potrebbe essere il bel Brian Younger (John Gavin), direttore dei lavori che interessano un ponteggio lì accanto, o il figliol prodigo di Nora, la governante, sempre a caccia di soldi. Solo l’inquilina del piano di sotto Peggy e la zia Bea Vorman (Myrna Loy) venuta in vista dall’America sembrano creare un sottile filo di alleanza femminile con Kit. Ma non è sufficiente, nella spigolosa Londra delle nebbie imperscrutabili.
Kit, da dolce ed effervescente sposina straniera, muta in una moglie lacrimevole e nevrotica: tenta vanamente di spiegare al marito la natura delle sue paure, ma si riduce a un’icona della fragilità femminile gettata in pasto al pericolo. Nessuno le crede, un preconcetto silenzioso aleggia sui visi di coloro che la circondano. Potrebbe trattarsi di un modo per attirare le attenzioni del marito: niente di più facile per una ragazza viziatella appena arrivata in città.
Così gli uomini attorno a lei assumono via via un profilo più minaccioso. Il telefono continua a squillare promettendo morte e Kit vive sempre sull’orlo del pianto, esasperata.
Se deciderete di seguire le disavventure di questa sposina americana non ancora pronta per diventare una “rosa inglese”, fatelo con l’occhio divertito di chi ama insaporire il giallo con un pizzico di commedia. Presenziano nel film gli elementi di terrore e romanticismo dei romanzi alla Ursula Curtiss, che hanno scritto la storia del mistery al femminile. 
Il maschio diventa belva e cacciatore, adombrando completamente il ruolo della giovane, biondissima, spensierata protagonista. Facile credere Kit preda dei nervi scossi, difficile accordarle fiducia. L’uomo è rappresentato come una rude identità criminale, pronta all’attacco, senza cuore. Diversamente è assente ed egoista, o non svela abbastanza del proprio trascorso. La donna, dal canto suo, ha le sembianze della piccola Kit: indossa eleganti cappellini, può curare ogni male con una borsetta nuova, elemosina attenzioni e svanisce come un puntino nel buio della notte, nell’eco di minacce, nell’indifferenza e nella chiusura di una città ostile. Dunque, seguendo la trama deliziosa di questo merletto, sposiamo implicitamente la causa di Kit.
Riuscirà la bionda mogliettina americana a smascherare il suo nero persecutore inglese?
Non vi anticipo nulla, rivelarvi il finale sarebbe crudele.
E poi ho già perso tutta la vostra stima, raccontandovi dell’indiano.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Midnight Lace
Anno: 1960
Durata: 108'
Regia: David Miller
Soggetto: Ivan Goff, Ben Roberts
Fotografia: Russell Metty
Musiche: Frank Skinner
Attori: Doris Day, Rex Harrison, John Gavin, Myrna Loy, Roddy McDowall, John Williams

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LA SETTA DEI TRE K - La morte vestita di bianco

