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IL CINEMA RITROVATO 31 - Nel tempo e nello spazio

3/7/2017

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Il Cinema Ritrovato, al 31° atto, offre ormai un programma persino troppo pieno, al punto da generare un po' di frustrazione anche nel riepilogarlo.
Come sempre ci si muove nel tempo e nello spazio. Nel tempo perché si sono visti film del 1897, di Alexandre Promio, addestratore di operatori Lumière che firma centinaia di vedute, anche dall'Africa. E cinema del 1917, anno di guerra e delle rivoluzioni in Russia: da lì, alcuni film di Evgenij Bauer.
​Poi, pescando: Fear fa incontrare il regista Robert Wiene e l'attore Conrad Veidt prima de Il gabinetto del dottor Caligari. Protagonista un uomo che ha paura, perché per avidità ha sottratto un idolo sacro da un tempio. Un sacerdote si manifesta annunciandogli la morte di lì a sette anni: che saranno di bella vita, prima della tragedia. Soggetto impegnativo, che Veidt rende con una recitazione marcata. Un film di Victor Sjöström, La ragazza della torbiera, che ha deluso un po' ma vanta almeno qualche riuscito passaggio (come quello di imbarazzo familiare alla presenza della cameriera co-protagonista, considerata una ragazza immorale) ed è curioso, nella seconda parte, il suo basarsi su un particolare di cui il protagonista si è dimenticato al pari, probabilmente, dello spettatore. Brevi film animati, più i 41' de La guerra e il sogno di Momi di Segundo de Chomón, gioiello a passo uno che sotto le spoglie di un film per ragazzi mostra la crudeltà del conflitto mondiale.
Il regista italiano omaggiato è Augusto Genina, con muti quali il dramma L'innocenza del peccato con Maria Jacobini, film con un ritmo e una capacità di agganciare alla storia narrata superiore ad altri muti italiani. E sonori come l'interessante Les amours de minuit (1931) nella versione francese co-diretta con Yves Allégret – all'inizio sembra un talkie lentissimo ma poi si rivela praticamente un noir, attentamente padroneggiato – e Maddalena nella versione francese, a colori. Il che ci porta alla sezione sul colore nel cinema, e relativi lungometraggi in Technicolor e 35mm: Rancho Notorious di Fritz Lang e tre film di Douglas Sirk tra cui Magnifica ossessione sono solo alcuni esempi.
In “Colette e il cinema”, film sceneggiati o recensiti dalla scrittrice, oppure tratti da suoi romanzi. Come Divine di Max Ophüls e la prima versione di Gigi (che lui avrebbe dovuto girare). Il film sfoggia qualche motto di spirito colettiano, ma ci sarebbe voluto forse più umorismo e personaggi, come quello dello spasimante della protagonista, più a fuoco.
Tra le cose viste in Piazza Maggiore spicca il prologo de La roue di Abel Gance: 25 minuti che catturano, tra un drammatico incidente ferroviario e più leggere immagini di felicità familiare, in un montaggio rapido con molteplici effetti di colorazione. È l'assaggio del restauro di un'opera monstre, che si vedrà tra un paio d'anni. Seguiva La corazzata Potemkin con partitura originale eseguita dal vivo: chi scrive l'ha persa, ma chi c'era dice di una proiezione semplicemente esaltante. Poi The Patsy, con una vivace Marion Davies diretta da King Vidor. Tre serate di proiezioni con lanterna a carbone nella piazzetta Pasolini: Innocence-Little Veronika di Robert Land valorizza con la regia una storia parzialmente banale, quella di una fanciulla ingenua che va ad abitare con la zia maîtresse e cade tra le braccia di un seduttore.
Continua il progetto Buster Keaton, che oltre a corti e lunghi – come Io e il ciclone – ha proposto un programma di apparizioni tv, difficilissimo da organizzare per l'ottenimento dei materiali e frutto di un ridimensionamento. Spicca The Awakening (1954), episodio di una serie antologica. Storia distopica e rivoluzionaria ispirata a Il cappotto di Gogol', è un breve lavoro compiuto in cui Keaton interpreta un ruolo serio.
Nei documentari: l'ultimissimo lavoro di Rossellini, Beaubourg – del 1977, sull'inaugurazione del Centre Pompidou – , Becoming Cary Grant e (ancora in progress) Nice Girls Don't Stay for Breakfast su Robert Mitchum. Dell'attore omaggiato dall'immagine ufficiale di questa edizione si sono visti tra gli altri l'imprescindibile Le catene della colpa e il piccolo cult noir Gli amici di Eddie Coyle.
Viaggio nel tempo, si diceva, e nello spazio: torniamo alle cinematografie lontane. Per il cinema messicano dell'epoca “d'oro” (ma si spazia tra 1933 e 1960), film sulla rivoluzione nel paese come La sombra del caudillo di Julio Bracho, a lungo censurato. Dall'Iran, Samuel Khachikan, regista rimosso di cinema di genere negli anni '50 e '60, il thriller Strike tra i suoi titoli più apprezzati. E, ovviamente, una sezione giapponese. In una selezione di jidai-geki e drammi della seconda metà degli anni '30 spicca Umanità e palloni di carta, noto per essere uno dei pochissimi sopravvissuti di Sadao Yamanaka.
Usa: cinema degli anni '30 sia nella seconda parte dell'omaggio alla Paramount guidata da Carl Laemmle jr. sia nel focus su William K. Howard. Nella prima sezione si è visto E adesso, pover'uomo? di Frank Borzage: sfortune e ripartenze di una coppia positiva, nella poetica del regista. Di Borzage, in altra sezione, pure Secrets, muto con Norma Talmadge un poco deludente, curioso per il succedersi di toni ma anche di generi (c'è una parte western, con violento assedio), però lento e serioso. Howard è un regista relativamente sfortunato, noto soprattutto per Il potere e la gloria con Spencer Tracy che anticipa Quarto potere. L'uso di set interconnessi e uno stile fotografico con “geometrie di ombre e audaci effetti in controluce” sono citati dal catalogo tra i suoi segni stilistici, e li si ritrova anche in un film che intrattiene come Transatlantico, tra commedia corale e thrilling, aperto da movimenti di macchina che si fanno notare.
“Cauto sognatore: la malinconia sovversiva di Helmut Käutner” ha presentato otto film di un regista tedesco che definire eclettico pare banale (ma pertinente), tra Under the Bridges, girato tra le distruzioni del dopoguerra e Mad Emperor: Ludwig II; mentre A Glass of Water (1960), commedia a colori bagnata di musical, è molto interessante per l'antinaturalismo del set – gli ambienti di una corte – ma completamente autoreferenziale.
Nella macro-sezione “Ritrovati e restaurati” di tutto, da Giungla d'asfalto a Blow-Up, ma da citare due chicche italiane: “il primo grande film sul motociclismo” (almeno nostrano e secondo la stampa d'epoca), I fidanzati della morte di Romolo Marcellini (1956), e Romano Scavolini che ha presentato la versione pre-censura del suo sperimentale A mosca cieca – che Zomia Cinema ha intenzione di far circolare prossimamente – .
Infine il lavoro sulla scarna filmografia di Jean Vigo, con L'Atalante restaurato dalla copia originale, con altro materiale proiettato a parte, e Zero in condotta dalla copia della Cineteca Italiana, leggermente più lunga e “integrale” della versione vista in seguito.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Reportage

