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NELLA CASA - Intervista a François Ozon

17/4/2013

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Incontriamo François Ozon in lussuoso albergo romano nei dintorni di via Veneto, avvolto nella solita raffinatissima classe irreprensibile e in quel sorriso fascinoso. Il regista transalpino è a Roma per presentare il suo nuovo film, Nella casa (Dans la maison), che apre il Rendez-vous romano del cinema francese (fino al 21 Aprile) e che dal 18 aprile arriva nelle sale. A scanso di equivoci un film importante per la carriera e la poetica dell’autore di 8 donne e un mistero, un’opera ambiziosa, sottile e complessa, legata a doppio filo col tema dell’ossessione. 
“Non è voyeurismo da intendere con una connotazione necessariamente negativa: per poter raccontare una storia io ho bisogno di partire dalla realtà, e questo posso farlo attraverso delle ricerche o, più semplicemente, osservando ciò che mi sta intorno”. Ascoltandolo, si percepisce bene l’amore suadente e l’affezione profonda di Ozon per i suoi personaggi: Germain e Claude, ovvero un professore (Fabrice Luchini) che sprona un alunno (Ernst Umhauer) a continuare a scrivere un tema a puntate, come un fotoromanzo, che altro non è che un resoconto venato di letterarietà del tempo che il giovane passa col suo migliore amico Rapha e la sua famiglia. “I miei personaggi sono caratterizzati da solitudine e noia. Mi interessava tratteggiare caratteri malinconici, persi, smarriti e alla ricerca del senso della vita, di qualcosa che li riaccenda. Il finale, anche se mi rendo conto che può sembrare paradossale, per me è un happy end, l’apice di due solitudini che s’incontrano e che riescono a trovare il loro senso e la loro ragione d’esistere soltanto nella capacità di proiettarsi nella storia che decidono di raccontare”. 
In particolare, Claude è un ritratto d’adolescente particolarmente oscuro e problematico, che con l’andare della storia si fa anche vagamente perverso. Una figura di giovane sulla quale l’assenza di un padre adeguato pesa non poco. “Non sapevo se mostrare o no il vero padre di Claude, ma alla fine ho deciso di farlo brevemente, come faccio in quella rapidissima scena. Mi sembrava un bel modo per penetrare le sue origini, il suo background ambientale, in modo tale che diventasse evidente che le connotazioni del personaggio che abbiamo percepito sono pienamente motivate e che Claude è alla ricerca non solo di una paternità stabile ma di un vero e proprio posto nel mondo.” Un mondo che per Ozon coincide naturalmente con l’amore per il cinema come viatico per l’esplorazione, per una recherche non inferiore a quella realizzata dai suoi personaggi, che qui pare conciliare analisi metodologica sulla scrittura e buffa, lieve irrisione dei luoghi comuni più arcinoti sull’arte contemporanea: “Mi interessava compiere un mèlange ma anche opporre due visioni antagoniste, due antipodi da inglobare. La concezione di Germain è letteraria, classicistica, conservatrice, quella della moglie interpretata da Kristin Scott Thomas è invece più avvezza alla modernità, a delle forme nuove. Il cinema ha questo potere di sintesi, se ne parla spesso in questi termini d’altronde, e io sono d’accordo”. 
Interrogato sui suoi prossimi progetti, Ozon dimostra di non voler certo concedersi soste: “Ho pronto il mio nuovo film, Jeune et Jolie, incentrato sulle scoperte sessuali di una diciassettenne, un romanzo di formazione che uscirà in Francia il prossimo agosto.” Naturalmente, si parla anche dell’imminente Festival di Cannes. Il 18 Aprile la conferenza stampa che annuncerà i film presenti: “Entro mezzanotte, se il mio telefono che attualmente non funziona dovesse riprendere a funzionare, scoprirò se parteciperò al Festival o meno, ma sono abbastanza pessimista. Vi confesso: per Potiche mi dissero che il film non avrebbe incontrato il gusto degli stranieri, poi però passò a Venezia e fu accolto con entusiasmo e non mi pare con particolari problemi. Per Nella casa mi dissero che non c’era posto e che ormai era troppo tardi, poi il film è andato al Festival di San Sebastián e ha vinto due premi là...” 
Gli si chiede se ormai Cannes non si sia fossilizzata sempre sugli stessi autori, su un club fisso in cui nuovi registi sono entrati e dei vecchi sono usciti praticamente in maniera definitiva, al di fuori dei quali gli altri non trovano mai granché posto. “Da noi si fanno tanti film ogni anno, è naturale che non ci sia posto per tutti. Quando poi una cinematografia straniera magari non troppo sviluppata ha ben pochi esponenti di grido, è naturale che si finisca col tirare in ballo sempre gli stessi nomi. Comunque, non vorrei proprio essere Thierry Fremaux. Il suo è un lavoro e un compito davvero difficile e impegnativo.”

Davide Eustachio Stanzione

Sezione di riferimento: Interviste

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