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TGLFF 30 - Zomer (Summer), di Colette Bothof

7/5/2015

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Anne è un'adolescente estremamente silenziosa, la cui non invasiva voice-over ci introduce ai suoi pensieri e al suo mondo. La famiglia è composta da un fratellino handicappato, un fratello maggiore sempre insieme ad alcuni coetanei, un padre che si fa sostanzialmente i fatti suoi, tra lavoro e amici, e una madre del tutto ingabbiata in una mancanza di prospettive e felicità, cupa e lamentosa. 
La cittadina di provincia olandese in cui vive è dominata da una centrale nucleare ed è estremamente chiusa: se non si vive bene o ci sono problemi non se ne parla apertamente (e pazienza se si tratta perfino di stupri), e lo straniero non è colui che giunge da chissà dove, ma semplicemente una persona di città che non si conosce, da guardare come un essere alieno, da sfottere in modo infantile oppure, per i più piccoli, da far oggetto di dispetti. Ma nelle giornate d'estate in cui il film è ambientato, alcune cose cambieranno in modo deciso, anche definitivo e drammatico, sia per altri che per Anne. La conoscenza di Lena, emancipata ragazza motorizzata e fuori dal giro con cui nasce un'attrazione reciproca, sarà un evento scatenante consapevolezza, anche sessuale, e affermazione di sé (segnate anche dal “recupero” della parola e... dell'uso del suo nome).
Colette Bothof, nata in Zimbabwe, ha firmato in Olanda alcuni corti, lavori Tv come una miniserie di animazione e un altro lungometraggio, Zwarte zwanen con Carice van Houten (2005). Zomer è una storia di coming of age, di uscita dal guscio, la cui forma è morbida e le cui immagini sono gradevoli, ma completamente ambientata in un luogo non proprio ridente, anzi sottilmente da incubo, tanto che è difficile non provare empatia per Anne, in vista del cambiamento che ci annuncia nella prima sequenza, una pedalata di gruppo.
Il ritratto di comunità che viene delineato man mano è discreto ed efficace. Vi si soffoca, come alcuni personaggi dicono esplicitamente, e i ragazzi cercano di allontanarsi fisicamente per quanto possono, quando possono e non solo, che siano goffi tentativi di indipendenza da casa o il percorrere strade in macchina o in moto, sentendosi meglio. Un posto in cui sei cristallizzato in quello che devi essere, e a qualcuno sembra anche andar bene, come indica con insistita ironia il personaggio della ragazza madre single che compare sempre in scena col bimbo appresso, anche in discoteca; in cui i maschi fanno i maschi, tra stupidità ostentata e caccia all'esperienza con l'altro sesso, e le mogli sono incastrate in rapporti di coppia infausti.
È interessante che Anne (Lisa Smit) trovi infine una parziale libertà e serenità non in un altro luogo ma nello stesso, solo un po' più in là, e insieme a una persona amata; è invece un personaggio secondario, la cugina di Anne, ad andarsene altrove. Se il coming of age è sempre questione personale, per la solitaria e osservatrice Anne lo è in modo particolare, tanto più in un ambiente del genere, in cui si esercita un forte controllo sociale, che sia in forma strisciante o meno, verso il quale è naturale nasca una opposizione (che ha anche una coloritura politica, perché i giovani che vengono da fuori si oppongono al nucleare). La strada che Anne prenderà ha delle conseguenze: si acquista qualcosa, qualcosa cambia ma non tutto può cambiare, anzi per qualcuno il suo cambiare è come la violazione di un tacito patto, da far pesare.
Persuade meno, e lì il film forse fa un non necessario passo più lungo della gamba, il montaggio alternato verso la fine, o almeno l'apparizione pseudo-divina per un personaggio. Se le immagini dei ragazzi sulla spiaggia che si divertono e amoreggiano sono felici, la vera e propria entrata in scena di Lena, con lei che si toglie il casco e lo scambio di sguardi con Anne, è più banale, e pure il suo personaggio non è a tutto tondo (d'altronde, quasi tutto è dal punto di vista di Anne). Lena resta soprattutto ragazza fenomenale, corpo estraneo ed elemento definitivamente perturbante. Le due formano una strana coppia, a cui però, almeno per la durata di un film, fa piacere credere.
A parte questo non ci sono altre vere sbavature. Zomer è un “piccolo” film onesto e pulito dove, come si suol dire, le facce sono giuste; Jade Olieberg (Lena), procace e con una massa di capelli ricci rossi, ha un impatto notevole, mentre Willemijn van der Ree, con le sue labbra piatte, sembra davvero nata nel ruolo della madre senza sorriso.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Titolo originale: Zomer
Anno: 2014
Durata: 86'
Regia: Colette Bothof
Sceneggiatura: Marjolein Berens
Musiche: Fons Merkies
Fotografia: Goert Giltay
Montaggio: Michiel Reichwein
Attori: Lisa Smit, Jade Olieberg, Steef Cuijpers, Pieter Dictus, Martijn Lakemeier

