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MIELE - La morte dolce

4/5/2013

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Miele (Jasmine Trinca) è il “nome di servizio” di Irene, somministratrice di eutanasia. Riceve i contatti da un ragazzo che lavora in ospedale (Libero de Rienzo), si reca in Messico ad acquistare un farmaco veterinario e, premurosamente, va nelle case di chi ha deciso di porre fine alle sue sofferenze per presiedere all'operazione ultima. “Certo che fai proprio un lavoro di merda”, le dice la moglie (Iaia Forte, in un piccolissimo ruolo) di un “cliente”. Quando a chiederle il suo farmaco (ma non la sua presenza al momento fatidico) è l'attempato ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi), Irene dà per scontato che sia malato; invece l'uomo ha “una salute di ferro”, ma soffre di depressione. Lei non ci sta e si impone nella sua vita, nella speranza che Grimaldi ritorni sulla sua decisione.
La vita di Irene è caratterizzata da una sostanziale solitudine e da una vita nomade. Gli affetti sono vissuti a spizzichi: il ragazzo (Vinicio Marchioni) con cui fa sesso, che la divide con un'altra e a cui racconta una vita falsa, il “datore di lavoro” che ha anch'esso un'altra partner (ma saprà capire una sua decisione cruciale). C'è qualche momento di felicità (lo stacco tra una bevuta “fatale” e dei bicchieri da cocktail suggerisce una doppia vita), ma generalmente l'espressione di Irene è seria e preoccupata, anche per via delle palpitazioni cardiache. Quasi che, nonostante la professionalità, tutto il dolore di cui è testimone premesse e si manifestasse così. Insomma, Irene a modo suo è vitale, ma non serena. Al termine della seconda delle dolorose e ben condotte sequenze in cui la vediamo all'opera con dei clienti, inaspettatamente guarda in macchina. “Avete visto? Capite e mi capite?”, sembra chiederci. Segue uno sfogo-confessione a Grimaldi, in cui Irene esterna il senso di inadeguatezza di fronte all'ennesima indigestione di sofferenza. E afferma esplicitamente: “Nessuno di loro vuole morire... ma quella non è più vita”.
L'insistenza che esercita con Grimaldi non è una forma di samaritanesimo, come lui sospetta, ma nasce inizialmente dalla percezione di un bruciante inganno, una macchia troppo grossa nel suo “mestiere”, qualcosa di non giusto. Diventa una forma di affetto e l'ingegnere una persona a cui Irene tiene, con cui si scontra e si apre, nonostante il colto Grimaldi sia molto diverso da lei: cinico, sarcastico, scostante, con i suoi sguardi e le sue parole sembra volerla mettere alla prova. Si rivelerà lucido ma rispettoso.
Il primo lungometraggio di Valeria Golino, selezionato a Cannes nella sezione Un certain regard, è un film di tutto rispetto, che ha il coraggio di affrontare in modo diretto la questione del suicidio assistito, contrapponendovi un discorso sotterraneo e non banale sulla vita, attraverso una protagonista sui generis. Uno degli aspetti più notevoli è l'impalcatura sonora (il navigato Lilio Rosato è responsabile del montaggio del suono), che pone il film nel solco di un cinema contemporaneo di qualità: canzoni che iniziano e si alzano di volume al cambio di scena, parole dette dietro vetri, sussurri, silenzi, aerei che passano, Irene isolata con le sue cuffie ma in grado come noi di sentire chiacchiere su un mezzo pubblico. È ancora il suono ad essere parte integrante della dimensione sensoriale entro cui la protagonista si muove (talora a piedi nudi), spesso legata agli elementi naturali: la neve dei ricordi d'infanzia e della madre, l'acqua del mare in cui usa immergersi, il campo di grano in cui si ritaglia un po' di relax. 
Si capisce presto come la Golino abbia inteso fare un film che guardasse oltre gli steccati del cinema medio italiano anche dal punto di vista stilistico, senza per questo peccare d'intellettualismo: prosaicamente, è anche l'accento romano della Trinca a riportare concretezza. Qua e là sembra avvertirsi l'intenzione di firmare inquadrature significative (Miele in camera con la coppia, all'inizio), ma non è un male, mentre altre volte la cinepresa sta vicino e accarezza il volto di una Jasmine Trinca naturale, praticamente sempre in scena e più volte nuda. Miele (scritto con Valia Santella e Francesca Marciano, coprodotto dal compagno Riccardo Scamarcio) è un esordio dalle idee chiare, all'altezza di speranze e ambizioni, con il coraggio di affrontare un tema per cui ci si poteva aspettare un divieto ai minori vendicativo e per cui difficilmente si avrà riscontro al botteghino, scontando il peccato di essere un film tricolore (coprodotto con la Francia) ma non una commedia, nonostante l'apertura finale al sorriso.
Uno pseudo-mistero sta dietro la fonte letteraria del film. Annunciato col titolo del romanzo da cui è tratto, Vi perdono di Angela Del Fabbro, è da più parti (compresi titoli di testa e pressbook) fatto invece risalire al libro A nome tuo di Mauro Covacich. Angela Del Fabbro si è rivelato essere proprio lo pseudonimo di Covacich, che nel romanzo firmato col suo nome torna sulle ragioni dell'appropriarsi di un'altra identità.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Regia: Valeria Golino
Sceneggiatura: Valeria Golino, Valia Santella, Francesca Marciano
Durata: 96'
Fotografia: Gergely Poharnok
Interpreti principali: Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero de Rienzo, Vinicio Marchioni
Uscita italiana: 1/5/2013

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