ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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BFM 34 - La Californie (In California), di Charles Redon

10/3/2016

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​Charles filma la sua fidanzata, Mathilde, ballerina di danza classica. All'inizio è solo un gioco, ma poi si trasforma in qualcosa d'altro. Una vera ossessione. Mathilde sogna di diventare prima ballerina all'Opéra di Parigi, ma ogni anno ai provini viene scartata, o perché troppo giovane o perché troppo magra. Soffre di disturbi alimentari sin da quando era ragazzina, cerca in tutti i modi di trovare la perfezione nel suo corpo e nel suo lavoro, si allena duramente per sfondare. Charles la spia, la pedina, la riprende in ogni momento della vita quotidiana: mentre mangia, mentre si esercita, mentre si cambia, mentre dorme, anche quando è nuda sotto la doccia.
​Charles ama Mathilde, è preoccupato per i suoi problemi con il cibo, ma soprattutto è irresistibilmente attratto dalla possibilità di filmare qualsiasi gesto e azione che la riguardi. Mathilde lo lascia fare, anche se in certi momenti inizia a essere stufa di questo occhio meccanico che la fissa in ogni istante. I due si trasferiscono in California, dove Mathilde trova un importante lavoro come prima ballerina; per lei finalmente arrivano il successo e una certa fama, cosa che accresce ulteriormente la “dipendenza” di Charles. Tra loro aumentano le incomprensioni e si acuisce un certo distacco; lei trova un amante e lascia momentaneamente Charles. Lui continua a spiarla anche da lontano. La fissazione scivola verso il masochismo.

Presentato nella sezione Visti da Vicino, riservata ai documentari, La Californie è senza dubbio uno dei titoli più originali e interessanti selezionati in questa edizione del Bergamo Film Meeting. A realizzarlo e interpretarlo Charles Redon, classe 1984, insieme alla fidanzata Mathilde Froustey, complice di un lavoro durante il quale finzione e realtà sanno trovare un felice punto di incontro. Se infatti nella parte iniziale sembra di assistere a un doc incentrato sul complesso rapporto affettivo tra due persone, nel corso nella narrazione l'opera cambia pelle, mutando in un vero e proprio film nel quale si racconta una storia, con tanto di svolte, colpi di scena e variazioni di prospettiva.
​L'ossessione di Charles nei confronti di Mathilde annulla i confini del pudore, infilandosi in un campo aperto dove nulla ci viene nascosto: il ragazzo riprende la compagna in ogni istante, sul lavoro e tra le pareti di casa, per le vie della città e in ospedale, ma anche nei momenti più intimi, mentre ne esplora il sesso con le dita, mentre la penetra, sfidando ogni eventuale interrogativo morale. In principio viene infatti da chiedersi se sia giusto filmare una persona con tale morbosità, e mostrarne pubblicamente pregi e difetti, problematiche e fragilità; il dubbio peraltro svanisce quando ci si rende conto che Mathilde ha dato il pieno assenso a inserire nel film ogni scena a cui abbiamo assistito, cosa infatti confermata dallo stesso Redon dopo la proiezione.
Eliminate dunque le eventuali perplessità di cui sopra, va dato atto a Redon di aver assemblato, tassello per tassello, un notevole disegno artistico in cui la struttura portante del documentario si fa altro da sé, percorrendo strade prima parallele e poi convergenti, lungo le quali si compie un viaggio che esplora le fisime di due persone che si spogliano di ogni maschera per scendere in profondità nei meandri di se stesse.
​Mathilde si scontra con il cibo e le frustrazioni del mestiere; Charles cerca a tutti i costi la qualità dell'immagine e la rappresentazione del corpo della compagna; tra i due l'amore muta in battaglia, ci si allontana e riavvicina, si prova affetto ma anche vivo disgusto, attrazione e odio, voglia di imporsi e desiderio di punirsi, in un saliscendi emotivo che tocca picchi inattesi (l'incontro di Charles con una Mistress) e finisce per appassionare come se si stesse assistendo a un film di pura invenzione, sino a giungere a un epilogo forse sorprendente, che non sveliamo nel caso in cui un distributore coraggioso decidesse di portare La Californie in Italia (cosa peraltro improbabile). 
Nell'incontro con il pubblico post-visione Redon, presente in sala e assai loquace, si è reso disponibile per soddisfare le curiosità degli spettatori. A un certo punto gli è stato chiesto “ma lei, in questo film, ci ha detto la verità o ci ha mentito dall'inizio alla fine?”. La risposta è stata molto significativa: “il film è tutta una bugia. O meglio, è una «sovrabugia», perché in tutto quello che avete visto c'è un insieme di realtà e finzione, vita vera e costruzione scenica, immediata sincerità e scelte di montaggio. Un qualcosa che va oltre alla bugia e che allo stesso tempo va oltre alla verità”. 
Proprio qui, in questa affascinante amalgama stilistica, risiede l'estremo interesse di un lavoro coraggioso e stimolante che mostra, ancora una volta, come il cinema possa travalicare qualsiasi definizione e limite.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Regia: Charles Redon
Anno: 2015
Durata: 78'
Montaggio: Suzana Pedro
Attori: Charles Redon, Mathilde Froustey

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BFM 33 - Walking with Red Rhino - A spasso con Alberto Signetto, di M. Moretti

14/3/2015

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Rinoceronte. Un animale grosso, ingombrante, infido, poco addomesticabile. Ma anche coraggioso, tanto da sfidare spesso bestie più grandi di lui. Un animale in cui si è sempre riconosciuto perfettamente Alberto Signetto, protagonista di Walking with Red Rhino, bellissimo documentario diretto da Marilena Moretti e presentato in anteprima al Bergamo Film Meeting.