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TGLFF 30 - Diversi perché unici

20/4/2015

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L'apertura del TGLFF, sempre diretto da Giovanni Minerba e giunto quest'anno alla sua trentesima edizione, dal 29 aprile al 4 maggio, è con un film “ritrovato”: 54, nella versione director's cut. Per la regia di Mark Cristopher e con Ryan Philippe, Salma Hayek e Mike Myers, uscì nel 1998 in una versione pesantemente rigirata e rimontata per volere della Miramax. Ne fecero le spese il ménage à trois tra i personaggi principali, la bisessualità del protagonista e il suo essere un personaggio controverso. Il regista è tornato sul girato, togliendo 25 minuti di materiale spurio e ripristinandone 36 allora scartati, per un risultato a suo dire più “dark” e meno normalizzato. 
Altro evento speciale è un muto, il tedesco Diverso dagli altri di Richard Oswald (1919), considerato il primo film a tema omosessualità, un lavoro “politico” contro il paragrafo 175 che la puniva come crimine. Prodotto subito dopo l'abolizione della censura, fece sì che tornasse; i nazisti tentarono di farlo sparire, ma la versione incompleta e rimontata sopravvissuta non ne annulla la forza. In chiusura ci sarà invece l'ungherese Six Dance Lessons in Six Weeks, che vede il ritorno di Gena Rowlands, vedova che prende lezioni di danza da un ragazzo gay.
I lungometraggi inediti sono spalmati in almeno tre sezioni. Tra i titoli in concorso l'australiano Drown, sulle fortissime tensioni tra due bagnini di un team, “tra Point Break e Brotherhood”; un bagnino è anche protagonista dell'esteticamente ambizioso Futuro Beach di Karim Aïnouz, storia di morte, amore e presenze che ritornano tra Fortaleza e Berlino; How to Win at Checkers (Every Time), coproduzione di un regista thailandese, ruota intorno al rapporto fra tre fratelli orfani, di cui il maggiore è compagno di un uomo ricco; l'olandese Summer di Colette Bothof narra, in un paesino dall'atmosfera plumbea, del liberatorio amore di una giovane outsider per una ragazza che giunge da fuori; il filippino The Commitment mostra la crisi tra due uomini in concomitanza col matrimonio della sorella di uno di loro e complice la difficoltà di essere gay nel paese; il francese L'art de la fugue di Brice Cauvin è una commedia con protagonisti tre fratelli tra cui il gay Antoine, l'unico quasi “equilibrato”.