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IL CINEMA RITROVATO 30 - Listen to me Marlon, di Stevan Riley

12/7/2016

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Marlon Brando ha parlato di sé a se stesso, e ora tocca a noi ascoltarlo. Stevan Riley, documentarista inglese il cui penultimo lavoro era sui 50 anni del James Bond cinematografico,  interpellato da Rebecca Brando (figlia dell'attore) ha avuto accesso alle circa 300 ore di materiale lasciato da Marlon nella sua proprietà di Los Angeles. Materiale soprattutto audio: cassette cui Brando ha affidato, nella sua solitudine, una sorta di autoanalisi e autonarrazione di una carriera, compresi alcuni esperimenti di autoipnosi.
L'idea di impostare un documentario da questi elementi sonori si rivela sicuramente vincente e dà forma a un biopic che gli anglofoni definirebbero “insightful”. Listen to me Marlon si distingue dai consueti documentari biografici perché non ci sono i “soliti” mezzobusti intervistati che punteggiano la visione raccontando la loro su un'altra persona: c'è invece la voce del protagonista ad accompagnarci per un'ora e quaranta e le voci di altri sono pochissime, una delle più significative quella di Bertolucci quando si giunge a Ultimo tango a Parigi. In questo modo si getta una luce ad ampio raggio non solo su un grande attore ma anche sull'uomo Marlon Brando, contribuendo a umanizzare un “mostro sacro” della storia del cinema, andando molto al di là dell'immagine che se ne potrebbe superficialmente avere, quella di un attore simboleggiante un modo di intendere la recitazione e che ha lasciato alcune interpretazioni titaniche, ma anche uomo bizzarro e presuntuoso.
​
Se il dire di sé implica inevitabilmente una visione di parte, Brando non è indulgente con se stesso; sentiamo riflessioni dal sapore wellesiano (“tutti recitiamo, tutti mentiamo”), ma l'istinto è quello di metterle da parte durante la visione, perché nonostante tutto si respira sincerità. Dice di avere vissuto con un costante senso di inadeguatezza, ma i concetti su cosa significhi la professione del recitare li ha chiari: non essere la copia di qualcun altro, arrivare alla verità, sorprendere lo spettatore, fermandogli il tragitto dei popcorn tra la mano e la bocca. 
Dalla giovinezza, segnata da genitori problematici – una madre “poetica” ma alcoolizzata e un padre violento (e vediamo una “ipocrita” intervista tv, col papà che affianca il figlio già famoso e qualche freddo segno d'affetto tra i due) – , ai germi dell'inclinazione attoriale (la curiosità nell'osservare le persone per strada), all'apprendistato Actor's Studio sotto la guida di Stella Adler,  si arriva al cinema. Per Uomini, primo ruolo, passa del tempo tra paraplegici prima di interpretarne uno. Poi i film con cui entra nel mito: Un tram che si chiama desiderio (e Brando dichiara di odiare il diversissimo da sé Stanley Kowalski), Fronte del porto, seguiti dal Technicolor di Bulli e pupe. 
Il grande schermo, però, non è tutto. Brando dice di divertirsi sul set, ma quando l'aggressiva folla alla prima del musical cerca di braccarlo è turbato e portato a riflettere sull'assurdità di fama e fanatismo. E nei riguardi della discriminazione di cui è storicamente capace il suo paese, delle basi violente su cui poggia, Brando si è sempre schierato contro, con una mai celata coscienza “politica” che lo spinge dalla parte degli afroamericani, oltre che degli indiani d'America: c'è la famosa, mancata consegna dell'Oscar per Il padrino, con la comparsa sul palco dell'Academy della giovane squaw, e un Brando che pronuncia parole di piombo contro gli Stati Uniti (“Il popolo più aggressivo, più rapace...”). L'esperienza estremamente negativa sul set de Gli ammutinati del Bounty lo porta però alla conoscenza e all'amore di un luogo e una popolazione ignari dei valori occidentali, rimanendo stregato dalla naturalità e gentilezza della sua gente – e dalla terza moglie – .