Regista. Filmmaker indipendente. Documentarista. Videomaker. Metteur en scène. Chiamatelo come vi pare. Alberto Signetto era tutto questo, e molto di più. Un “cineasta marginale”, come lui stesso si è definito. Un uomo che ha trascorso un'intera vita inseguendo il suo sogno d'amore per l'arte, voltando le spalle a ogni convenzione, a ogni facile scorciatoia, per continuare sino all'ultimo a portare avanti le sue idee di sperimentazione, contaminazione del linguaggio, libertà espressiva, rappresentazione del cinema come inesauribile strumento di scoperta e creazione.
Nella sua carriera Signetto ha fatto un po' di tutto: reportage di concerti dei Rolling Stones per la RAI, documentari di carattere industriale, videoclip dei Righeira, film surrealisti. Sempre con una straordinaria originalità e sempre sul margine del rischio. Spesso oltre. Signetto ha vissuto per tanti anni in condizione di indigenza economica, tirando avanti come capitava, traslocando in continuazione da una casa all'altra, con pochissimi soldi in tasca ma tante idee sempre a bollire nel cervello.
Alla fine degli anni Settanta si fece assumere come assistente/tuttofare volontario per poter essere presente sul set dell'ultimo film di Anghelopoulos. Adorava Godard, Raoul Ruiz, Jean Rouch e Robert Kramer, simbolo dell'underground. Aveva una conoscenza cinefila sterminata, da cui nascevano citazioni continue anche nei momenti più impensabili. Voleva fare un film filosofico su Bataille, ma sapeva che se l'avesse proposto a qualsiasi produttore sarebbe stato sbattuto fuori a calci nel sedere. Girava film impossibili da immettere sul mercato, senza comunque mai rinnegare la propria volontà di scavare nei sentieri dell'immaginario, perché “le storie sono già state raccontate tutte; a me interessano i concetti”. Era un uomo sagace, con la battuta sempre pronta, una cultura sopraffina e un po' di sana immodestia. All'estero era apprezzato ma in Italia, al di fuori della sua Torino, non lo conosceva quasi nessuno.

Sono soltanto piccoli frammenti di ciò che era e rappresentava Alberto Signetto, morto nel 2014 per un tumore. Una vita piena di sbagli, pazzie, “vaccate che puntualmente rimpiangevo il giorno dopo ma che adesso sono solo felice di aver fatto”. Marilena Moretti lo ha seguito per tre anni, incontrandolo in più occasioni, assemblando poco alla volta un documentario nel quale diversi stralci di intervista si alternano con vari spezzoni dei lavori di Signetto. La regista ha continuato a filmarlo sino a poche settimane prima della morte, avvenuta al termine di una battaglia dura, deprimente, che ha profondamente segnato il fisico di Signetto trasformandolo nella controfigura del grosso uomo che era, ma che fino all'ultimo respiro non gli ha tolto la sua anima di combattente.
Per quasi due ore la Moretti ci porta nel complesso e affascinante universo di Red Rhino, nei filmati d'epoca, nei suoi ricordi, nelle sue case, in una peregrinazione che ormai negli ultimi anni era diventata “una vita che trascorre tra un trasloco e l'altro”. Ci conduce per mano nel caos lucido di tutto il materiale raccolto da Signetto nel tempo, una sterminata collezione di giornali, libri, riviste, videocassette, posters, gadget cinefili, pass dei festival a cui era invitato: un meraviglioso guazzabuglio che inorgogliva Alberto ma lo preoccupava anche, perché “queste sono le mie cose: le tocco, le annuso, le uso, le voglio sempre con me, e ho paura che vadano perse chissà dove”. 
Poi, a un certo punto, il documentario ci catapulta dentro la malattia di Signetto, ossessionato dalla voglia di cinema al punto di filmare le sue stesse sedute di chemioterapia e addirittura filmare il suo stesso sangue sparso sul pavimento subito dopo una violenta emorragia.
La parte finale assume contorni vibranti, commoventi: in un giorno d'ottobre la Moretti lo va a trovare, capisce che potrebbe essere l'ultima volta che lo vede, che il percorso in qualche modo condiviso con lui per oltre tre anni è giunto al termine; così si prepara all'addio, gli dice “devo ringraziarti, per moltissime cose” e si ferma, muta, incapace di proseguire, dominata dall'emozione. La stessa emozione che proviamo noi spettatori. 
È l'epilogo di un lavoro da lodare e applaudire, utilissimo sia per raccontare la vita di un uomo che avrebbe meritato ben altri riconoscimenti rispetto a quelli che (non) ha avuto, sia per porsi come rappresentazione di tutte quelle persone che sempre, contro tutto e contro tutti, lottano per portare avanti le proprie convinzioni. Persone cocciute e indomabili, rinoceronti pronti a caricare l'uomo bianco pur sapendo che probabilmente saranno sopraffatti. Una volta e poi un'altra. Ancora e ancora. Ma che si leccheranno le ferite e ripartiranno, di nuovo. Fregandosene di ciò che il mondo sussurra alle loro spalle. A testa alta. Mai domi. Mai rassegnati. Mai davvero sconfitti.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Regia e sceneggiatura: Marilena Moretti
Montaggio: Paolo Favaro, Danilo Pettinati
Produzione: Rossofuoco Film
Anno: 2014
Durata: 109'
Pagina Facebook del film: Walking with Red Rhino