29/10/2013

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L’estate finisce qui. Per me, circondata dall’incantevole illusione del bianco e nero, l’estate non esiste nemmeno: la trascorro invocando l’autunno, viaggio pochissimo in questo periodo dell’anno. Preferisco partire con una valigia insufficiente e un freddo che penetra le ossa, nei giorni della neve.
Di tutti i miei strampalati viaggi ricordo un’avventura in pullman con destinazione Amsterdam. Incalcolabili ore di viaggio schiacciata su un sedile microscopico e la peggiore delle persecuzioni: una giovane coppia desiderosa di fare amicizia proprio con me, proprio su quel pullman, proprio dirigendoci in Olanda. Ho subito la loro asfissiante compagnia durante tutto il viaggio e alla richiesta finale (“vogliamo scambiarci i numeri di telefono?”), ho risposto candidamente “no”. Così semplice e preziosa, la verità detta a voce alta.
Vi ho trascinati sul pullman che andava in Olanda, ma ora vi chiedo di scendere e salire su un altro pullman, quello diretto a Rock Point. La vettura traballa sulla strada, c’è una notte da lupi fuori dal finestrino e la fotomodella Marsha Mitchell (Ginger Rogers) ha fretta di raggiungere la sorella e il suo neomarito, a Rock Point. Pratica e schietta, Marsha non è il tipo che gongola di fronte alle attenzioni maschili, e viaggia sola senza temere insidie. La vediamo scomparire nella desolazione della Rock Point notturna, portandosi appresso una valigia. 
Le insegne si stanno spegnendo una dopo l’altra e nessuno ha tempo da perdere con Marsha: il barista la liquida alla spiccia, il tassista le nega un passaggio, di lì a poco le strade si spopolano del tutto e ognuno si barrica in casa. Sono nitide illustrazioni di un libro dell’incubo. Per qualche istante seguiamo Marsha sul marciapiede, poi tratteniamo il fiato con lei appiattendoci contro un muro: dietro l’angolo è comparso un gruppo di figure vestite di bianco. Indossano lunghe tuniche, cappelli a punta, cinture di corda. La setta si avventa su un uomo e lo abbandona senza vita a pochi passi da Marsha. Per lei, nascosta e paralizzata dal terrore, è tempo di guardare in faccia gli aggressori. Quando uno di loro si toglie il cappuccio, la donna imprime nella memoria quei lineamenti e si ripromette di consegnarlo alla giustizia.
Se Marsha è la spaventata custode di un segreto di sangue, la sorella Lucia è una ventata di primavera. Una virginale Doris Day sul punto di sbocciare, disarmante per candore e ingenuità, bellezza appena accennata sotto la divisa da cameriera e nel taglio sbarazzino dei capelli. Lucia lavora in un locale di Rock Point dove ha dato appuntamento alla sorella. Non appena vede entrare Marsha, le getta le braccia al collo e le rivela la grande novità: aspetta un bambino dal marito Hank (Steve Cochran). Marsha le regala un sorriso sforzato, nonostante le sue nuove afflizioni da testimone oculare. Ma c’è un’America sporca, provinciale e corrotta tutt’intorno. Il nido d’amore di Hank e Lucia, poche stanze modeste arredate alla buona, non è un rifugio sicuro per la sorella che ha visto troppo. Specie quando si trova a stringere la mano al cognato, riconoscendo in lui l’assassino che ha visto emergere dal cappuccio poche ore prima.
Coro di voci drammatiche e di tensioni che si addensano: c’è l’ostinazione di Marsha, decisa ad aprire gli occhi alla sorella e puntare il dito su Hank, ci sono i tentativi di Hank per tenere l’equilibrio sul filo del ricatto morale, c’è una fragilissima Lucia determinata a difendere il marito e aggrappata al bambino in arrivo. C’è, come prevedibile, il poliziotto buono. 
Ronald Reagan è il detective Burt Rainey; il futuro presidente affronta lo schermo in un ruolo che sintetizza la speranza dei giusti. Una speranza piccola, quella del poliziotto in gamba che cerca di opporsi alla furia del Klan, insidiando l’omertà dei compaesani: così Rock Point diventa il fulcro di una denuncia sociale e il film afferra temi scottanti senza scontare la pena a nessuno. 
La stampa invade il piccolo centro, pungente e petulante. Ogni abitante di Rock Point è un soldato dell’indifferenza, insabbia i nomi dei colpevoli per salvarsi la pelle e non collabora mai lealmente con la giustizia, ma tende a stringere pericolose alleanze. Non c’è nemmeno un fiammifero, per fare luce nel buio aggressivo dei membri del Ku Klux Klan: Marsha Mitchell è l’ennesima pedina scaraventata alla deriva da un popolo di mostri. E l’America? Ne esce sconfitta, meschina e falsa moralista; una giostra di distorti eroi che si fanno giustizia da soli, senza pietà per le vittime. 
Razzismo e teorie cospiratorie allungano i tentacoli sui semplici e gli innocenti, in un magistrale crescendo fino alla scena finale, che strizza l’occhio all’aspetto più turpe dell’esoterismo e alla ferocia di un’alleanza terrena tesa a potenziare la malvagità collettiva.
Su alcuni pullman è necessario salire con la propria valigia insufficiente. Ma per chi insegue la verità, la prossima fermata potrebbe essere fatale.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Storm Warning
Anno: 1951
Durata: 93'
Regia: Stuart Heisler
Sceneggiatura: Richard Brooks, Daniel Fuchs
Fotografia: Carl E. Guthrie
Montaggio: Clarence Kolster
Musiche: Daniele Amfitheatrof
Attori: Ginger Rogers, Ronald Reagan, Doris Day, Steve Cochran, Hugh Sanders

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