Se l'opportunità di accedere alla mole di parole registrate dal protagonista stesso è una carta vincente del film, un po' meno convincente a conti fatti è l'impostazione narrativa e drammatizzante. Difficile parlare di tutto, ma forse è un peccato che non ci sia traccia del lavoro di Brando negli ultimi decenni di vita, a prescindere dal livello qualitativo. Ci si ferma agli iperpagati ruoli in Superman (con Brando che riceveva le battute da un auricolare indossato dal suo personaggio) e, ovviamente, Apocalypse Now (per il quale Coppola prende insulti). Drastico che degli anni '80, '90 e dei primi 2000 – da La formula a The Score – , non si faccia cenno: lo spettatore potrebbe trarne che Brando si fosse completamente ritirato.
Dopo i colossi di fine anni '70, il film ritorna al suo incipit e fa riprendere corpo ai drammi familiari  dell'attore: i colpi d'arma da fuoco che segnarono l'omicidio, da parte del figlio Christian – poi condannato a 10 anni – , del fidanzato della sorellastra Cheyenne, proprio nella villa dell'attore, e più en passant il suicidio di Cheyenne. Per mostrare quel che non è possibile mostrare, la morte di Brando, Stevan Riley sceglie la scena del Padrino in cui Corleone si accascia mentre sta giocando col nipote. Al volto dell'attore ricreato attraverso pixel blu fluttuanti, digitalizzato, sono affidate invece apertura e chiusura del film, scelta funzionale a un discorso sul continuare a vivere.
Sono quindi possibili osservazioni rivolte a Listen to me Marlon – compreso un tappeto sonoro qualche volta al limite dell'enfasi – , che non ne mettono in discussione la riuscita. Il film cattura, ottimo nel ritmo e nel lavoro di taglio e cucito audio, frase dopo frase. Sarebbe stato interessante, considerata la personalità di Brando, anche un doc più tradizionale, ma probabilmente meno emozionante. Una curiosità: Candy e il suo pazzo mondo è citato come punto più basso della sua carriera.
Presentato l'anno scorso al Sundance, in Italia al Festival dei Popoli di Firenze e distribuito in home video (da Universal) prima della proiezione al Cinema Ritrovato come culmine dell'omaggio a Marlon, il doc ha ottenuto molte nomination nei festival e qualche premio (miglior documentario al San Francisco Film Critics Circle Awards 2015).

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Report


Scheda tecnica

Regia: Stevan Riley
Sceneggiatura: Stevan Riley, Peter Ettedgui
Musiche: Stevan Riley, Gary Welch
Montaggio: Stevan Riley
Anno: 2015
Durata: 103'

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IL CINEMA RITROVATO 30 - Cinema dal 1896 al 2016

