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JOE - Il riscatto della condizione umana

12/10/2014

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Gary (Tye Sheridan) è un quindicenne con un padre alcolizzato e violento; è l’ultimo tra gli ultimi, un ragazzino con un’anima candida alla deriva, in un ambiente familiare che ti può solo sporcare. Joe (Nicolas Cage) è il datore di lavoro di Gary. Vive tranquillo tra i boschi, tagliando alberi, asfaltando, facendo il vuoto dentro di sé e attorno a sé. Joe mantiene il controllo della propria vita per evitare di ricadere negli errori del passato, finché prende a cuore la vita e il destino di Gary, l’indifeso, l’Altro da sé che sembra non appartenere a quel luogo, a quella famiglia, a quel presente. Gary, con il suo innato entusiasmo verso la vita, verso la gioia e la speranza nelle piccole cose, potrà dare a Joe un significato per quella esistenza altrimenti buia, priva di motivazioni, boscosa come buia, senza spiragli.
Joe entra nelle sottili dinamiche del rapporto generazionale ma, di più, si sforza di affrontare il tema del rapporto parentale, e, in quello che appare a tutti gli effetti come un racconto di formazione, inserisce da subito l’elemento tragico, lo strappo tra figure paterne: quella biologica, disturbante e orrorifica, e quella acquisita, rivendicata per il valore dei comportamenti che caratterizzano un vero genitore. Ma non è un dogma: Joe si offre a Gary per ricevere in cambio la purezza delle emozioni, la gioia di fare del bene a un altro essere umano. Poi però c’è il passato che torna, che torna sempre, che chiede di pagare pegno. Il passato si chiama Willie (Ronnie Gene Blevins), ha una cicatrice sul viso e puzza di alcool. È una minaccia mentale e fisica, e prima o poi causerà una strage.
Joe è un film indipendente di quelli senza scorciatoie interpretative né narrative. È tutto lì, esposto e descritto in immagini, facce, dialoghi scarni, scene a un tempo poetiche e violente. È la natura di questa opera ruvida e affascinante, così come l’ambientazione che presenta. Il regista David Gordon Green (Undertow) si tiene fuori dalla “comfort zone”, ed esce costantemente dalle sicurezze di scrittura e regia. Per ogni momento in cui si affaccia il sole sulle vite di Gary e di Joe, e sulle persone che ruotano attorno alla loro orbita, segue l’oscurità del dramma imminente, qualcosa che rincorre i protagonisti, quel quid che forse è proprio dentro di loro. Qualcosa cui non possono sfuggire.
In Joe c’è un viaggio nel passato del protagonista che, a ben vedere, è anche un viaggio nella carriera di Nicolas Cage, punto focale del film e colui dal quale dipende l’intera composizione. La pellicola racchiude alcune dei temi ricorrenti nella filmografia dell’attore: la dipendenza dall’alcool, la disperata ricerca della solitudine, come della deriva dalla socialità. Non siamo dalla parti di Via da Las Vegas, ma c’è un filo ideale che si connette con Ben, il personaggio che nel 1995 portò l’Oscar a Nicolas Cage. Come Ben, anche Joe combatte - ma forse nemmeno tanto - contro i propri demoni, mentre scopre il desiderio di investire in un altro essere umano.
L’evoluzione del personaggio è disegnata nei rapporti con gli altri e nella dimensione in cui questi influenzano le sue azioni, ma di più è offerta dalla curva emozionale del suo protagonista. Non è un caso che la regia lo segua e il cast si rapporti a lui stabilendo un efficace legame di interdipendenza. Il giovane Tye Sheridan (The Tree of Life, Mud), tutto istinto e passione, è il contraltare ideale di Nicolas Cage; una interpretazione, la sua, che è stata onorata al Festival di Venezia con l’assegnazione del Premio Mastroianni.
Joe è tagliato su misura per il Nicolas Cage di vent’anni fa, ora riscoperto grazie all’occhio coraggioso di David Gordon Green. Qualcosa accomuna i due, forse la comune ricerca delle proprie origini dopo una serie più o meno lunga di scelte professionali fallimentari. Il Texas tanto caro a Green è descritto con autenticità nella rappresentazione e verità nella scelta dei dettagli, complice anche una fotografia (di Tim Orr, abituale collaboratore del regista) che sceglie tutte le tonalità del rosso autunnale, della terra, la sabbia, il blu come una striscia divisoria tra la sera e la notte, come se l’intero film fosse ambientato al crepuscolo. Abbiamo una terra bellissima e dura, crudele, abitata come abbandonata dagli ultimi della scala sociale, dai disperati che sopravvivono come possono in una cittadina quasi ai confini del mondo. Questa è solo una parte dell’America rurale, di quell’America che con la politica e i clamori delle metropoli ha veramente poco in comune. Questo è lo specchio dell’America che subisce e si fa anarchica, vivendo a proprio modo e ingaggiando il proprio sistema di vita: azione-reazione, dare-avere, torto-vendetta.
Non siamo dalle parti di Steinbeck, ma qui stanno gli evasi, gli esuli, i lavoratori senza speranza, i solitari, i violenti, gli onesti in cerca della paga del venerdì. Ed è solo il contesto: in Joe, le pur importanti tematiche sociali fanno da sfondo alla toccante storia del riscatto della condizione umana. La parabola avviene attraverso i piccoli gesti e i grandi sacrifici compiuti dagli uomini che erano solo stati scordati dal destino, e il cui valore mai potrà essere dimenticato.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Joe
Regia: David Gordon Green
Attori: Nicolas Cage, Tye Sheridan, Ronnie Gene Blevins
Sceneggiatura: Garry Hawkins, basata sul romanzo di Larry Brown
Fotografia: Tim Orr
Anno: 2013
Durata: 117 minuti

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