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PAURA DELLA PAURA - Distruzione di un'identità

21/5/2015

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Paura della paura rappresenta una delle tappe più interessanti per ciò che concerne il percorso filmico del regista tedesco Rainer Werner Fassbinder in relazione al mezzo televisivo. Il regista bavarese, infatti, nell’arco della sua breve ma intensissima carriera – che può contare addirittura trenta lungometraggi in soli tredici anni – è stato l’autore che più di tutti ha saputo sfruttare questo medium senza subirlo, comprendendone le possibilità e peculiarità. Proprio a causa di questa forte frequentazione possiamo individuare un Fassbinder cinematografico e uno televisivo.
«Dal punto di vista estetico, la […] coscienza non cambia, ma è differente il punto di partenza, la ragione per fare l’uno o l’altro», e questa ragione si incarna nel tipo di rapporto e nel tipo di reazione che il regista tedesco intende suscitare nel pubblico. Se sul versante prettamente cinematografico è possibile riscontrare un pessimismo marcato – poiché, a parere dell’autore, la “rivoluzione” (intesa come presa di coscienza in favore di un cambiamento) non avviene sullo schermo bensì nella vita reale –, sul versante televisivo abbiamo la mancanza di un finale tragico in favore di un’apertura ottimistica, ma non priva di un sottotesto ironico. E Paura della paura rappresenta con limpidezza questa seconda tendenza.
Trasmesso per la prima volta nel 1975 dal canale WDR, il film di Fassbinder mostra con perizia critica e stilistica uno squarcio di vita piccolo borghese in cui Margot Staudte, casalinga, moglie e madre, è preda di angosce e paure incomprensibili. Non vi è una storia che possa giustificare le intenzioni registiche, o una trama che faccia da linea guida al corpus filmico; ciò che si denota è lo sguardo della macchina da presa che indugia sulla figura femminile di Margot, aspettando che qualcosa si evolva. L’alienazione di questa donna – che “significa” in quanto donna, ed è per questo che il film riscosse molto successo proprio tra il pubblico femminile – accade tra la monotonia delle mura domestiche e tra le fitte maglie dei rapporti parentali: un marito, la suocera e i cognati. Sembra che niente possa condurre Margot a temere per sé e per i propri familiari, eppure la paura la porterà fino a credere di essere pazza, alla psicologa e alle medicine; ma perché, parafrasando un noto titolo fassbinderiano, la signora Staudte è colta da follia improvvisa? Il regista bavarese non dà risposta.
Fassbinder, infatti, rivolge tutti i suoi sforzi autoriali nei confronti di uno stile ricco e fecondo ai fini di una lettura critica. Fatto di dissolvenze e assolvenze, girato nel tipico salotto “bene”, ricco di immagini riflesse e inquadrature dentro le inquadrature, Paura della paura mette in scena un riuscito intreccio di sguardi che pone Margot al centro di una gabbia perimetrata dalle mura domestiche, in cui è vittima in quanto individuo femminile nelle forme sociali entro le quali è cresciuta. L’apparato cinematografico, in questo frangente, non fa altro che riflettere queste preesistenti forme. Ella “significa” in quanto opposta al genere maschile e può esistere solo in base a questa opposizione (o castrazione come la critica femminista le definirebbe), senza possibilità di emancipazione. Da qui ne consegue che tutto ciò che fa è esclusivamente funzionale alla conservazione dell’ordine patriarcale, mettendo al mondo una progenie che, pur mantenendo una parte del proprio patrimonio genetico, assumerà il cognome del padre.
Margot suggerisce alla sua spettatrice le propria presa di coscienza, e relativa frustrazione, riguardo la situazione “fallocentrica” piccolo borghese. Situazione peggiorata dalle insistenze della suocera e della cognata che insistono sul fatto che lei debba saper cucinare bene ed essere una brava donna di casa, opprimendo del tutto ogni desiderio di fuggire se stessa. Fassbinder colloca all’interno del contesto familiare una miriade di specchi con la funzione di moltiplicare i fuochi, ma anche di frammentare lo sguardo; davanti ad essi, Margot, persa la propria identità, colloquia con la sua immagine riflessa cercando di ritrovare se stessa, ma questo raddoppiamento non fa che aumentare vertiginosamente un certo disorientamento psicologico.
Fassbinder chiude il suo Paura della paura con un finale intelligente e ricco di riflessioni: Margot sta battendo a macchina nella solitudine del suo salotto e apprende dal cognato del suicidio del vicino di casa; dice di sentirsi bene e continua a fissare con insistenza il carro funebre. Che Margot abbia compreso che la paura è comune a tutti, indifferentemente dal sesso e dal ruolo? Forse la perseguiterà per il resto della propria vita? O più banalmente, lei ha paura della morte?

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Revival 60/70/80


Scheda tecnica

Titolo originale: Angst vor der Angst
Anno: 1975
Regia: Rainer Werner Fassbinder
Sceneggiatura: Asta Scheib
Fotografia: Jürgen Jürges
Musiche: Peer Raben
Durata: 88’
Attori principali: Margit Carstensen, Ulrich Faulhaber, Brigitte Mira

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