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L'INQUILINO DEL TERZO PIANO - Ossessione sovrana

10/11/2013

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Il clarinetto spensierato di Philippe Sarde ci guida lungo la facciata di un palazzo anonimo, ombre indistinte spiano dietro le finestre: sarà il viso grassoccio e inespressivo della portinaia (Shelley Winters) a darci il benvenuto. Scivoliamo in un pezzetto di Francia permeato da un grigiore antichissimo: un palazzo squallido, opprimente, tutto carta da parati e legno scuro. Il timido archivista Trelkosky chiede di vedere un appartamento e la portinaia ride. “L’inquilina che c’era prima si è gettata dalla finestra, si vede ancora dove è caduta”. Questo è il preambolo di un visionario viaggio oltre il concetto d’identità.
I sinistri visi stuccati di cipria che sbirciano dalle fessure delle porte, l’immobilità dei caratteri di quei condomini che paiono sprezzanti marionette inchiodate al palazzo, il genio letterario di Roland Topor che diventa scena. Polanski, nei panni del protagonista, è impacciato, farfuglia e si tortura le mani, piomba al centro dell’alveare e ne diventa schiavo. Vuole vivere lì, nel misero appartamento dove viveva Simone Chule, la sconosciuta che ha aperto la finestra rincorrendo la morte e ora la affronta dal letto di ospedale. Dicono che non si riprenderà ma Trelkosky, prima di occupare la sua casa, desidera vederla. E non soltanto: sta per conoscerla attraverso piccole orme, spilli e briciole, piccolezze che la ricordano e popolano ancora le stanze. Incontra l’amica Stella (Isabelle Adjani), giovane bellezza trasandata e di gusto ricercato, psichedelica e umorale. I due si confrontano al tavolo di un bar: parlano del tentato suicidio di quella Simone che ora è bendata come una mummia in un gelido letto d’ospedale, Trelkosky finge di conoscerla e indaga. C’è una febbrile attesa di morte e una tagliente paura della stessa: Simone vive fra loro indisturbata, è un fantasma dalle mani rapaci, li avvicina in qualche palpeggiamento nella sala di un cinema, li allontana e torna ad essere l’alone misterioso dentro un cassetto.
Un giorno, poi, Simone muore.
L’appartamento tetro e maculato, di un verde fastidioso che offende lo sguardo, diventa il nido opprimente di Trelkosky: la ragazza è morta e la casa ora gli appartiene. O forse no. Perché le tracce della suicida s’impigliano a mobili e pareti, hanno la forma sinuosa dei suoi abiti a fiori, sono pezzi di carta e tubature che borbottano. Trelkosky rimbalza da pedina confusa nel gioco di specchi della casa infelice e si sgretola poco alla volta. Tutti, nel vitreo quartiere francese, gli parlano di Simone. Tutti lo trattano come Simone. Lui è goffo e ordinario, indifeso e sfrontato nel seguire da tanto vicino la morte di un’estranea.
La casa è ora pronta a inghiottirlo rivelando strani pertugi nei muri, denti caduti e conservati, la pericolosa vista sulla finestra di un bagno dirimpetto dove minacciosi ritratti montano la guardia ogni sera. Anche il silenzio comincia a ruggire: nel palazzo non si ammettono suoni o tintinni, Trelkosky vive immerso in un mutismo sincopato e timoroso dove uno scricchiolio può costargli la ramanzina del padrone di casa. Pulsa, vive, respira, perseguita, quel palazzo: ha gli occhi e ci sente benissimo.
L’eroe patetico subisce la pressione dei vincenti dell’esterno. Tutti sono migliori di lui. Al contempo la casa lo spinge verso Simone col sottofondo di memorie raccontate da chi l’ha sfiorata, seppure per un attimo.
Capolavoro magnetico del grande regista e sua ottima prova come attore, nel ruolo della vittima arruffata e traballante sull’orlo della pazzia, strapazzato dai sentimenti di rivalsa che alimentano il suo mostro segreto. La facciata del palazzo è tanto solida quanto le apparenze degli inquilini, malcelato gruppo di sadici dispettosi dove spicca un triste bocciolo di nome Eva Ionesco. Le regole ferree tolgono il respiro al piccolo francese naturalizzato dall’accento ancora così irrimediabilmente polacco. L’Egitto, con i suoi misteri e i suoi simboli, è indecifrabile strascico del passaggio di Simone. Lei, senza volto e senza onore, diventa il pilastro sul quale Polanski posa un mattone dopo l’altro: così sfuggente alle definizioni, ma onnipresente con la sua essenza nera e densa, maligna e necessaria. Interni deprimenti dove Trelkosky si infila da discreto abitante, da minuscolo osservatore incauto. 
Infine egli è la disperata summa delle farneticazioni, il giocattolo inutile di un’ossessione sovrana. Sarà l’appartamento a vincere, come nella tradizione delle infide “case parlanti” di Roman Polanski: edifici scolpiti nell’odio e tappezzati di brutti segreti, claustrofobici come la mente di chi li vive, di chi si immola per loro. Popolati, poi, da belve che si avvicendano al portone di casa presentandosi a malapena, invadendo senza pietà, spolpando la carcassa dei deboli. Nuove identità che si insinuano nei rassegnati perdenti e ripetono un disegno superiore. Il dentro, oscuro. Il fuori, ostile.
Per questo Polanski allucinato ed esoterico, la diversità è una condanna a morte e la propria mente è sempre la peggiore nemica.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Special Roman Polanski


Scheda tecnica

Titolo originale: Le Locataire
Anno: 1976
Durata: 125'
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura: Roman Polanski, Gérard Brach (da un romanzo di Roland Topor)
Fotografia: Sven Nykvist
Musiche: Hubert Rostaing
Attori: Roman Polanski, Isabelle Adjani, Melvyn Douglas, Jo Van Fleet, Shelley Winters

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