6/7/2016

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Il Cinema Ritrovato ha compiuto 30 anni con una edizione colma di proposte; parafrasando quanto udito da una spettatrice, al termine ne sfogli il catalogo e ti accorgi di aver visto poco. Dar conto di tutto in poche righe è impossibile, si può solo saltabeccare tra le sezioni.
Da “Cento anni fa”, i 198 minuti di Intolerance di Griffith, due film di Mauritz Stiller (Vingarne, Balletprimadonnan), l'incantevole e composto “melodramma pittorico”- storico L'esclave de Phidias di Léonce Perret e altre piccole cose, anche italiane: drammi di forte retorica patriottico-bellica – Il sopravvissuto di Augusto Genina – e il restauro dello spietato melodramma dannunziano La fiaccola sotto il moggio con Helena Makowska.
​Un passaggio di qualche decennio ed ecco l'omaggio a Mario Soldati: se la bellezza ben più che “calligrafica” di Malombra è nota, La mano dello straniero da Graham Greene è migliore della sua scarsa fama critica, forte del personaggio del deprecabile dottore (Eduardo Ciannelli). Se è vero che Soldati amava gli attori lo si vede anche qui, ad esempio nella scena al bar col bambino. La provinciale con Gina Lollobrigida, trasposizione da Moravia strutturata in flashback di più personaggi tutti inerenti la protagonista, è un'opera esatta e senza giri a vuoto, con un'atmosfera drammatica e concentrata.
La comicità e i suoi grandi: Buster Keaton del quale prosegue il Progetto col restauro di alcune comiche, di Our Hospitality e Seven Chances, Stan Laurel con alcuni minuti ritrovati di una comica che parodizza Valentino, Oliver Hardy (e Jimmy Aubrey) in Maids and Muslin, Jerry Lewis (con Jerry 8 ¾) e, ancora, Chaplin, di cui si è rivisto in piazza Maggiore Il monello. Oltre alle proiezioni serali in questa cornice (Legittima difesa, Spettacolo di varietà, L'albero degli zoccoli, Valmont), alcune serate in piazzetta Pasolini con muti da proiettore a carboni, come il programma finale – un'ora circa di film delle origini fra trucchi e colorazioni ipnotiche – e Coeur fidele di Jean Epstein.
Alla sorella Marie, attrice, sceneggiatrice e regista (con Jean-Benoît Levy) è stata dedicata una sezione, con opere tra gli anni venti e i cinquanta: il muto Peau de pêche (1929) conquista con la sua delicatezza, sebbene non esente da una convinta dose di retorica giocata sul binomio vita (in campagna) e morte (la prima guerra mondiale)
Si resta in Francia e si torna indietro, di molto: la sezione “1896. Cinema anno uno” è andata alle fondamenta della settima arte con la produzione di quell'anno dei fratelli Lumière, protagonisti anche di un cofanetto e di una mostra completa (prosegue fino a gennaio) che spazia dal pre-cinema alla loro attività industriale, toccando il lavoro degli operatori fatti viaggiare per il globo intero. Piccolo spazio anche per Méliès, con i pochi film sopravvissuti datati 1896 più due ritrovamenti, Une séance de prestidigitation e Bouquet d'illusions.
​Nell'omaggio a Jacques Becker, i suoi grandi classici (Casco d'oro, Il buco) e film più “piccoli” ma lo stesso riusciti come Edoardo e Carolina (1951), fresca e amara commedia di crisi di coppia e differenze sociali.
Non su un regista, come di consueto, ma su un produttore il focus sul cinema Usa tra muto e sonoro: Carl Laemmle jr, figlio del più noto patron della Universal, che la ereditò tra 1928 e 1936. Una selezione eterogenea con opere musicali, come King of Jazz, film-rivista per il gusto d'oggi stancante, ma con curiosità estetiche (a cominciare dal Technicolor a due colori, col trucco a gote rosse sugli attori di ambo i sessi) e narrative (perché tra un esibizione musicale e l'altra, hanno spazio alcuni momenti degni di un film-barzelletta), e film di James Whale, come Remember Last Night?, un giallo-rosa con alcuni personaggi molto gradevoli (la coppia di detective, uno burbero l'altro idiota, e il maggiordomo sdegnoso dei vacui signori tra cui lavora), dal dialogo talora sin troppo rapido e smart e un po' meno convincente verso la fine, quando si prende più sul serio. Bello A House Divided di William Wyler con Walter Huston, essenziale dramma con la sua poderosa interpretazione di un duro, ottuso e violento vedovo pescatore che si risposa con una giovane senza essere ricambiato e stimolando la reazione del figlio, molto diverso e considerato dal padre un inetto.
Immancabili le sezioni su Giappone – e il suo colore – e sul “cinema del disgelo” sovietico anni '50. Nella prima anche un Mizoguchi (New Tales of the Clan Taira) e una trasposizione da Mishima che non ci si aspetterebbe, Natsuko's Adventure in Hokkaido, da un romanzo giovanile, presentato come melodramma ma in realtà film ibrido e leggero, arduo da etichettare, tra umorismo e modesti brividi di avventura, in una copia mancante in vari punti dell'immagine e nel prefinale del sonoro.
Dal 1916 ancora Russia, ma quella zarista con drammi (Nelli Rainceva e A Life for a Life di Evgenij Bauer) e trasposizioni letterarie/teatrali (The Queen of Spades da Puskin), in copie perlopiù in bianco e nero, senza le colorazioni d'epoca.
Su “Technicolor & co.” il festival continua a tornare: il thailandese Santi-Vina (1954), primo lungometraggio a colori in 35mm della nazione, e, tra gli altri, una copia “dorata” di Riflessi in un occhio d'oro e Marnie.
Nei “Ritrovati e restaurati”, il bel cubano Memorias del subdesarrollo di Tomás-Gutiérrez Alea, che unisce il (molto) privato del protagonista, con le sue relazioni, al pubblico (esplicito) delle “parentesi” sul paese. Un film molto vivo, ottimamente recuperato da materiali malmessi. Poi, Il sorpasso, Io la conoscevo bene, Westfront di Pabst, oltre a qualche titolo decisamente più recente come La promesse dei Dardenne. Altri ritrovamenti da segnalare: i primissimi corti di Jacques Rivette.
Da citare infine, all'interno di un omaggio a Marlon Brando che ha incluso anche i soliti Ultimo tango a Parigi e Il padrino, Listen to me Marlon di Stevan Riley, emozionante doc che racconta l'attore e l'uomo dalla gioventù ai drammi legati ai figli.
Piccola novità di quest'anno la segnalazione sul programma delle proiezioni in pellicola; meno graditi i ripetuti “tutto esaurito” alle proiezioni dei film muti pomeridiani nella (non capientissima) sala Mastroianni, non solo per film noti come Destino di Fritz Lang, ma anche per A Woman of the World con Pola Negri.
Appuntamento all'anno prossimo, nel quale dovrebbe aggiungersi una sala in più, in attesa di riapertura da parte della Cineteca: il Modernissimo, in piazza Maggiore.

