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GOLTZIUS AND THE PELICAN COMPANY - Lo schermo abissale

19/11/2014

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Goltzius and the Pelican Company è un'opera crudele di magia. Crudele perché senza scrupoli fagocita qualsiasi cosa dentro di sé. Di magia perché è spettacolo di specchi rovesciati, ma di trucchi scoperti. Ogni impressione è legittima, impossibile è qualsiasi aspettativa. Il gioco visivo del grande regista è il gioco di un bimbo colto e sgarbato che ha nel copione priorità inderogabili: bisogna ripensare tutto di nuovo, il sesso, il potere, lo sguardo, le icone dell’arte, gli espedienti della finzione. Lo spettatore può osservare fuori dallo schermo per distrarsi, oppure può cedere alle provocazioni di una fantasia onnivora e inoltrarsi nella parete, abbandonarsi alla seduzione del racconto. Tutto è legittimo in questo spettacolo di salti mortali.
Siamo alla fine del Cinquecento, la stampa esiste da poco più di un secolo. Un incisore di stampe erotiche olandese, Hendrick Goltzius (Ramsey Nasr), e la sua compagnia itinerante trovano nel margravio di Alsazia (F. Murray Abraham) il finanziatore di un progetto ambizioso: realizzare un libro di illustrazioni sulle vicende più scabrose dell’Antico Testamento. Per ottenere il finanziamento, la compagnia accetta la condizione del capriccioso margravio: mettere in scena sei racconti biblici, ognuno dei quali legato a un tabù sessuale: la creazione di Adamo ed Eva (il voyeurismo), Lot e le sue figlie (l’incesto), Davide e Betsabea (l’adulterio), Putifarre e sua moglie (la pedofilia), Sansone e Dalila (la prostituzione), Salomè e Giovanni Battista (la necrofilia).
Nella corte di Peter Greenaway sta avvenendo la svolta della modernità: una tradizione consolidata diventa immagine, trasformandosi e trasformando chi la eredita. Grazie al lavoro paziente degli artisti, le immagini confluiscono in un immaginario comune che la corte-mondo impara presto a riconoscere come il proprio. È l’era della visual literacy, l’alfabetizzazione visiva che ha formato l’uomo moderno. Goltzius è il demiurgo ritenuto un guitto, il tecnico che crea l’alfabeto da cui viene formato il mondo a venire. È l’artista che anticipa la riconfigurazione del mondo (nei suoi tabù e nelle paure rimosse) in spettacolo. Fosse vissuto oggi, sarebbe un film maker incompreso e profetico. Ci parla da una scrivania di nature morte, con il trucco pesante e la voce da prestigiatore truffaldino. Come già Dante e Virgilio in A TV Dante-The Inferno (1989), Goltzius è una talking head: si rivolge a noi dal buio come un conduttore televisivo, per accompagnarci tra le sue creazioni e provocarci con un’ironia nerissima. Goltzius è Greenaway.
Siamo spettatori, voyeur autorizzati dall’autore a guardare dal buco (come nei vecchi key-hole films). È un gioco di specchi rovesciati: gli spettacoli della compagnia appagano il voyeurismo del margravio non meno del nostro. Eppure egli è il potere e, nel momento in cui interviene sulla scena (pretende di assegnare i ruoli femminili, vuole interpretare Erodiade, padre di Salomè), smette di essere voyeur e si trasforma nel politico disposto a manipolare immagini, ruoli, funzioni per assecondare i suoi capricci e rivendicare un privilegio sull’arte. 
È anche un gioco di trucchi scoperti: tutto è artificiale, come in un cielo di teatro scoperto alla platea. La corte d’Alsazia è un teatro, le colonne sono disegnate in rendering, la recitazione è straniata, il sesso è una posa. Tutto è iconico ed eccessivo, come in una mitologia. Il regista, memore di una tradizione artistica, fa un cinema che sembra voler rinominare tutto per gioco, come Adamo ed Eva che scelgono da un mazzo di carte i nomi da assegnare alla vita. Tutto (ri)diventa possibile se Dio e Satana sono personaggi assegnati allo stesso attore (Pippo Delbono).
Goltzius parla di trasformazioni: le metamorfosi dei corpi degli attori in eroi tragici, le metamorfosi delle parole che si formano in sovra-impressione, indissociabili dalle immagini, le metamorfosi del cinema stesso, che cambia in nome di una rinnovata flessibilità. Dentro l’immagine convivono messa in scena artigianale e sperimentazione digitale, trasformazione grafica e corporalità. I volti brillano spesso di riflessi d’acqua: il tempo che confonde passato e futuro, tradizione e sfida sperimentale. Alla base di tutto il sesso e la morte, gli unici due aspetti “non negoziabili della vita” (lo dice spesso il regista) e dell’immaginario di sempre.
Come l’immagine ha riconfigurato il mondo, così Greenaway reinterpreta la conoscenza in un cinema dell’incontinenza che ibrida teatro, musica, video arte. Le immagini sullo schermo si sovrappongono come schegge, rimandando allo spettatore la responsabilità di uno sguardo selettivo e personale. L’immagine in Greenaway è il vero albero della conoscenza.
In principio era il Verbo? No, direbbe lui, in principio era l’Immagine. 

Matteo Mele

Sezione di riferimento: Film al cinema

Il film sarà inizialmente proiettato come evento speciale nelle seguenti città:

20/01 Modena
22/01 Firenze, Bologna
23/01 Torino, Venezia
01/02 Roma
04/02 Trieste


Scheda tecnica

Titolo originale: Goltzius and The Pelican Company 
Anno: 2012 
Durata: 112’ 
Regia: Peter Greenaway 
Interpreti: F. Murray Abraham, Ramsey Nasr, Kate Moran, Giulio Berruti, Flavio Parenti, Pippo Delbono 
Sceneggiatura: Peter Greenaway 
Scenografia: Ben Zuydwijk 
Fotografia: Reiner van Brummelen
Uscita italiana: settembre 2014 (nei teatri), gennaio 2015 (al cinema)    

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