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L'ULTIMO PASTORE - Una fiaba contemporanea

18/4/2013

2 Commenti

 
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C'era una volta un pastore che viveva in cima a una montagna. Aveva un gregge di centinaia di pecore e un sogno che voleva realizzare a tutti i costi: pascolare le sue pecore nella grande metropoli e farle conoscere ai bimbi di città.  
La fiaba è un espediente sempre più raro per mettere a dormire i figli e guidarli nel mondo dei sogni, e così come una fiaba è sospesa tra la veglia e il sonno, in procinto di sfumare in un sogno, il film di Marco Bonfanti è sempre in bilico tra la realtà e la finzione. In azione vediamo dei personaggi reali, ma a dirigerli c'è una regia e soprattutto una sceneggiatura arguta e ben studiata. 
Bonfanti ha dovuto penare non poco prima di convincere l'ultimo pastore nomade della Lombardia, Renato Zucchelli, a posare per il cinema e marciare col suo esercito di pecore alla volta della Madonnina. Lì Renato vi arriverà trasportando le pecore su enormi camion, ma questo viene sapientemente omesso. L'ultimo pastore ha tutti i caratteri, insomma, per essere catalogato sotto la voce "documentario di creazione" o se si preferisce "docu-fiction". 
Come in tutte le fiabe, inoltre, l'elemento magico è preponderante, e finisce per prevalere sulla prosaicità del vivere quotidiano. La figura di Renato Zucchelli di per sé è lontana ormai anche dalla nostra fantasia, soprattutto da quella dei più piccini. Il ritratto che ne esce è quello di un gigante buono protettore dei bambini. La camera obliqua lo riprende dal basso verso l'alto in sella al suo pony e ne esalta la mole imponente e statuaria.  Lunghi primi piani insistono sul suo sorriso bonario e le musiche a tratti trionfali di Danilo Caposeno ne accompagnano l'incedere eroico, a volte addirittura intensificato dal ralenty. La sua vita è scandita dai tempi della transumanza; conosce il Gaì, gergo dei pastori nomadi, e trascorre la maggior parte dei suoi giorni in paesaggi bucolici con un filo d'erba in bocca, in compagnia del suo cane Moru e del suo strampalato assistente Piero, che ha un cane a sua volta, ma immaginario. Fondamentale la figura della devota moglie Lucia che porta avanti i conti e i quattro figli. Si racconta in una sorta di intervista a camera fissa e racconta Renato, restituendo una buona dose di realismo all'impavido Don Chisciotte del ventunesimo secolo.
L'apparizione di Renato con il gregge in Piazza del Duomo e l'incontro con l'euforica scolaresca è di nuovo pura magia, una magia progettata con maestria dalla mente visionaria del regista. E non solo: è anche un'astuta strategia di marketing, più o meno consapevole. Infatti, grandi testate e Tg nazionali hanno riportato la notizia stuzzicando la nostra curiosità, molti mesi prima dell'uscita in sala.
La regia, fin da subito (con la scelta di riportare i titoli di testa sui disegni degli scolaretti), tradisce un sentimento nostalgico per il mondo dell'infanzia, l'unico davvero spensierato e felice. Il punto di vista dell'intera narrazione sembra coincidere con quella di quei bambini, tant'è che lo spettatore è portato a condividere con loro, nel mio caso con eguale trepidazione, l'attesa per l'arrivo in città di Renato. Estremamente poetici ed emozionanti i primissimi piani dei volti dei bambini che interrogati dalla maestra su cosa sia un pastore rispondono “me lo sono dimenticato”, e che credono che le pecore servano “a fare il budino”.  Renato stesso ha il candore e l'ingenuità di un bambino.
Inevitabile provare una forte nostalgia anche per un mondo destinato a scomparire, quello della pastorizia, e per le grandi distese verdi e i campi che circondavano Milano e provincia, ora in gran parte inghiottiti dall'asfalto. È evidente la volontà di fissare sullo schermo una tradizione e un mestiere che, se non fosse per la grande richiesta di carne ovina delle macellerie islamiche milanesi (esilarante la scena in cui Renato tratta con due "kebabbari"), avrebbe gli anni contati. La pellicola in questo senso ha anche un grande valore di testimonianza.
L'universo fantastico e surreale in cui veniamo emotivamente coinvolti può fornire il destro a una facile morale che puzza di passatismo e al risentimento buonista per l'estinzione di una delle più antiche professioni esistenti. Finanziato interamente da sponsor privati quali Slow Food, WWF, Onu, Unesco e Kyoto Club, ha sicuramente anche questo obiettivo, e va contro l'idea di progresso come cieca urbanizzazione e globalizzazione dei costumi. Ma ne L'ultimo pastore la morale non è così esplicita come nelle fiabe dei fratelli Grimm. Il magico finale sortisce l'effetto consolatorio di una forte allucinazione, per Freud necessaria ad appagare un bisogno primitivo, in questo caso di ritorno alle origini e alla natura, e ci lascia non speranza, come forse pretende il regista, ma un sorriso amaro.
Dopo l'anteprima allo scorso Torino Film Festival, e il notevole successo riscontrato, il film sta ricevendo numerose richieste di partecipazione in festival internazionali. In sala è attualmente programmato presso il Cinema Mexico di Milano, e a maggio uscirà anche a Roma e in altre città. Sul sito ufficiale è possibile consultare il calendario delle proiezioni.

Alessandro Leonardi

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: L'ultimo pastore
Anno: 2012
Regia: Marco Bonfanti
Sceneggiatura: Marco Bonfanti
Fotografia: Michele D'Attanasio A.I.C
Musiche: Danilo Caposeno
Durata: 76'
Uscita in Italia: 19/03/2013
Interpreti principali: Renato Zucchelli, Piero Lombardi, Lucia Zucchelli, Gottardo, Giovanni, Margherita e Domenico Zucchelli.

2 Commenti
antonella
9/5/2013 01:32:12 am

mi ricordo delle pecore in piazza del duomo a Milano! Che bell’idea quella di raccontare la storia di un pastore in quest’epoca moderna, bravo Bonfanti.
Alla proiezione regalano le borse dell’unes, che è uno degli sponsor insieme a sorgenia, atm, coop, e altre grandi aziende

Risposta
Mauro
26/10/2013 08:12:30 pm

Per me è il miglior film italiano da molti anni a questa parte. Talmente unico e spiazzante da risultare geniale e inclassificabile, oltre a far ridere, piangere e riflettere. Piccolo capolavoro intramontabile.

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