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CAPTAIN PHILLIPS - Il capitano d'America

21/1/2014

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Il capitano Phillips è prima di tutto un uomo, un padre di famiglia, un marito amorevole. Un americano qualunque, che si avvia al lavoro come chiunque. Solo che questo americano medio è anche il capitano di una nave, un leader riconosciuto dai suoi e con un carico di responsabilità di cui dovrà accollarsi il peso. Questo è il ritratto iniziale dello straordinario personaggio così umano e così eroico incarnato da Tom Hanks. Questa è l’istantanea che il regista Paul Greengrass ci offre nei primi minuti della sua ultima fatica, intitolata come il protagonista di questa serratissima avventura di mare.
Siamo immediatamente gettati nel pieno dell’azione. È tipico di Greengrass, dopotutto, coinvolgere lo spettatore nel cuore del film, come non esistesse altra via che la corsia di sorpasso. Non abbiamo tempo di elaborare, né di riflettere. La nave comandata dal capitano viene subito attaccata da un gruppo di pirati somali guidati da Muse (Barkhad Abdi), e quella che doveva essere una missione tranquilla e pacifica muta in una traversata impossibile per la salvezza, prima, e la sopravvivenza, poi. Due ore da capogiro in cui il duello tra due uomini per la supremazia si gioca come una partita a scacchi sul filo della nevrosi.
Paul Greengrass insiste con la sua analisi dell’America. Dopo il necessario United 93, opera catartica e metaforica che apre e chiude il capitolo sulla rappresentazione cinematografica esplicita dell’11 Settembre, il regista attraversa i cieli per solcare i mari. La nave di Capitan Phillips è uno Stato in movimento. È l’America che si sposta, che si regge sulle proprie regole, sulle proprie leggi, su un sistema in cui i marinai non sono solo lavoratori, ma cittadini e abitanti dello Stato galleggiante. Il capitano non è solo il leader del gruppo di prodi, ma il presidente, il re, il comandante in carica.
Greengrass è solito regalarci film d’azione non convenzionali in cui, dietro la bandiera di genere, splende l’originalità registica e di composizione. Tom Hanks è l’America. L’attore incarna l’ideale a stelle e strisce, icona del cinema amato dal pubblico, popolare e apprezzato dalla critica, un interprete che si è affermato a cavallo tra l’era reganiana, quella Clinton e Bush fino ad approdare - dagli idealistici abiti di Walt Disney (in Saving Mr. Banks, in uscita in queste settimane) - a quelli di eroe nell’età dell’Obama-Nation. Hanks è l’identità di questa America, orgogliosa e fiera, un po’ abbandonata a se stessa, invasa e minacciata dall’esterno, che può soltanto salvarsi da sola grazie alla propria capacità di adattamento, coraggio, forza interiore. Si parteggia così per la sorte del capitano, nel feroce e strepitoso climax verso la luce, dalla angosciante location che si fa sempre più angusta mano a mano che la tensione sale, che il senso di libertà si annienta e il filo della vita si fa sottile. Ancora una volta, Tom Hanks chiama Oscar… ma Oscar stavolta non risponde, mentre si accorge della spigolosa performance di Barkhad Abdi, nominata nella cinquina degli attori non protagonisti.
Difficile realizzare un film in mare. Si rischia un po’ l’effetto Tempesta perfetta e lo spauracchio di capitan Findus è sempre in agguato. Ma Greengrass è nel suo elemento, e cambia scenario come cambia le carte della narrazione. Utilizza i suoi due personaggi giocando abilmente sulle diversità non solo narrative ma degli attori stessi: diversità comunicative, linguistiche, fisiche. Phllips e Muse. Speculari. Opposti. Uno il riflesso dell’altro. Chi è il capitano, in questo duello tra individui che ha l’eco di una battaglia tra culture, tra stati? «Sono io il capitano» afferma Muse con il megafono. Ma questa battuta è talmente vuota, sbagliata, che servono le armi per darle una qualche consistenza. La leadership del terrore. Ma è Phillips ad affermare che il potere e il carisma si impongono a prescindere dalla violenza. I leader che sono veramente tali si fanno ostaggi e sono magnanimi. Vanno anche incontro alla morte, ma non crollano. Battaglia di nervi, battaglia di destini. Lotta senza quartiere per qualcosa, e chissà cos’è, per il futuro, per il diritto dell’avere, che ha forme e declinazioni anche inaccettabili, magari fuorilegge. Il diritto a conquistare un destino, a rubarlo, prenderlo per sé. Diritto alla libertà.
Tratto dal libro Il dovere di un capitano, che racconta la vera odissea del capitano Richard Phillips, il film di Paul Greengrass (che ingiustamente manca la candidatura agli Oscar per la regia) non è solo un thriller adrenalinico, e sarebbe sbagliato definire il regista come uno “specialista” di genere; parliamo di un filmmaker abituato a narrare la finzione nella cornice della verosimiglianza, come Bloody Sunday o United 93 hanno dimostrato, un autore capace di inquadrare la politica nelle ampie maglie dell’action movie, e fare anche dei grandi budget un mezzo per il racconto originale, tagliente e senza compromessi della realtà che ci circonda.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Captain Phillips
Regia: Paul Greengrass
Sceneggiatura: Billy Ray
Attori: Tom Hanks, Barkhad Abdi, Catherine Keener
Montaggio: Christopher Rouse
Musiche: Henry Jackman
Scenografia: Paul Kirby
Anno: 2013
Durata: 134'
Uscita in Italia: 31 ottobre 2013

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