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BFM 33 - Il programma: profumi d'Europa

5/3/2015

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Si apre sabato 7 marzo l'edizione numero 33 del Bergamo Film Meeting, manifestazione che come ogni anno riesce a ritagliarsi un ruolo pregevole e a suo modo unico nell'affollato panorama festivaliero italiano, grazie alla sempre viva attenzione rivolta al cinema di qualità e al lancio di autori troppo poco conosciuti qui da noi.
Mai come quest'anno il BFM riconferma il suo orientamento rivolto al cinema europeo, da cui provengono la quasi totalità dei 120 film che saranno proiettati dal 7 al 15 marzo; una scelta coerente e decisa che sottolineiamo e condividiamo con assoluto piacere, scrollandoci di dosso ogni facile suggestione commerciale proveniente d'oltreoceano.
Il programma è come sempre ricchissimo; nove giorni di maratona cinefila in cui navigare dalle prime ore del mattino fino a tarda sera alla scoperta di tematiche articolate, storie per tutti i gusti e registi che in molti casi mai avevano trovato un simile spazio in Italia. 
Si inizia con il concorso lungometraggi, con sette film diretti da autori giovani, tutti in anteprima nazionale, incentrati su temi prettamente contemporanei, presentati all'Auditorium di Piazza Libertà e poi replicati al Cinema San Marco: Anderswo, dalla Germania; Why Can't I Be Tarkovsky?, dalla Turchia; Loreak, dalla Spagna; Modris, dalla Lettonia; Gente de Bien, ambientato in Colombia ma diretto da un autore di scuola francese; Amnesia, dalla Norvegia; Afterlife, dall'Ungheria.
Prosegue poi per il secondo anno Europa: femminile singolare, l'interessantissima sezione dedicata ad autrici europee di cui viene proposta la totalità delle opere. Quest'anno l'attenzione è concentrata sull'inglese Andrea Arnold (premio Oscar per il cortometraggio Wasp e premio speciale della giuria a Cannes sia per Red Road che per Fish Tank), sulla bosniaca Aida Begic, sull'ungherese Agnes Kocsis e sulla portoghese Teresa Villaverde. Se togliamo la Arnold, ormai apprezzata a livello mondiale, abbiamo tre autrici note agli addetti ai lavori ma pressoché sconosciute al pubblico; l'opportunità di scoprire la loro filmografia sarà dunque alquanto ghiotta.
Come sempre si riconferma la sezione Visti da vicino, con numerosi documentari indipendenti quasi tutti inediti in Italia, in molti casi seguiti da un dibattito in sala con i rispettivi autori. Non mancano poi proposte riservate ai bambini e ai ragazzi delle scuole, con proiezioni ad hoc tra le quali non possiamo non rimarcare la scelta di inserire in programma il bellissimo Bande de filles di Céline Sciamma.
Lodevoli le retrospettive di questa edizione, a partire da un'ampia rassegna dedicata al Polar francese, con circa 20 titoli realizzati tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta, pellicole esemplificative di un genere che ha saputo raccogliere gli elementi base del poliziesco provenienti dagli States per poi rimodellarli secondo la sensibilità transalpina, trovando una ricetta originale entrata a pieno diritto nella storia del cinema d'Oltralpe. Tra gli imperdibili titoli in programma, Quai des Orfèvres di Clouzot, Le trou di Becker, Classe tous risques di Sautet, Le doulos di Melville e Le desordre et la nuit di Grangier. 
Accanto al polar ci sarà inoltre una seconda retrospettiva intitolata Dopo la prova e composta da opere incentrate sul concetto stesso di messinscena, sui complessi meccanismi della rappresentazione e sulle commistioni tra cinema e teatro. Anche in questo caso in programma capolavori da non perdere come Stage Fright di Hitchcock, Deathtrap di Sidney Lumet, Dopo la prova di Bergman e L'esquive di Kechiche. 
Non è finita qua: a Bergamo ci saranno anche una personale dedicata a Pavel Koutsky, importante autore di cinema d'animazione ceco poco conosciuto in Italia; alcune anteprime di sicuro interesse (ad esempio Une nouvelle amie, il nuovo film di François Ozon); proiezioni speciali dedicate alla riapertura dell'Accademia Carrara (con l'anteprima nazionale di National Gallery di Wiseman e la riproposizione in quattro puntate di Belphégor, Il fantasma del Louvre, la miniserie Tv che nel 1965 inquietò profondamente gli spettatori francesi); la consueta fantamaratona, quest'anno neanche a farlo apposta di venerdì 13, con Christopher Lee in Theatre of Death di Samuel Gallu e un meraviglioso Vincent Price in Theatre of Blood di Douglas Hickox. Non mancheranno infine, come sempre, incontri con gli autori ed eventi collaterali.

Appuntamento dunque a Bergamo da sabato 7 a domenica 15 marzo, e qui sulle pagine di Orizzonti di Gloria per le recensioni in diretta dall'evento di alcuni tra i film più significativi in concorso. 

