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NOVARA INDIE FILM CONTEST – Nel nome del cinema indipendente

28/9/2019

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​Interessante appuntamento quello a cui si è potuto assistere il 26 settembre all’Araldo di Novara. Una maratona dedicata al cinema indie, con 7 ore ininterrotte di proiezioni rivolte a titoli estratti dall’edizione 2019 del Torino Underground Cine Fest, manifestazione capace di ricavarsi un ruolo al contempo ormai definito ma anche in costante crescita, utile per ammirare film di valore che ben difficilmente trovano spazio nelle pieghe contorte della distribuzione ufficiale. La giornata ha dunque assunto il ruolo di una sorta di spin off della casa madre torinese, la prima di altre costole dell’evento che avranno luogo nei prossimi mesi in città come Asti, Tortona e Savona, al fine di espandere sempre più le infinite suggestioni di un cinema poco visibile ma non per questo meno ricco di spunti e talenti.

Tanti i film proposti a Novara, tra corti e lungometraggi di provenienza in gran parte europea, con tematiche talvolta affini talaltre assai distanti, ma accomunate dal gusto per la sperimentazione e le traiettorie oblique del racconto. Una prima citazione in tal senso non può che essere rivolta a Ultra Pulpe, mediometraggio selezionato a Cannes 2018, diretto da Bertrand Mandico (conosciuto dai cinefili per Les Garçons sauvages) e interpretato da Elina Löwensohn (apprezzata ad esempio in Nadja, Un long dimanche de fiançailles, Vénus noire di Kechiche e La guerre est déclarée di Valérie Donzelli), Vimala Pons (Fidelio, l’odyssée d’Alice) e Lola Creton (Les Salauds). 
Un’opera lisergica, ambientata tra le viscere di un mondo fuori dal mondo in cui una regista (di nome Joy D’Amato!) sta completando le riprese del suo nuovo film, cercando al contempo di non far spegnere la storia d’amore che ha in corso proprio con la protagonista della pellicola. Celebrale, ipnotico, ad alto tasso erotico, deprivato di un unico senso di lettura per lasciare spazio a una molteplicità di strati e sotto-strati pregni di simbolismi, Ultra Pulpe si sviluppa tra connessioni uomo-macchina di cronenberghiana memoria, baci saffici che lasciano tracce di sangue sulle labbra e nel cuore, dialoghi surreali tra vivi e morti, rapporti carnali con la macchina da presa, approdi a pianeti in cui cercare la libertà e trovare invece paura e solitudine, tentativi di regredire allo stato primordiale per allontanare le contaminazioni del presente, trionfo dell’immagine come elemento destinato a durare in eterno in contrapposizione all’imputridimento del corpo, disperate richieste di contatto fisico con cui combattere il fallimento insito nell’illusorietà della creazione culturale. Un lavoro affascinante, dove si citano Max Ophuls, Emmanuelle e gli ultimi cannibali e Buio Omega, in una fusione tra cinema alto e (presunto) cinema di serie B, oltre la riva di una definitiva (e impossibile) verità dell’arte.

Più ancorato a strutture narrative di immediato riconoscimento invece Zauberer (Sorcerer), lungometraggio dell’austriaco Sebastian Brauneis, abile balletto corale durante il quale si dipanano storie contemporanee legate a perversioni dell’anima, storture della mente, desideri profondi e rapporti anaffettivi. Un labirinto di situazioni che iniziano per vie parallele salvo poi poco alla volta incrociarsi e ricongiungersi, permettendo ai personaggi di trovare inconsapevoli punti di contatto tra le singole mancanze.

Numerosi gli altri titoli di buon livello che meritano una sottolineatura, molti dei quali provenienti dalla Francia: Vire-Moi si tu peux, di Camille Delamarre, tenero cortometraggio in cui un capo del personale convoca un tecnico per licenziarlo ma resta rapito dalla gentilezza e dalla genuina innocenza del dipendente; Arthur Rambo, di Guillaume Levil, con un bambino che recita poesie di Rimbaud ai semafori per guadagnare qualche soldo e cerca non senza difficoltà di integrarsi con i suoi coetanei; Mon Royaume, di Guillaume Gouix, in cui tre fratelli, al grido di “on emmerde la nostalgie!”, provano ad allontanare la malinconia per chi non c’è più, salvo però sentirne ancora forte la mancanza di fronte alla bellezza di un’alba silenziosa.
Lodevoli inoltre l’olandese Dante Vs Mohamed Alì, di Marc Wagenaar, premiato nel 2019 al Torino Underground, intenso dipinto di un complesso amore omosessuale tra due ragazzi costretti a combattere uno contro l’altro, schiavi di una realtà troppo limitata e soffocante per comprendere i loro sentimenti; l’italiano Il tratto mancante, di Riccardo Roan, elegante corto sul tema della ricerca, della cecità di fronte alla parte inconoscibile di sé, di porte chiuse che forse possono finalmente aprirsi al sorriso di un sentimento; l’austriaco Up and Down, di Christopher Aaron, film d’animazione in cui un uomo si trova imprigionato in un universo in loop dove tutto si ripete ogni volta daccapo, senza alcuna plausibile via d’uscita. 

La rassegna di Novara ha proposto un panorama vario, eterogeneo, efficace nel fornire una piccola ma significativa dimostrazione di quanto il cinema indipendente sia fremente e carico di idee e coraggio; lo stesso coraggio di chi cerca di promuovere questi eventi anche in località dove la ricezione purtroppo risulta spesso a dir poco ostica.
​ 
Appuntamento alla settima edizione del Torino Underground Cine Fest, in programma sotto la Mole a marzo 2020.

Alessio Gradogna
​
Sezione di riferimento: Festival Report

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