ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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BFM 33 - Anderswo (Anywhere Else), di Ester Amrami

11/3/2015

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“Saudade” è un termine intraducibile. O meglio, ha molti significati: malinconia, nostalgia di un luogo, mancanza di un qualcosa che si ha la sensazione di aver perso per sempre; in realtà, però, la parola stessa non ha una vera e definita traduzione, così come altri vocaboli a cui Noa sta lavorando per la sua tesi di laurea, incentrata sulla creazione di una sorta di dizionario di espressioni non-traducibili. Al contempo la Saudade è anche il sentimento che naviga a vista nel cuore della ragazza, israeliana trentatreenne che da diversi anni vive a Berlino insieme a Jörg, trombonista con il quale condivide una relazione solo in apparenza soddisfacente e serena. 
Noa è inquieta, triste, scontenta di un presente che non le appartiene (più). Decide dunque di tornare per qualche giorno in Israele, dalla sua famiglia, nella speranza che il calore della terra in cui è nata le dia un po' di pace e una nuova spinta. Ma i rapporti non idilliaci con la madre, il fratello e la sorella le fanno velocemente capire che nemmeno quello è il posto giusto per lei. L'unica parente con cui Noa ha un legame speciale è l'amata nonna, che però si ammala gravemente proprio quando la ragazza è in procinto di tornare a Berlino. Così Noa prolunga il suo soggiorno israeliano, raggiunta a sorpresa da Jörg, per assistere la nonna e al contempo continuare a cercare di sistemare il caos emotivo che la sovrasta.

Presentato in concorso al Bergamo Film Meeting, Anderswo è il primo lungometraggio di Ester Amrami, autrice nata in Israele ma da molto tempo residente a Berlino, un po' come la protagonista del suo film, centro focale di un eterogeneo gruppo familiare in cui in fondo tutti sono accomunati dall'infelicità. Noa è lo specchio in cui si riflettono molteplici anime in subbuglio: una madre soffocante e vulcanica, una sorella in perenne stato di semi-depressione, un fratello che lavora nell'esercito ma vorrebbe solo andarsene altrove, un padre paranoico, una nonna segnata dai lutti. Intorno a loro Israele, l'identità forte di un popolo fiero delle proprie traduzioni e le evidenti contrapposizioni con quella fredda Germania a cui Noa si è abituata più per necessità che per voglia.
Lì, a casa, la temperatura è molto più alta rispetto a Berlino; fa caldo, c'è più sole, l'aria è più pulita, il cibo è migliore. Eppure bastano pochi giorni (anzi, poche ore) a Noa per accorgersi che nemmeno il suolo patrio è in grado di donarle quelle certezze smarrite chissà dove, quella pace volata via nel grigiore della vita, quella direzione verso un futuro che al momento pare non avere alcuna strada. Anderswo è il ritratto, genuino ed essenziale, di una giovane donna in transito nei non-luoghi della coscienza, alla disperata e infruttuosa ricerca di un senso che possa abbracciare sia l'oggi che il domani, dando un sapore nuovo a un'esistenza sbiadita. 
Per costruire il loro film la Amrami e lo sceneggiatore Momme Peters intavolano due linee di condotta, la commedia e il dramma esistenziale, cercando in più punti un ideale incrocio stilistico; operazione senz'altro riuscita. L'introspezione psicologica della protagonista e dei personaggi che la circondano non scava molto in profondità, ma l'unione tra spunti dolorosi, situazioni grottesche, improvvise tenerezze e scatti rivolti alla risata crea un oggetto filmico fresco, piacevole, denso ed efficace, anche grazie alle convinte interpretazioni degli attori coinvolti, in particolare Neta Riskin (l'irrequieta Noa) e Hana Laslo (la scatenata madre). 
Da queste figure in perenne disequilibrio nasce una bella riflessione dedicata all'alienazione del mondo contemporaneo, contenitore di esseri smarriti in un limbo spazio-temporale in cui spesso si resta invischiati e intrappolati come farfalle senza più ali.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Regia: Ester Amrami
Sceneggiatura: Momme Peters
Fotografia: Johannes Praus
Musiche: Fabrizio Tentoni
Attori: Neta Riskin, Golo Euler, Hana Laslo, Hana Rieber
Anno: 2014
Durata: 87'

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BFM 33 - Amnesia, di Nini Bull Robsahm

11/3/2015

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Kathrine e Thomas sono due scrittori. Sposati. Lui ha già pubblicato diversi libri di successo, lei sta cercando di terminare il suo primo romanzo. Decidono di andare a trascorrere un paio di giornate in uno chalet isolato in un'isola al largo della costa norvegese, per godere della tranquillità necessaria per scrivere. Una volta sul posto, dopo qualche ora apparentemente serena, nasce tra i due una discussione dovuta al fatto che lui vorrebbe avere un figlio, mentre lei al momento non se la sente. Contrariato per il rifiuto di Kathrine, Thomas mette in mostra la sua vera anima, prepotente e violenta. La litigata esplode in una colluttazione durante la quale Thomas viene spinto, cade e batte la testa. Al risveglio, ha perso la memoria. Non ricorda più nulla. Dopo un attimo di riflessione Kathrine coglie l'occasione e finge di non conoscerlo, affermando di averlo per caso trovato svenuto e di averlo soccorso. L'amnesia di Thomas diventa per Kathrine l'opportunità di trovarsi di fronte un uomo nuovo, spaesato e confuso, dolce e docile, con cui provare a iniziare un rapporto diverso e magari felice. Ma quando lui riacquista la memoria, la rabbia esplode peggio che mai.