Il programma completo e le modalità d'ingresso sul sito ufficiale. Qui sotto il divertente trailer di presentazione del festival.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Report

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CINEMAMBIENTE 17 - Environmental Film Festival

27/5/2014

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Torna il festival a tematica ambientale torinese, con i suoi temi ricorrenti e lo sguardo a realtà di grande interesse, a comporre un'indagine su dove stiamo andando o potremmo andare. Quest'anno, alcune novità. Dopo alcune edizioni, si torna all'ingresso gratuito. Come manifesto allude, Cinemambiente avrà un red carpet ecologico, con ospiti su due ruote: il tappeto rosso sarà la ciclabile davanti al cinema Massimo.
Ma l'idea più curiosa è quella del programma “smaterializzato”: di cartaceo è stato stampato solo un opuscolo con presentazione delle sezioni, alcune sinossi minime e uno schema con titoli, sale e orari; le schede dei film saranno consultabili sul sito o tramite le applicazione ufficiali. Scelta ecologista, ma che appare anche in anticipo sui tempi e impone un cambiamento di abitudini per il frequentatore festivaliero. Infine, al principale luogo di proiezioni, il Massimo, si aggiungono appendici in altre realtà torinesi, alcune nate da poco: Piccolo Cinema, Cecchi Point, Cineteatro Baretti, Centro Studi Sereno Regis.
Apertura con Virunga di Orlando von Ensiedel, incentrato sull'omonimo parco nazionale del Congo, teatro di guerra fra i suoi giovanissimi ranger e le milizie armate che ne vorrebbero le risorse. Il film è inserito nel “Concorso internazionale documentari”, che comprende anche, tra gli altri, Serra Pelada-A lenda da montanha de ouro di Victor Lopes, sulla pittoresca, sfruttatissima miniera a cielo aperto brasiliana; Song from the Forest di Michael Obert, storia di un uomo recatosi in Africa a vivere con la tribù dei bayaka, che torna a New York col figlio a cui l'ha promesso; Divide in Concord di Kris Kakzor, con la sua anziana signora decisa a bandire dalla città del Massachusetts le bottiglie di plastica; il canadese Just Eat It-A Food Waste Story di Grant Baldwin, che dimostra come si può vivere con gli scarti del sistema alimentare americano; il francese Vendanges di Paul Lacoste, che racconta la vendemmia nel sud della Francia, tra lavoro faticoso e lotte sindacali; l'austriaco Population Boom di Werner Boote che indaga, viaggiando, sul sovrappopolamento della Terra; l'italiano Çapulcu-Voci da Gezi, a dieci mani, su protesta e repressione nel parco di Istanbul, un anno fa.
Nel “Concorso documentari italiani” si parla di nord e sud del paese, di presente e passato. In Buongiorno Taranto di Paolo Pisanelli si raccontano “tensioni e passioni” degli abitanti della città dominata dal famigerato stabilimento siderurgico. A Burning Dream di Massimiliano Davoli è ambientato nel Black Rock Desert del Nevada durante un festival basato su performance collettive, mentre con The Stone River di Giovanni Donfrancesco ci si sposta a Barre, nel Vermont, dove a fine Ottocento i carraresi lavorarono nelle cave di granito e poi si ammalarono di silicosi. La' suta-La nostra eredità nucleare in un triangolo d'acqua, firmato anche da Daniele Gaglianone, tratta di Saluggia, cittadina non lontana da Torino, da tempo luogo di ricerche nucleari e ora di un nuovo deposito di scorie. Tema di The Toxic Burden il recente “boom” delle allergie.
In “Panorama Italia”, In viaggio con Cecilia di Cecilia Mangini (anziana documentarista; All'armi siam fascisti! uno dei suoi lavori più noti) e Mariangela Barbanente, che aveva fatto una fugace apparizione in sala. Un viaggio in Puglia ragionando, con immagini d'archivio, sull'industrializzazione del territorio. Ancora sud in Nella terra dei fuochi, sul territorio tra Napoli e Caserta in cui una cooperativa ha recuperato un campo, e Ritratti abusivi, sul quartiere fantasma di Parco Saraceno, alle porte di Castel Volturno, costituito da case abusive. L'economia alternativa è tema di L'oro dei folli, sullo Scec, buono funzionale a un sistema di sconti.
Mediometraggi nel “Concorso internazionale One Hour”: lo svedese Microtopia parla di nuovi modelli abitativi e case portatili, The Silver Mirror del crescente invecchiamento della popolazione mondiale, il tedesco Footprints of War dell'impatto ambientale risultato delle guerre, Cherche zone blanc désespérément dell'elettrosensibilità.
In chiusura del festival, ThuleTuvalu di Matthias Von Gunten, su due realtà a rischio per l'innalzamento delle acque: Thule, in Groenlandia, è minacciata dallo sciogliersi dei ghiacci mentre Tuvalu, stato insulare polinesiano, rischia la scomparsa.
Infine, il “Panorama cortometraggi”, nel quale va rilevato l'olandese When Elephants Dance, the Grass Gets Beaten di Jan van den Berg: Moon è in procinto di sposarsi, in una Cambogia dal territorio svenduto alle multinazionali e i cui abitanti (compresi i suoi compaesani) si devono spostare in Thailandia. I fantasmi di Malpensa mostra le case abbandonate intorno all'aeroporto, e il francese Les Brigands fa incontrare due giovani borseggiatori con un cinghiale, nella foresta. Non mancano corti d'animazione come The Incredibile Elastic Man, La reliquia rivoltosa, La Fille aux Feuilles.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival

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SGUARDI ALTROVE - Almas en juego, di Ilaria Jovine

20/3/2014

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Ilaria Jovine, giovane film maker laureata in Storia della Letteratura Italiana Contemporanea – è nipote dello scrittore Francesco Jovine – con un trascorso artistico che spazia dal teatro al cinema alla televisione, nel 2012 inizia le riprese del docufilm Almas en juego. Selezionato alla XXI edizione di Sguardi Altrove Film Festival, il lavoro della regista italiana tenta di dare una risposta per quanto possibile positiva alla domanda: è possibile realizzare un documentario d'amore? A un desiderio di fedeltà alla storia vissuta dai suoi personaggi e al loro privato si dedicano quindi gli intenti della Jovine, che con una troupe ridotta ai minimi termini, e un budget di soli diecimila euro, approccia la sorprendente relazione tra la giovane colombiana Diana e il romano Nicola.
Alma en juego è il nickname con cui Nicola si “muove” nella rete delle chat e con il quale riesce a conoscere Diana. Entrambi sono alla ricerca di una via di scampo da una vita che offre solo risentimento e delusioni: lui è da poco uscito da una dolorosa relazione amorosa con una prostituta, lei è, invece, legata a un uomo tossicodipendente dal quale ha avuto un figlio, Nicolas, per il quale desidera un futuro migliore, o perlomeno sereno. Queste due anime, separate dalla vastità dell'oceano Atlantico, instaurano così una storia a distanza che dapprima rimane desiderio virtuale relegato allo schermo di un computer, ma poi, non senza problematiche logistiche e sentimentali, diventa man mano reale e solida.
È Nicola il primo a prendere la decisione di partire, in fuga dagli stress lavorativi di una Italia troppo legata ai beni di consumo e all'impossibilità di instaurare relazione sincere. L'uomo si trasferisce a Chinchinà, in Colombia, per poter conoscere di persona Diana. Tra i due è amore, reale e concreto, a prima vista, ma le difficoltà economiche diventano progressivamente una questione difficilmente risolvibile. Decidono quindi, insieme al piccolo figlio di lei, di trasferirsi a Roma, in una piccola casa in collina. Questo ritorno in Italia rappresenta per Nicola una sfida da affrontare con la maturità e la consapevolezza di essere una persona diversa, con una relazione stabile e con la responsabilità del futuro di Nicolas. Tutto ciò non può che costringerlo a rifare i conti con la sua terra natia e quel vuoto esistenziale che l'ha precedentemente costretto alla fuga.
Almas en juego non è semplicemente il tentativo di una giovane regista di realizzare un documentario sull'amore, ma, in maniera più approfondita, tratta come usare una cinepresa per “documentare un amore”, ovvero dire e raccontare fasi, tempi e luoghi di un incontro incredibile che ha il potere di liberare e donare gioia. La relazione tra Nicola e Diana, come suggerisce la regista «è una storia d'amore, certo, romantica come non lo sono oggi neanche più quelle dei film; ma […] è anche e soprattutto la storia di un lotta per la felicità, combattuta da due persone che non vorrebbero credere però che la felicità consista in denaro, prestigio sociale, bellezza esteriore, oggetti da possedere e consumare, bensì che l'amore da solo basti».
Con Almas en juego, Ilaria Jovine realizza un documentario che cresce con il passare dei minuti, e dopo un inizio forse troppo legato al difficilissimo vissuto dei suoi protagonisti – che permette una scarsa immedesimazione – trova progressivamente il coraggio di ambire a una dimensione sociale più ampia, trascendendo “il particolare” per una più fruttuosa visione d'insieme che, evitando sterili contrasti didascalici tra povertà e sogni consumistici, mira a offrire una piccola, intima e sincera storia d'amore.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Titolo originale: Almas en juego
Anno: 2013
Regia: Ilaria Jovine
Sceneggiatura: Ilaria Jovine
Fotografia: Roberto Mariotti
Durata: 60’
Attori principali: Nicola, Diana, Nicolas

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BFM 32 - Il programma: la forza delle idee