Concorrono al “Premio Queer”, tra gli altri, il tedesco The Chambermaid Lynn di Ingo Haeb, su una cameriera d'albergo che fruga nelle vite altrui e scopre il mondo di una dominatrix; Je suis à toi aka All Yours di David Lambert, sull'anomalo rapporto tra un ragazzo che si offre in cam e il pasticcere che lo chiama a vivere con sé; Never, sul legame tra una giovane cantautrice lesbica e un ragazzo etero, con Zelda Williams, la figlia di Robin, e Zachary Booth; lo spagnolo Hidden Away di Mikel Rueda, che “ricorda il cinema di André Téchiné”, con protagonisti un clandestino marocchino e un ragazzo che si scopre gay con difficoltà; The Blue Hour di Anucha Boonyawatana, con due uomini e i loro incontri in luoghi con una “dimensione horror”.
Fuori concorso lo svizzero What's Between Us di Claudia Lorenz, in cui una donna scopre l'omosessualità del marito durante una vacanza; il sudcoreano A Girl at My Door, con protagonista una poliziotta che protegge, in un villaggio e suscitando sospetti, una ragazza molestata; Stand, diretto semiclandestinamente in Ucraina dal francese Jonathan Taieb, su un gay che assiste a un'uccisione omofoba e resta ossessionato dalla ricerca dei colpevoli. In programma anche l'ultimo film interpretato da Robin Williams, Boulevard di Dito Montiel, in cui l'attore è un uomo ammogliato ma omosessuale che carica in auto un affascinante marchettaro, mentre The Smell of Us di Larry Clark, che batte bandiera francese, vede la partecipazione di Michael Pitt e ha degli skater come personaggi.
Interessanti alcuni ritratti: Tab Hunter Confidential, in cui l'”attore velato”, cantante e sex symbol americano si racconta e The Material Boy, mockumentary di e con Luizo Vega, sedicente figlio segreto di Madonna. In altra sezione, Seed Money-The Chuck Holmes Story narra del fondatore della Falcon, casa hard gay nella San Francisco degli anni '70.
Si omaggia il regista israeliano Amos Guttman, scomparso nel 1993, autore del primo film nazionale che trattava di omosessualità, Drifting, proiettato con Bar 51, Amazing Grace e due tributi diretti da altri, tra cui l'episodico Guttman X 5. Tornando alla macrosezione “Extra”, in “Km 0: gli italiani” si notano Palermo Tribe dei Manetti Bros., sul gay pride del 2013, Torri, checche e tortellini di Andrea Adriatico, che torna al 1982 e alla prima volta in cui un'amministrazione europea concesse uno spazio – Cassero di Porta Saragozza a Bologna – ai gay e Non so perché ti odio - Tentata indagine sull'omofobia e i suoi motivi, tra Sentinelle in piedi e le parole di un assassino per omofobia.
Non manca il cinema d'animazione: in “Extra” c'è una serie di corti tematici di Max Croci, e una sezione è tutta composta da nuovi cortometraggi disegnati.
Quest'anno alcune proiezioni saranno introdotte da brevi esibizioni musicali ad opera di nomi quali gli Eugenio in Via di Gioia, Marie and the Sun, Cosimo Morleo. Peccato, ancora una volta, per la mancanza dei biglietti giornalieri tra le modalità di ingresso.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Reportage