Alessio Vacchi

​Sezione di riferimento: Festival Report

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IL CINEMA RITROVATO 29 - Scoprire, rivedere

9/7/2015

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427 titoli, otto giorni. Se altri festival negli ultimi anni hanno visibilmente sofferto dei tagli, è arduo dire lo stesso del Cinema Ritrovato, che ha proposto un programma ancora più fitto e per ogni gusto, tra i poli dello stravisto e del mai visto, come si legge nell'introduzione al catalogo, e una sala in più a ospitarlo – l'auditorium della Cineteca – .

Proviamo a dar conto di parte del programma, partendo dal “mai” visto e muovendo tra le sezioni. Rarità d'autore: Portrait of Gina aka Viva Italia di Orson Welles, prima puntata di una mancata serie per la ABC; Les mains sales di Aki Kaurismäki, per la tv, da Sartre; il corto di Truffaut Los 4 golpes, girato a Mar della Plata nel 1962 senza pretese; Visita ou memórias e confissões, film che de Oliveira voleva proiettato postumo.
L'omaggio allo storico direttore del festival Peter von Bagh, scomparso dopo la precedente edizione: il regista finlandese ha firmato numerosi documentari e un solo film (in parte) di finzione, il disprezzato all'epoca The Count, in cui un truffatore seriale di donne interpreta se stesso.
Significativa presenza italiana nella panoramica sul cinema di 100 anni fa: dive mute, come la Pina Menichelli de Il fuoco e Tigre reale, diretti da Giovanni Pastrone sotto lo pseudonimo Piero Fosco. L'attrice impersona una femme fatale sensuale e assai atteggiata, con uno stile recitativo così spudorato – il collo sempre offerto alla camera, gli occhi spalancati – da spingere al sorriso. Porta meglio i segni del tempo la recitazione di Francesca Bertini, vista in Assunta Spina di cui è anche co-regista. Il film (appena pubblicato in dvd) è stato proposto con una nuova soundtrack a base di canzoni napoletane, con un effetto stordente su cui poi ci si sintonizza (non privo talora di un velo d'ironia). L'omaggio a Valentina Frascaroli evidenzia i danni del tempo al muto: comiche col compagno André Deed (aka Cretinetti), il censurato all'epoca per ragioni politiche e morali Il delitto della piccina, il più noto L'emigrante di cui si ha solo un frammento, idem per L'uomo meccanico con Deed: ne fa le spese anche la sua presenza sullo schermo, come per Tigre reale, nella cui versione inglese superstite - con happy end - l'attrice, che era presente nell'ultima parte del film, non compare.
L'omaggio a Renato Castellani ha proposto anche due “director's cut”, Nella città l'inferno e Il brigante. Nelle “Rarità dal cinema italiano del dopoguerra” corti documentari di nomi noti, tra cui due di Valerio Zurlini in cui non van cercati segni del regista che sarà e L'amore povero di Raffaele Andreassi, film tratto da vere esperienze di prostitute, all'epoca stravolto e rititolato. Da segnalare anche il documentario su Andreotti e il cinema firmato Tatti Sanguineti.
Tra cinema delle origini e anni '30 il triplice omaggio ai Velle. Dai brevi film a trucchi e féeries di Gaston per la Pathé, passando per i film col figlio Maurice come operatore, come La princesse aux clowns, scritto da Mary Maurillo, che fu sua compagna e sceneggiatrice. Per quanto riguarda ancora il muto, nell'omaggio alla Gaumont per i 120 anni il celebre serial Les vampires è stato proposto anche in un'unica maratona.