5/3/2014

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Si svolgerà dall'8 al 16 marzo, con sedi principali presso l'Auditorium di Piazza della Libertà e l'adiacente Cinema San Marco, la trentaduesima edizione del Bergamo Film Meeting. 
Nell'affollato panorama festivaliero italiano, quello della città lombarda è senza alcun dubbio uno degli eventi più belli, nonché uno dei pochi realmente indispensabili. Una manifestazione che negli anni ha saputo costruirsi una solidissima dignità, riuscendo a proporre sempre cinema di qualità, programmi di sicuro interesse e intuizioni di assoluto rilievo (ad esempio la splendida retrospettiva dedicata a Robert Guédiguian lo scorso anno), trovando una propria e radicata ragion d'essere, a differenza di altri festival più grandi e blasonati ma fondamentalmente inutili, per non dire dannosi.
Nonostante gli ormai consueti e immancabili tagli al budget, anche stavolta gli organizzatori sono riusciti a mettere in piedi un cartellone ampio, vario e ricco di spunti e idee brillanti. Innanzitutto il concorso ufficiale, con sette film europei tutti in prima visione italiana: il francese La dune (con Niels Arestrup, fresco vincitore del suo terzo César), il finlandese Silmatera, il belga Yam dam, il britannico Leave to Remain (con Toby Jones), il rumeno Roxanne, lo sloveno Zapelji me e l'olandese Wolf.
Ancora nel nome dell'Europa, e di un cinema capace di inventare il futuro, come recita uno degli slogan del festival, si pongono le intriganti retrospettive tutte al femminile dedicate ad autrici da scoprire o riscoprire: la napoletana Antonietta De Lillo, l'austriaca Jessica Hausner e l'islandese Sólveig Anspach, regista multiculturale che negli anni ha lavorato sul doppio binario documentario-fiction, viaggiando per il mondo per poi trovare da molti anni una definitiva sede di vita e lavoro in Francia. Così come per le altre autrici appena citate, tutte le opere della Anspach saranno proiettate a Bergamo: tra i titoli, non possiamo non citare l'intenso dramma Haut les coeurs!, del 1999, che fece vincere a Karin Viard il César come miglior attrice dell'anno, e il nuovo Lulu femme nue, appena uscito nei cinema transalpini con grande apprezzamento di pubblico e critica.
Al BFM non mancherà inoltre un'ulteriore retrospettiva dedicata al bravissimo animatore francese Pierre-Luc Granjon, e notevole spazio sarà riservato ai documentari (la consueta sezione "Visti da vicino"), tra i quali incuriosisce molto il bizzarro docu-fiction inglese The Imposter, transitato al Sundance. Ci saranno anche cortometraggi, proiezioni per le scuole, anteprime (La luna su Torino di Ferrario, Devil's Knot di Egoyan) e come ogni anno, per i cinefili più resistenti, una fantamaratona notturna (lo scorso anno terminò alle 3.47 del mattino!) con la proiezione del delizioso Per favore, non mordermi sul collo di Polanski seguito dal leggendario Carrie di De Palma.
Gli appuntamenti elencati già sarebbero sufficienti, ma il Bergamo Film Meeting è ogni volta un luogo in cui il passato torna a splendere. Anche quest'anno troverà dunque tantissimo spazio il glorioso cinema che fu, con una corposa retrospettiva (23 titoli) dedicata a Dirk Bogarde, durante la quale si rivedranno capolavori come The Servant di Losey, La caduta degli Dei di Visconti e Providence del compianto Alain Resnais, e un ulteriore percorso tematico intitolato “Ma papà ti manda sola?”, con una decina di pellicole che hanno saputo abbracciare ai massimi livelli i dettami della screwball comedy, dallo straordinario It happened one night di Capra a Bringing Up Baby di Hawks.
Insomma, chiunque transiterà dalle parti di Bergamo nei prossimi giorni non potrà non trovare molteplici ingredienti gustosi e diversificati con cui sfamare un'inesausta sete di cinema e ricerca, capace di abbattere qualsiasi confine culturale e temporale; il tutto nel caldo tepore di un festival che, come sempre e meglio di molti altri, sa abbracciare il passato, scavare nel presente e corteggiare l'avvenire. 

Alessio Gradogna

Il programma completo sul sito ufficiale

Sezione di riferimento: Festival

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CINEMAMBIENTE 16 - Ecologia a Torino

