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TORINO 32 - The Duke of Burgundy, di Peter Strickland

25/11/2014

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La padrona e la serva. La dominatrice e la schiava. Il possesso e l'umiliazione. Un gioco eccitante, perverso, morboso, che di giorno si reitera all'infinito e di notte si quieta, lasciando il posto al vero amore. Cynthia ed Evelyn si vogliono bene sul serio, ma la loro relazione si fonda sull'eterna coazione a ripetere, facendosi continuo strumento di obbligato rispetto dei rispettivi ruoli. Perché dietro al teatrino si nasconde l'inquieta ombra della noia, con le sue fauci spietate; in essa alberga il pericolo dell'allontanamento, della distrazione, del tradimento.
Senza il gioco della dominazione non ci può essere l'amore, e viceversa; ma quando la recitazione perde di convinzione, il meccanismo in essa contenuto si sfalda, trascinando con sé la polvere di una convivenza troppo poco solida per poter reggere l'onda d'urto. Così la quotidiana eccitazione si trasforma in forzatura, distacco, fastidio. Punire la schiava per non aver lavato bene le proprie mutandine non basta più; sedersi sulla sua faccia neanche; chiuderla in un cassone nemmeno. Ci vorrebbe altro, ma questo altro nel gioco non è contemplato. Infine la voragine si spalanca, gettando la passione nel vuoto.
Il regista inglese Peter Strickland torna alla regia dopo il lynchiano Katalin Varga e il notevole Berberian Sound Studio, cercando ancora una volta di imporre la propria idea di cinema, basata sul coriaceo rimescolamento di generi ed epoche; anche qui, nel nuovo The Duke of Burgundy, in concorso al TFF, Strickland pare voglia centrifugare classicismo e modernità, per cucire addosso a entrambi un vestito per quanto possibile originale. I bellissimi titoli di testa sembrano farci tornare all'epoca d'oro del giallo/horror all'italiana, la dettagliata cura di abiti ed arredi pare cullarci negli schemi di un film in costume, alcuni inserti inseguono una sorta di onirica psichedelia, mentre la narrazione vera e propria devia verso tutt'altre direzioni. Il bizzarro mélange dà vita a un film ai limiti dell'inclassificabile, almeno in apparenza, anche se poi, a conti fatti, la realtà che emerge si assesta sui lidi del melodramma erotico, con la particolarità della totale assenza di personaggi maschili.
La narrazione tutta al femminile di Strickland si concentra dunque sul rapporto masochista tra l'arcigna e matura entomologa Cynthia e la giovane e sottomessa Evelyn, anche se è la seconda a guidare il gioco; è proprio lei, infatti, a lasciare tutte le sere alla compagna istruzioni precise sulla messinscena che dovrà essere recitata l'indomani, ed è sempre lei a regalare all'amante complessi e provocanti capi di lingerie per i quali “ci vorrebbe un manuale di istruzioni”. Il divertimento, o presunto tale, risulta tanto eccitante quanto faticoso, soprattutto per Cynthia: non è facile dover ogni volta dedicare la massima attenzione al trucco perfetto, all'abbigliamento adeguato, alla scelta della parrucca giusta, all'intensità nell'impersonificazione del ruolo assegnato.
Tutto ciò risulta assai gravoso, quando invece spesso verrebbe solo voglia di mettersi comode in pigiama, farsi massaggiare la schiena e prendersi qualche coccola, così, al naturale, senza finzioni e senza orpelli. Ma non è possibile, perché il patto implicito tra le due non prevede soluzioni alternative; la schiavitù non può cessare, la dominazione nemmeno. La teorica libertà espressiva è in realtà una prigione soffocante; le farfalle sembrano volare ma in verità sono chiuse in una gabbia stretta come i bustini che Cynthia detesta; la perversione e la lussuria spremono ogni goccia di liquido orgasmico e finiscono per risultare secche, aride, deprivate di ogni vibrazione godereccia; infine l'amore lascia il posto al rancore, e quel cassone in cui la schiava è per l'ennesima volta rinchiusa vien voglia di non aprirlo più. Mai più.
Nelle sue peculiarità stilistiche, nella sua atmosfera retrò in cui si accavallano morbosità e disperazione, echi bunueliani e rimandi perfino bergmaniani, The Duke of Burgundy riesce pian piano a trovare una strada vincente, risultando efficace nonostante alcune ridondanti sottolineature grottesche. Il film distribuisce qui e là qualche sorriso velandosi in realtà di un'aura solennemente tragica, fino a quando, a circa venti minuti dal termine, Strickland ci regala una magnifica sequenza di horror gotico che spinge gli accadimenti sino alle potenziali, estreme conseguenze di un rapporto ormai imputridito.
Se questo fosse stato l'epilogo, tutta l'opera ne avrebbe giovato. Invece l'autore decide di non decidere, e prolunga il racconto accartocciandosi in una stancante serie di finali / non finali che nulla aggiungono al senso della storia, togliendo in compenso compattezza e concretezza al film. Un inciampo che frena un lavoro comunque interessante, diretto da un regista che sarà bene tenere d'occhio.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Torino 32


Scheda tecnica

Regia: Peter Strickland
Sceneggiatura: Peter Strickland
Attrici: Sidse Babett Knudsen, Chiara D'Anna, Monica Swinn
Musiche: Cat's Eyes
Fotografia: Nic Knowland
Montaggio: Mátyás Fekete
Anno: 2014
Durata: 106'

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