Volendo allontanarsi, dal punto di vista geografico, c'era da attingere in cinematografie e personaggi importanti e misconosciuti. A cominciare da Albert Samama Chikly, pioniere tunisino, cineasta e fotografo che firmò molti lavori di non-fiction, documentando il paese e lavorando poi a film di finzione con la figlia Haydée come Zohra, primo film africano di cui resta un breve frammento; o l'Ousmane Sembène di La noire de... , tra i restauri della Film Foundation scorsesiana, che unisce a un approccio accostabile alla Nouvelle Vague un discorso politico-colonialista ma anche esistenziale, con protagonista una domestica di colore che si sente schiava e prigioniera, chiusa fra quattro mura in una Parigi che si fatica a vedere e che rende frustrata anche la padrona.
Due cinematografie non sembrano mai mancare al festival: quella dell'URSS e quella giapponese. Nella prima parte di una retrospettiva sul “Cinema del disgelo”, film dal 1952 al 1956 come l'ultimo di Vsevolod Pudovkin, The Return of Vasilij Bortnikov. “Armoniosa ricchezza-Il cinema a colori in Giappone” si concentra anch'esso sugli anni '50 con un “intruso”: il muto in copia colorata The Song of Home, primo film di Mizoguchi sopravvissuto. Lungometraggi filmati con procedimenti diversi (Eastmancolor, Fujicolor), compreso un altro più tardo Mizoguchi, New Tales of the Taira Clan.

Al solito, l'“indagine” sul colore prosegue con titoli perlopiù celeberrimi, in alcuni casi in copie 35mm d'epoca: il già proposto Il ladro di Bagdad (1940), Fantasia, Secondo amore. Per un 3D nuovo spurio come quello de Il mago di Oz, se ne è visto pure uno ripristinato, per Baciami Kate di George Sidney. Non gli unici musical Usa del festival: anche Fascino con la Hayworth e Gene Kelly, francamente un po' stucchevole, e Un giorno a New York di Donen e Kelly. Altri restauri fondamentali: Rocco e i suoi fratelli con minuti censurati reintegrati e la trilogia di Apu diretta da Satyajit Ray, restauro difficile (i materiali erano andati parzialmente a fuoco) dai risultati splendidi. E anche la riscoperta di Woman on the Run, riuscito noir del 1950 di Norman Foster, con una disillusa Ann Sheridan che cerca il compagno fuggito dopo esser stato testimone di un omicidio: dialoghi umoristici, un grosso colpo di scena a metà, un'aria e un copione non di routine e un finale estroso al luna park.
La sezione dedicata ai primi film svedesi di Ingrid Bergman, tra cui Intermezzo di Gustaf Molander, il cui remake sarà l'esordio americano dell'attrice, ha sconfinato proponendo anche Casablanca, Europa '51 e rarità. Il consueto omaggio a un regista americano tra muto e sonoro è toccato a Leo McCarey, che fu apprezzata “guida” agli Hal Roach studios per tanti comici - Charley Chase, Laurel & Hardy... - fino ad approdare a titoli apertamente cristiani, come il dittico con Bing Crosby sacerdote. Il maggiordomo con Charles Laughton è molto divertente ma per chi scrive la sorpresa annunciata è Cupo tramonto: un film che non ti aspetti così dal cinema americano dell'epoca, fuori dalle etichette (infatti fu un immeritato insuccesso) nel dipingere solitudine e vecchiaia con una delicatezza ammirevole, fondendo con naturalezza sospiri e sorrisi.
Prende il via il progetto Keaton, col restauro di One Week e Sherlock jr., e si conclude il progetto Chaplin, col film The Adding Machine del suo collaboratore e biografo Jerry Epstein.
Il 4 luglio, l'ultimo giorno, mentre in piazza Maggiore è passato 2001: odissea nello spazio, al teatro Comunale si è goduto di Rapsodia satanica, celebre “tentativo […] di realizzare per lo schermo un'opera d'arte totale”, con espliciti riferimenti Faustiani, diretto da Nino Oxilia nel 1915 e con protagonista Lyda Borelli, valorizzato dalla partitura di Pietro Mascagni, eseguita dall'orchestra diretta da Timothy Brock. Un “vecchio” restauro ma con colori rinnovati, un gran finale per una bella edizione.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Report

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IL CINEMA RITROVATO 28 - Sotto il segno della Loren 