27/5/2013

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Sta per tornare, al cinema Massimo di Torino e alcuni luoghi limitrofi, Cinemambiente. Un festival piccolo ma necessario, dati i temi che i lavori scelti anche quest'anno, in massima parte documentari (più un poco di animazione e zero fiction, se non nella sezione per bambini e scuole Ecokids, con film della stagione), cercano di portare alla conoscenza.
L'apertura spetta a The Fruit Hunters di Yung Chang, un giro del mondo alla scoperta della frutta, dei suoi esemplari rari e scomparsi, con Bill Pullman tra gli intervistati, mentre il film di chiusura è More than Honey (tradotto come Un mondo in pericolo) di Markus Imhoof, sulle api e la loro ipotizzata e temuta scomparsa. Tra i lungometraggi fuori concorso anche El impenetrable, coproduzione franco-argentina ma diretta dagli italiani Daniele Incalcaterra e Fausta Quattrini: un uomo che ha ricevuto in eredità ettari di terreno in Sud America vi si reca con le migliori intenzioni, scontrandosi con l'ostilità dei proprietari terrieri e la burocrazia.
Nel Concorso Internazionale Documentari, uno dei titoli sulla carta più forti è l'inglese Trashed di Candida Brady, già a Cannes, in cui, accompagnati da Jeremy Irons e con la musica di Vangelis, andiamo alla scoperta degli enormi problemi che la gestione dei rifiuti presenta al mondo. Stuzzicante Fuck for Forest di Michal Marczak, sulla controversa coppia tedesca che produce pornografia amatoriale... per il bene della natura: l'acquisto di ettari di foresta amazzonica. Il canadese Lost Rivers ricerca i fiumi sotterranei e dimenticati delle città; il belga Snake Dance ripercorre anche geograficamente la nascita del nucleare; il francese All of us guinea pigs now? si domanda se siamo cavie, tra OGM, pesticidi e inquinamento nucleare; The Unbelievers ha per protagonista l'etologo/biologo Richard Hawkins, conferenziere di laicità e razionalità. Char... The No Man's Island è ambientato in un'isola tra Bangladesh e India, popolata di rifugiati dalle piene, che è diventata un microcosmo autosufficiente a causa del contrabbando di ogni tipo di merce, mentre la cittadina fra Polonia e Ucraina protagonista di Drill Baby Drill si batte contro un progetto di trivellazioni con fratturazione idraulica.
Nel Concorso Documentari Italiani, occhi puntati su Materia oscura di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, coppia il cui Castello aveva vinto un premio al penultimo Torino Film Festival. L'ultimo film, presentato a Berlino, ruota intorno al poligono del Salto di Quirra in Sardegna, su cui sono state testate e fatte brillare armi, con le conseguenze del caso sul territorio, per anni. Tema affrontato attraverso filmati d'archivio, un geologo che cerca di capire lo stato della zona e due allevatori che vi lavorano. Produzione e focus italiani anche per i corti L'età del cemento, sulla cementificazione in Lombardia e Il fosso bianco sulla cittadina di Rosignano Solvay, ancora inquinatissima dall'amianto; per i documentari in concorso Teorema Venezia, sul turismo che schiaccia la città e Il giorno che verrà su alcuni brindisini membri del movimento No al carbone.
Nel Concorso Internazionale Documentari One Hour, per titoli dalla durata inferiore ai 60', il canadese Orange Witness racconta storia ed effetti del famigerato defoliante americano utilizzato durante il conflitto col Vietnam. Il tedesco Food Savers è sullo spreco e la possibilità di risparmio del cibo, il francese Nos Vieux Discount esplora le conseguenze del modello di vita basato sullo spendere il meno possibile e l'inquietante Rawer vede un ragazzo obbligato dalla madre a una dieta di solo cibo crudo. Black Out viaggia più lontano, fino ad alcuni giovani di una cittadina della Guinea che cercano le pochi fonti di luce durante la sessione esami.
Il Concorso Internazionale La Casa di Domani offre una manciata di lavori tematicamente compatti: Critical Mass di Mike Freedman e Ultima chiamata di Enrico Cerasuolo parlano di sovrappopolazione della Terra, il danese The Human Scale di vivibilità delle città analizzata da un architetto, I Have Always Been a Dreamer si incentra su due metropoli, Detroit e Dubai.
Panorama Cortometraggi è la nutrita sezione in cui si trova anche dell'animazione, come per gli animali di plastica in marcia di The Tourists Arrive!, la lattina sognatrice dell'italiano Lattinoir, con la voce di Maurizio Nichetti – che è anche presidente della giuria del concorso principale – e i rifiuti elettronici e informatici che si combinano in mosaici a ritmo di musica di Triptique: tripes, entrailles, visceres. Ancora, tra i corti documentari: Blue Marble Cafe - cosa c'è dietro un panino? - , E-Wasteland su una discarica abusiva in Ghana, Garbage Quarter sulla noncuranza nel trattare i rifiuti in Mali, l'inglese How We Live su alcuni progetti energetici in giro per il mondo.
Il festival dalla scorsa edizione non è più a ingresso gratuito e quest'anno sono disponibili biglietti singoli e abbonamenti. Il programma sul sito ufficiale.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival

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BIOGRAFILM FESTIVAL 2013 - Presentazione

24/5/2013

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Dal 7 al 17 giugno si terrà a Bologna la nona edizione del Biografilm Festival, manifestazione dedicata a film e documentari volti a rappresentare vere storie di vita. 
Parliamo di un evento in piena crescita, e ormai ben radicato nel panorama festivaliero nazionale, sia per la peculiarità della sua offerta, sia per il sempre più marcato interesse istituzionale e cittadino, come confermano le parole del direttore artistico Andrea Romeo: “il nostro è e vuole essere un festival multidisciplinare, tematico, urbano, che si snoda attraverso le proiezioni e la presentazione di libri e incontri, possibilmente a partire da storie che non si sono ancora tramutate in film ma che potenzialmente hanno tutti i requisiti per diventarlo”. 
A cavallo tra fiction e (soprattutto) realtà, a Bologna sfileranno decine di pellicole provenienti da tutto il mondo, quasi tutte inedite in Italia, grazie alle quali ogni spettatore potrà immergersi in biografie di volta in volta complesse, ironiche, tragiche, ma sempre utili per rappresentare una vita e tante vite, una storia e tante storie, esplorando diramazioni sociali, private, politiche e culturali, con un occhio sempre rivolto al mondo contemporaneo e al futuro che ci attende (Look Forward, come recita il titolo dell'edizione 2013).
Ricco e intenso il programma, diviso in sezioni tematiche ben distinte. Innanzitutto il concorso internazionale, con dieci opere selezionate tra le oltre 400 giunte all'attenzione del festival. Tra le altre, possiamo senz'altro segnalare Elena, di Petra Costa, progetto dedicato a una donna fuggita dalla povertà del Brasile e scomparsa nel nulla; For No Good Reason, sull'illustratore e caricaturista inglese Ralph Steadman; The Man Behind the Throne, su Vincent Paterson, coreografo di Madonna e Michael Jackson; Pussy Riot, incentrato sulle gesta ribelli di quattro musiciste punk russe; Wrong Time Wrong Place, con vite comuni segnate da un destino beffardo. 
Interessante anche la sezione Contemporary Lives, con personaggi e temi che hanno segnato il nostro presente: tra gli altri Big Easy Express, documentario on the road a tempo di rock; The House I Live In, dedicato alla lotta contro la droga e nominato all'Oscar; La maison de la radio, girato negli studi di Radio France; The Gatekeepers, con scioccanti dietro le quinte del conflitto mediorientale; Searching for Sugar Man, su Sixto Rodriguez, premiato con l'Oscar 2013 e scelto come evento d'apertura del festival.
Moltissimi anche i titoli di Biografilm Italia, incentrati sulla realtà nazionale o locale, mentre di notevole utilità sarà senz'altro la sezione Activism, indirizzata verso i fenomeni di attivismo politico e sociale al tempo dei social network.
Infine, una chicca da non perdere: la retrospettiva dedicata a Ed Lachman, uno dei più rinomati direttori della fotografia del cinema hollywoodiano. Lachman sarà a Bologna nelle vesti di presidente di giuria, e il festival proporrà una selezione di film in cui ha lavorato: impossibile non citare lo splendido Lontano dal paradiso di Todd Haynes, il notevole Erin Brockovich di Soderbergh, il testamentario (purtroppo) Radio America di Altman, e la Trilogia del Paradiso di Ulrich Seidl. L'elenco completo dei film e il programma completo saranno disponibili sul sito ufficiale. 
Appuntamento dunque a Bologna, dal 7 al 17 giugno, per un affascinante viaggio nelle vite degli altri.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival

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FCAAAL 23 – I segreti di Kabiria

8/5/2013

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Oltre che per la folta presenza di lungometraggi e corti inseriti nelle varie sezioni, il Festival del cinema africano, d'Asia e d'America Latina si distingue per l'ampio spazio riservato ai documentari, strumenti grazie ai quali esplorare situazioni spesso scomode o perfino tragiche che accompagnano le realtà prese in esame. Tra i vari lavori appartenenti alla categoria visti in questi giorni a Milano si è ritagliato un posto importante e significativo I segreti di Kabiria, diretto dal triestino Gianpaolo Rampini, documentarista indipendente, compositore e operatore televisivo.
Nello slum di Kabiria, in Kenia, vivono tante single mothers, ragazze madri abbandonate dai propri mariti e costrette a utilizzare ogni mezzo per tirare avanti. Nella povertà, nel fango, nel marciume, circondate da bambini senza identità che vivono in strada, snobbate da uomini per i quali la poligamia è un normale dato di fatto, queste donne faticano a trovare il cibo per poter nutrire se stesse e i propri figli. Finiscono così quasi sempre a rubare i cellulari ai turisti per riuscire a guadagnare qualche soldo, e molte di loro, di notte, abbandonano le proprie abitazioni per andare a prostituirsi. 
Il doc, terminato poche ore prima della proiezione milanese, frutto di anni di lavoro, segue la giovanissima Wairimu, madre single sin dall'età di tredici anni. Insieme a lei, l'attenzione va ad altre donne che condividono la situazione della protagonista. Nonostante siano talvolta amiche tra loro, le ragazze tengono nascosto il segreto della loro doppia vita; non si confidano con nessuno, soffrono nella solitudine, faticano perfino a sentirsi esseri umani. Grazie al lavoro di Rampini e della sua troupe, un po' alla volta assistiamo però a un fondamentale cambiamento: Wairimu e le altre donne si riuniscono in gruppo, cominciano a condividere le proprie esperienze, e aprono un lungo viaggio che le porta dentro e fuori i confini dell'Africa per trasmettere le loro storie di vita, raccogliendo nel contempo le testimonianze di tante altre persone con situazioni similari. Il documentario si conclude con una sfilata, organizzata da un'associazione finlandese: un evento pubblico in cui le single mothers attuano la loro definitiva apertura al mondo.
Donne ai margini della società, senza nemmeno un nome impresso in una carta d'identità, con cui poter cercare un lavoro onesto e richiedere i minimi servizi assistenziali; bambini di strada che rovistano nell'immondizia, destinati a un futuro di non esistenza; furti e prostituzione come unici possibili strumenti di sussistenza; fame e miseria, abbandono e rassegnazione; una realtà oscura, senza luce, senza più sogni. Il bellissimo lavoro di Rampini attua un importante studio a livello sociologico ed etnografico incentrato sul recente processo di inurbanizzazione che si è solidificato in molti paesi dell'Africa, e riesce a emozionare il pubblico per la sensibilità dimostrata nel lungo periodo trascorso dagli operatori in Kenia. Il regista non cerca soluzioni improbabili, e non propone miracoli: il suo intento è fornire un aiuto piccolo ma concreto e importantissimo, per donare a queste donne un nome, uno scopo, un progetto, una dignità, un soffio di autostima. 
L'obiettivo risulta alla fine pienamente centrato, e il sorriso imbarazzato e orgoglioso di Wairimu sul Red Carpet ci lascia in eredità un profondo e vibrante senso di partecipazione ed empatia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival

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Scheda tecnica

Regia: Gianpaolo Rampini
Sceneggiatura: Alessandra Raichi, Gianpaolo Rampini, Lorenzo Pavolini
Fotografia: Gianpaolo Rampini, Maxwell Odhiambo, Kelvin Njanngweso
Montaggio: Gianpaolo Rampini, Alessandra Raichi
Durata: 65 min.

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