Tutto il programma del festival sul sito ufficiale

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TGLFF 29 - L'altro festival

22/4/2014

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Giunto alla 29esima edizione il TGLFF – sottotitolo “L'altro festival” – cambia nome e logo nel segno della sobrietà: non più “Da Sodoma a Hollywood” ma solo “Torino Gay & Lesbian Film Festival” e, al posto di Chaplin e Frankenstein, una pizza di pellicola su un papillon.
Tra i primi titoli che saltano agli occhi nel programma, Tom at the farm di Xavier Dolan (il giovane e talentuoso autore di Laurence Anyways), da un testo teatrale: il giovane Tom si reca in un paesino di campagna per la morte del suo amato innescando tensioni familiari, in un lavoro che a Venezia ha vinto il premio Fipresci. “Notti e neve a Seoul”, sotto la macrosezione “Open Eyes”, è il titolo del focus dedicato al sudcoreano Leesong Hee-Il, di cui si vedrà la trilogia a tematica gay e l'ultimo lungo Night Flight che affronta il tema del bullismo.
“Open Eyes: Lez Drama!” propone Farewell My Queen di Benoît Jacquot, con Léa Seydoux e Diane Kruger, ambientato a Versailles nei giorni della rivoluzione francese, con una Maria Antonietta innamorata di una duchessa e una dama di compagnia che la adora, vincitore di tre César e l'australiano Zoe.Misplaced di Mekelle Mills, piccolo dramma su una ragazza lesbica che si innamora. Non può che incuriosire You and the Night di Yann Gonzalez (sezione “Forever Young: gli amori immaginari”), con Eric Cantona e Beatrice Dalle, “viaggio al termine della notte […] con echi di Cocteau, Bunuel, Argento e Bava”, incentrato sulla preparazione di un'orgia.
Scorrendo il concorso lungometraggi si potrebbe puntare su Blue and Not So Pink di Miguel Ferrari, che racconta le difficili vicende di una coppia di gay venezuelani, complice l'arrivo del figlio di uno dei due; lo svedese Something Must Break di Ester Martin Bergsmark, premiato a Rotterdam, sulla storia tra un “misterioso etero” e l'androgino Sebastian; due film dalla Svizzera, Rosie di Marcel Gusler, su uno scrittore gay che torna ad assistere la madre malata, che però vuole continuare a godersi la vita, e The Circle di Stefan Haupt, vera storia di un club gay nella Zurigo anni 50, tra amori e omicidi; dal Brasile The Way He Looks di Daniel Ribeiro, con protagonisti adolescenti - il quindicenne ipovedente Leo, una ragazza attratta da lui, un ragazzo con cui Leo potrebbe essere amato - , vincitore del Teddy Award a Berlino; dal Messico, I Am Happiness on Earth di Julián Hernández: un uomo in scena, fra amore e natura, realtà e sua ricreazione, per un film descritto come visivamente notevole.
Di triste attualità il focus “Dalla Russia con amore”, con Campaign of Hate: Russia and Gay Propaganda, documentario con cui l'attore-produttore hard Michael Lucas indaga, tra incontri e immagini di cronaca, lo stato delle cose per gli omosessuali nella nazione. Molti gli omaggi previsti durante il festival: per Lou Reed, Berlin, esecuzione dello storico album a Brooklyn nel 2006 filmata da Julian Schnabel; di Derek Jarman verrà proposto il Caravaggio restaurato; di Philip Seymour Hoffman il poco amato Flawless diretto da Joel Schumacher, in cui impersona una drag queen con cui il personaggio di Robert De Niro fa amicizia. Nella sezione sulla Russia è omaggiato anche Sergej Parajanov, regista che fu inviso al potere e incarcerato anche per la sua omosessualità, con Il colore del melograno, noto esempio del suo originale cinema a quadri di alto valore figurativo.
Nella sezione “Cinemascape”, Burning Blue di D.M.W. Greer, omofobia nell'aviazione della marina Usa per “il primo gay action movie”. Poi le commedie The Summer Side di Antonia San Juan, su una disastrosa famiglia da cui la protagonista vorrebbe andarsene, pagando il prezzo di abbandonare il cugino che ancora non si è dichiarato gay, e Cupcakes di Eytan Fox, che si rifà agli Abba nel narrare di un gruppo di amici di Tel Aviv chiamati a esibirsi all'Eurovision Song Contest parigino.
Stuzzicanti, nel concorso documentari, il tedesco Kumbia Queers: More Louder Bitte!, mediometraggio su un gruppo di attiviste punk che rileggono la cumbia (musica colombiana da ballo) in modo kitsch e “politico”; Violette Leduc, in Pursuit of Love sulla scrittrice lesbica; The Dog su John Wojtowicz, il personaggio che, col suo tentativo di rapina per pagare l'operazione di cambio di sesso all'amante, ispirò Quel pomeriggio di un giorno da cani. Fuori concorso I fantasmi di San Berillo di Edoardo Morabito, vincitore come miglior documentario italiano all'ultimo TFF, che racconta un rione scalcinato, luogo principe della prostituzione a Catania.
Una piccola sezione a base di corti è dedicata all'”Altra animazione”, mentre la proiezione “60 anni di Rai TV, tra spettacolo e informazione” comprende una carrellata di comici in panni del sesso opposto dal 1954 al 1977. Originale anche la modalità di proiezione di The Forgotten Circus, cortometraggio del 2008 dell'artista-ex coreografa Shelly Love, che il team Gorilla Perfumes trasformerà in un'esperienza di “cinema profumato”.
Tutto questo senza contare, tra le altre cose, il Concorso Cortometraggi. Peccato per la sospensione dei biglietti giornalieri tra le modalità di ingresso.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival

Sito ufficiale dell'evento

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TORINO GLBT 28 - Presentazione

17/4/2013

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L'edizione 2013 del festival Da Sodoma a Hollywood, diretto da Giovanni Minerba, con proiezioni al cinema Massimo e immagine ufficiale firmata da Ralf König, offre un discreto programma.
Vediamo alcuni highlights tra i lungometraggi. In apertura Any Day Now di Travis Fine, con Alan Cumming, che ha raccolto premi in festival Usa specializzati e non: la vera storia di una coppia di omosessuali che a fine anni Settanta a Los Angeles cerca di ottenere la pionieristica custodia di un ragazzino Down abbandonato. In concorso, Jack and Diane di Bradley Rust Gray, sull'amore fugace tra due ragazze adolescenti destinato a sfociare in visioni licantropiche (!), con Juno Temple (Killer Joe) e Kylie Minogue, anche se le opinioni in rete non sono incoraggianti; Out in the Dark di Michael Mayer (Una casa alla fine del mondo), definito “storia d'amore che diventa thriller (anche dei sentimenti)”, con protagonisti uno studente palestinese, un avvocato israeliano e la loro relazione in una Tel Aviv soffocante; Joshua Tree, 1951: a Portrait of James Dean di Matthew Mishory, biopic sull'attore anni prima del successo; dalla Berlinale, il messicano Everybody's Got Somebody... But Me, che mette in scena un amore lesbico in bianco e nero; la commedia taiwanese con tanto di karaoke Will You Still Love Me Tomorrow? di Arvin Chen, It's All So Quiet di Nanouk Leopold, meditativa storia di un uomo maturo e chiuso, che vive col padre e si relaziona con due ragazzi e il polacco In the Name of... di Malgoska Szumowska (regista del recente Elles, con Juliette Binoche), sul parroco di un villaggio alle prese con l'attrazione per un giovane problematico e le conseguenze sulla sua comunità. Nella sezione lesbica “Open Eyes” spicca Cloudburst con Olympia Dukasis, commedia on the road su una coppia molto matura che cerca di sfuggire a un ricovero per andare a sposarsi in Canada.
Nel concorso documentari, si segnala Codebreaker, docufiction sul genio Alan Turing (padre dell'intelligenza artificiale, tra le altre cose) che, accusato di sodomia, venne sottoposto alla castrazione chimica e finì suicida. Nella sezione “Cinemascape”, un altro documentario, I Am Divine di Jeffrey Schwarz, sul corpulento travestito attore e cantante, ricordato tra gli altri da John Waters, e il chiacchierato Interior. Leather Bar co-diretto da James Franco, sui leggendari minuti tagliati, ambientati in un gay bar, di Cruising di Friedkin. 
Per solleticare i cinefili, prosegue la sezione “Vintage”, con una variegata scelta di film del passato in 35mm, tra cui gli italiani Fellini Satyricon, Il portiere di notte della Cavani e La patata bollente con Pozzetto e Massimo Ranieri. Infine, incuriosisce la selezione di corti animati gay/lesbici e non mancano doc sullo stato delle cose in paesi come il Pakistan (Hide and Seek, su omosessuali e trans) e il Marocco (I Am Gay and Muslim), nella sezione “Focus: Mezzaluna rosa”, ma anche l'Italia (Vorrei ma non posso. Il film, su Gay Pride e unioni civili), nella sezione “Focus: We Are Family”. Il programma completo sul sito ufficiale.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Reportage

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