9/7/2014

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“Il cinema ritrovato” di quest'anno ha proposto un programma denso e variegato (forse fin troppo). L'omaggio a un regista hollywoodiano tra muto e sonoro è toccato stavolta a William A. Wellman: The Star Witness, trascurabile commedia-thrilling insistentemente morale, ma anche la commedia a colori (1937) Nothing Sacred che dona momenti di sbrigliato divertimento e Yellow Sky con Gregory Peck, bel western che si distingue per atmosfere, messinscena e storia: tra questo, il noto The Ox-Bow Incident e Westward the Women, il festival ha posto in rilievo l'apporto di Wellman al genere.
Venendo al muto, il focus sul cinema di un secolo fa, “Cento anni fa. Intorno al 1914”, si è strutturato in programmi tematici (pacifismo e guerra, dive, l'antichità...) e si è esteso agli anni vicini. Tra gli highlights il restauro della serie Fantômas di Louis Feuillade e Cabiria proiettato al teatro Comunale, con le sue tronfie didascalie dannunziane e orchestra e coro diretti da Timothy Brock.
Importante restauro muto Addio giovinezza di Augusto Genina, che avrebbe dovuto dirigere Nino Oxilia: il festival ha proposto diversi titoli di questo regista, dalle qualità di messinscena invidiabili nel cinema italiano d'epoca e con un'attenzione ai personaggi femminili, sofferenti, interpretati da star – qui e ne Il focolare domestico Maria Jacobini, in Fior di male (diretto con Carmine Gallone) Lyda Borelli – .
Si sono approcciate personalità misconosciute, come il regista tedesco Werner Hochbaum e Rosa Porten. Mostrati infatti pochi film muti sopravvissuti fra quelli diretti, sotto lo pseudonimo Dr. R. Portegg, dalla Porten (anche attrice) e da Franz Eckstein. Melò e commedie che ruotano intorno a temi sociali, divisioni di classe, amore e denaro, come Wanda's Trick, con la sua intelligente protagonista. Un'altra, più importante, regista omaggiata è Germaine Dulac, femminista che credeva nel cinema come sinfonia visiva e veicolo per idee di emancipazione, tra film più sentiti (La folie des vaillants) e più commerciali, come Antoinette Sabrier, di cui è pregevole la tesa parte finale.
Fra i “Ritrovati e restaurati”: Le jour se lève (con tagli censori d'epoca in coda), A Hard Day's Night introdotto da Richard Lester, Sayat Nova (Il colore del melograno) di Sergej Parajanov, i film con James Dean, Il gabinetto del dottor Caligari in un nuovo restauro dai negativi originali, quello dall'estetica meno “laccata” del solito (e va bene così) di Matrimonio all'italiana – ovazione del pubblico quando la Loren-Filumena Marturano rivela al neomarito di essere viva e vegeta – e quello discusso di Per un pugno di dollari. Dalla Cina il dramma Stage Sisters, godibile anche se nell'ultima parte gravato da un propagandismo smaccato. Ma anche cortometraggi: quelli di/con Jacques Tati, compreso il poco visto Gai dimanche, e tre con Peter Sellers, di cui alcuni scritti da Mordecai Richler.
Ancora cinema italiano con un omaggio a Riccardo Freda, da Aquila nera, con Rossano Brazzi bandito contro un Gino Cervi usurpatore, a L'orribile segreto del dr. Hichcock, e la prima parte della sezione “L'Italia in corto”, con episodi da film collettivi: scelta più originale il segmento di Riccardo Fellini dal film Storie sulla sabbia.
Ne “Il cinema in guerra contro Hitler” il documentario riscoperto Hitler's Reign of Terror che nel 1933 cercava di essere monito contro il führer, e The New Adventures of Schweick, farsa russa con protagonista uno sciocco soldato sballottato tra i tedeschi e i partigiani, con un Hitler ridicolizzato che spara ai suoi soldati. Peccato doverlo seguire con la traduzione in cuffia degli interpreti in cabina: possibile che per i film in sala Scorsese non si possa evitare?
Dopo i cechi dell'anno scorso, “La Nouvelle Vague polacca e il Cinemascope” ha proposto titoli noti, come l'incompiuto Paseżerka ma anche un musical, Adventures with a Song. Andando più lontano, classici indiani degli anni '50, tra cui il noto Mother India di Mehboob Khan, e “Il Giappone parla! I film della Shochiku” che ha permesso di vedere, per il terzo anno, film degli anni '30, anche inediti da noi, di registi come Mizoguchi e Ozu.
Prosegue l'attenzione della Cineteca verso Charlie Chaplin: tra le iniziative, la presentazione della seconda tranche di comiche della sua carriera, girate nel 1915 per la Essanay, che vedono una maturazione e definizione di Charlot – è un lavoro di restauro ancora in progress, anche se pare già di notare, come rilevato su alcuni forum per le altre comiche, alcuni missing bits, secondi che sembrano mancare e si notano perché indeboliscono alcune gag – .
Piazza Maggiore a parte, le serate più belle sono però state quelle in piazzetta Pasolini, con un vecchio proiettore a carbonella. Così si è visto Sangue bleu, film drammatico di Oxilia con Francesca Bertini che la Cineteca ha appena pubblicato in Dvd.
Da segnalare infine, nei documentari, Sperduti nel buio, sull'omonimo, leggendario film italiano perduto, con lo studioso Denis Lotti in viaggio a indagare sul tragitto delle pellicole del Centro Sperimentale trafugate dai nazisti.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Reportage

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IL CINEMA RITROVATO 2013 - Il paradiso dei cinefili

