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TORINO 33 - Keeper, di Guillaume Senez

1/12/2015

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​Maxime e Mélanie hanno 15 anni e stanno insieme. Quando lei comprende di essere incinta Maxime, dopo un'iniziale incredulità, si sente appagato dall'idea di un bambino in arrivo, mentre lei ci impiega un po' a prendere la decisione di non abortire. Decisione che deve fare i conti con l'ostilità della madre single di lei e con la rinuncia, da parte del ragazzo, alla strada che potrebbe aprirglisi di fronte, ovvero diventare un calciatore -portiere- professionista. L'apprestarsi a essere genitori così presto è qualcosa di gravoso; incertezze, passi falsi e influenze peseranno sui due.
Dopo essere passato a Locarno e Toronto, Keeper (titolo fondato su due significati del termine, “custode” e, in gergo calcistico, portiere) è stato inserito in concorso anche a Torino, aggiudicandosi il premio come miglior film. In effetti si tratta di un lavoro pregevole, dotato di leggerezza e di un'apprezzabile dose di pregnanza drammatica allo stesso tempo.
Senez – anche co-sceneggiatore – ci immette da subito nella vita dei due e nel loro essere coppia, tra effusioni e discussioni. Ma è proprio Maxime, il keeper del titolo, il personaggio seguito maggiormente. Se Mélanie, come ovvio, vive sul suo corpo la scelta di portare avanti la gravidanza – passando dall'impegnativa difesa di fronte alla madre allo sfogarsi per il sentirsi perennemente stanca a gestazione avanzata, con nel mezzo la felicità del momento della radiografia e della scoperta del sesso (maschile) del nascituro: chiaro quindi che non è un personaggio trascurato – , Maxime si trova paradossalmente ad abbandonare un sogno non più solo personale, in quanto assicurazione messa sul piatto per un futuro a tre, per stare insieme nell'immediato alla ragazza amata, in un momento cruciale nel quale necessita un supporto.
La convivenza dei due sotto il tetto dei genitori di Maxime, dopo una permanenza di lei in una casa per ragazze madri, non costituisce però uno scivolo sereno verso un happy end. Perché nell'ultima parte c'è un punto di svolta imprevisto che vira Keeper verso una gradazione più seria, e leva l'aura di bello che l'avventura dei due, ma anche il loro essere giovani, “carini” e innamorati, poteva ancora avere.
C'è poco da fare: i due neogenitori sono ancora maledettamente giovani e non indipendenti, con il carico di elementi positivi e negativi che questo comporta. Negativi come il fatto che arriva qualcun altro, si suppone più maturo e pragmatico, a prendersi carico di qualcosa che i due hanno cercato di rendere il più possibile una questione loro. Di fronte a ciò, a nulla possono gli “È mio” del giovane padre di fronte all'operatore del consultorio: logici, ma non pesano abbastanza. L'idealismo della coppia si rivela definitivamente debole di fronte a una realtà che a confronto è sicuramente spiacevole, frustrante e gretta. Maxime e Mélanie ne escono sconfitti, la loro relazione incerta.
Tutto questo viene fuori senza discorsi né aria da teorema (e togliendo al film ipotetici sospetti di conservatorismo) ed è narrato da Guillaume Senez con un naturalismo “autoriale”, in cui la testa sembra prevalere leggermente sul cuore; ma niente di grave, perché se non si entra davvero nei personaggi si accede comunque al loro mondo e in moderata misura si partecipa; il momento registicamente più marcato e che più esula dallo stile generale del film è quello che accompagna una svolta, quando nel disco pub la camera rimane a lungo sul volto serio di Mélanie che, seduta, medita una scelta.
L'ultima sequenza, in cui Maxime può finalmente vedere e tenere, in modo incerto, tra le braccia quel bimbo che è stato il centro di tutto ed è anche “cosa” sua, ma che è difficile sentire davvero tale – per la distanza fisica subito ripristinata col piccolo e per l'enormità del concetto di essere padre – funziona. Ma volendo segnalare un altro momento anche più riuscito, c'è la scena in cui il ragazzo si allena a parare insieme al padre, con una rabbia che è gioventù, l'imporsi di mettercela tutta e il sentire tutto il presente e il futuro sulle spalle.
Il personaggio della madre di Mélanie (Laetitia Dosch, emozionata fino alle lacrime durante la presentazione a Locarno) donna vissuta e decisa che è già passata per un'esperienza simile a quella della figlia e quindi la prende in malo modo, è al limite del programmatico nella sua antipatia ma efficace nel dare emotività a sequenze come quella del dialogo tra adulti e ragazzi riuniti. E sono giusti i due giovani protagonisti, Galatea Bellugi e il promettente Kacey Mottet Klein, già ammirato nell'ottimo Sister di Ursula Meier, calati in modo del tutto convincente in personaggi che suscitano simpatia, empatia e (consapevole) irritazione.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Torino 33


Scheda tecnica

Regia: Guillaume Senez
Sceneggiatura: David Lambert, Guillaume Senez
Fotografia: Denis Jutzeler
Montaggio: Julie Brenta
Cast: Kacey Mottet Klein, Galatea Bellugi, Catherine Salee, Laetitia Dosch
Anno: 2015
Durata: 95'

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