11/7/2013

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In sintesi, gli otto giorni bolognesi, iniziando dalla consueta sezione “Cento anni fa”: highlight, il restauro di Ma l'amor mio non muore!, melodramma con Lyda Borelli che ha dato inizio al diva-film tricolore. Poi le brevi commedie di Léonce Perret, intelligenti per il gioco di sospetti e menzogne tra marito e moglie; Ingeborg Holm di Victor Sjöstrom, dal linguaggio filmico ancora semplice ma “definitivo nel suo enunciato sociale” (Peter Van Bagh; del regista è stato proiettato altrove anche I proscritti restaurato).
Per gli amanti del primo cinema, “Il cinema ambulante ritrovato”: due serate all'aperto per una selezione di film proiettati con un vecchio apparecchio, alimentato a carboni, che ha suscitato interesse. I brevi film visti - comici, drammatici, colorati a pochoir - vengono dal fondo del teatro ambulante Morieux, ritrovato in Belgio: manifesti (alcuni, splendidi, sono visibili fino al 31 agosto in Sala Borsa), film Pathé e Gaumont delle origini in buone condizioni, proiettori e altro.
I film Mutual (1916-17) di Charlie Chaplin restaurati hanno aperto alcune proiezioni in piazza Maggiore, in cui la prima sera si è vista la godibilissima Carmen di Cecil B. DeMille con la partitura originale poderosamente eseguita dell'orchestra di Timothy Brock. È seguita la parodia Burlesque on Carmen, ricostruita (il film fu assemblato “alle spalle” dell'attore-regista), non tra i Chaplin migliori.
La sezione “La guerra è vicina: 1938-1939” ha presentato una serie di film che evocano paure del periodo, come Tutto finisce all'alba di Max Ophüls, dramma su una donna che finge di essere ciò che non è per un uomo (peccato la traduzione in oversound, per questo e altri film sonori).
È proseguita la sezione sul Cinemascope europeo, con tra gli altri il bellissimo I disperati di Sandor di Miklós Jancsó, intensa e ben studiata sinfonia, condotta con una camera fluida, di volti, menzogne e viltà tra vittime e carnefici, tra potere e popolo, tutto in un campo di prigionia e dintorni.
Nell'omaggio a Vittorio De Sica, il figlio Manuel ha presentato il noto La porta del cielo, che acusticamente porta i segni di una lavorazione difficile e con gli ultimi dieci minuti in chiesa troppo imbevuti di religiosità (sebbene “di comodo”, secondo Manuel De Sica: Zavattini era laico). Omaggio anche per Burt Lancaster, con Vera Cruz di Aldrich e l'appena restaurato Un uomo a nudo di Frank Perry, presentato dalla figlia Joanna che ha ricordato come il padre avesse dovuto prendere lezioni di nuoto (The Swimmer è il titolo originale) per impersonare il protagonista, che compie un percorso di piscine altrui per arrivare a casa. Il film colpisce per la progessione drammatica che gira il coltello nella solitudine e nel passato del protagonista, sebbene ecceda nel finale.
Per “Ritrovati e restaurati”, il documentario-omaggio a una città Études sur Paris di André Sauvage, Giorno di festa e il corto Soigne ton gauche di Jacques Tati, Il temerario di Nicholas Ray, Falstaff (questi ultimi tre in piazza), il restauro del bel Delitto in pieno sole di René Clément. Anouk Aimée, che avrebbe dovuto presentare L'amante perduta di Jacques Demy, ha dato forfait mentre Agnès Varda ha introdotto l'esordio La pointe courte (per “Cinemalibero”).
Se la proiezione della versione 3D di Delitto perfetto non è andata bene, Alfred Hitchcock è stato omaggiato con i suoi film muti, da The Pleasure Garden a Blackmail, restaurati dal British Film Institute e proiettati in pellicola, ribadendo l'importanza della sua sopravvivenza. Vi si riconosce un regista già maturo, capace di invenzioni e momenti non indegni dei suoi film più famosi.
L'ampio, tradizionale omaggio a un cineasta Usa è toccato ad Allan Dwan: dai muti al bel La campana ha suonato, western di denuncia del maccartismo (l'antagonista, che accusa arbitrariamente il protagonista, si chiama... McCarthy) e del conformismo, chiaro nel contenuto civile e sicuro come spettacolo, compreso un bel carrello che accompagna il protagonista in fuga.
Interessanti i film cechi della sezione “L'emulsione conta: Orwo e Nová Vlna (1963-1968)”, appartenenti a un periodo in cui nel paese si sperimentava con le pellicole. Perlopiù proiettati in copie d'epoca dignitose (a parte il notevole Un sacco di pulci, ambientato in un collegio femminile dal punto di vista di una delle ragazze, restaurato), si sono visti Le margheritine, che con stile esplosivo critica il consumismo, mettendo in scena due ragazze libere dedite a giocare con gli uomini e mangiare o sprecare cibo (al grido di “A chi importa?” e “Se il mondo è marcio, siamo marce anche noi!”), il favolistico Un giorno un gatto, che pare un film Disney più maturo, e il cult-western demenziale Lemonade Joe, con un pistolero che beve solo limonata.
Non è tutto, ma è impossibile essere esaustivi: “Il cinema ritrovato” si conferma sempre più un appuntamento irrinunciabile per ogni appassionato che voglia approfondire la storia del cinema, e vedere o rivedere classici sul grande schermo. Se ci vai, ci torni.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival

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