Dopo un esordio co-diretto insieme a un altro autore, Amnesia rappresenta il primo lungometraggio realizzato in totale autonomia dalla norvegese Nini Bull Robsahm, classe 1981. La regista afferma di aver avuto l'idea che sta alla base del film durante una notte di insonnia, quando all'improvviso si è immaginata la storia di due coniugi isolati in uno chalet e di uno dei due senza più memoria. Un espediente narrativo sulla carta molto interessante, con cui intavolare un complesso discorso riguardante gli equilibri di potere che si innescano in una relazione e i diversi livelli di manipolazione tra realtà e fantasia che si attuano nelle dinamiche comportamentali del sentimento.
Presentato in concorso al Bergamo Film Meeting, il lavoro della Bull Robsahm sfrutta i contorni del cinema da camera, utilizzando sue soli attori e un'unica location per sviscerare le molteplici ambiguità di un racconto sospeso sul difficile equilibrio tra sincerità e bugia, legami reali e ruoli immaginari, abusi di fiducia e segreti del non-detto. Per dare corpo e sostanza ai suoi intenti l'autrice svia le facili derive del melodramma, scegliendo invece una rappresentazione cupa, oscura, tagliente, che abbraccia le coordinate del thriller avvicinando in più punti perfino l'horror, in un crescendo paranoico in cui in ogni istante restano aperti i dubbi riguardanti la verità di ciò a cui si sta assistendo.
Thomas ha realmente perso la memoria oppure sta soltanto fingendo? La riacquista, come pare, nel momento in cui scopre che lei gli aveva nascosto il cellulare e la carta d'identità o gli era già ritornata in precedenza? E se sì, quando? Chi sta bluffando? Fino a che punto? Sono tutte perplessità che navigano sul filo della tensione, in un gioco a rimpiattino nel quale i due protagonisti si scambiano il ruolo di vittima e carnefice, burattino e burattinaio, danzando in una macabra pièce che alterna rari momenti di luce a intensi squarci di ipnotica angoscia.
La regista scandinava dimostra di avere ben chiara la propria idea di sviluppo del soggetto: limita giustamente la durata (70 minuti) per evitare tempi morti e indovina uno stile asciutto che fa dell'ambiguità un simbolo della paura, giovandosi dell'interpretazione di due attori bene in parte. Da sottolineare soprattutto la prova di Christian Rubeck, bravissimo a reggere più ruoli in uno, passando in pochi frames da tenero compagno a spietato aguzzino, da sperduto uomo senza nome a ghignante mostro di shininghiana memoria, transitando da un estremo all'altro più volte con impercettibili ma decisive variazioni di sguardo. Se poi è vero che alcune ripetizioni appaiono non necessarie (il sesso brutale), va anche detto che la prospettiva della Bull Robsahm, tra influenze polanskiane e palpitazioni sospese a mezz'aria, riesce a essere brillante e solida, creando una bolla filmica soffocante in cui ci si perde tra le incertezze di una nebbia densa e vischiosa.
Il massacro psicologico a cui vanno incontro Thomas e (soprattutto) Kathrine sfocia in un epilogo radicale, che lascia invece delle perplessità per l'eccessiva dose di violenza espressiva, non coerente e non giustificata nel confronto con la lodevole e sottile ambiguità che aveva invece ottimamente dominato tutto il resto della messinscena. Una pecca di cui dolersi, comunque non sufficiente a eliminare i pregi di un lavoro che sa aprire con acume gli anfratti bui del rapporto di coppia, eterna recita a cui tutti noi, chi più chi meno, siamo ogni giorno costretti a prendere parte.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Regia e sceneggiatura: Nini Bull Robsahm
Fotografia: Axel Mustad, Havard Byrkjeland
Musiche: Henrik Skram
Attori: Pia Tjelta, Christian Rubeck
Anno: 2013
Durata: 74'

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BFM 33 - Modris, di Juris Kursietis

10/3/2015

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Non è semplice vivere in Lettonia. Soprattutto d'inverno. Fa un freddo tremendo, la città offre pochi svaghi e poche opportunità lavorative, e il mondo sembra remarti contro a ogni passo. 
Hai una ragazza, ma non sei capace di lasciarti amare. Hai una madre con cui non c'è il benché minimo dialogo e un padre (forse) chiuso in prigione non si sa bene dove. La scuola non insegna nulla che ti interessi davvero. Ti arrangi come capita, disegnando graffiti sui muri, con il portafoglio quasi sempre vuoto, e quando per sbaglio hai qualche moneta la butti via alle slot machines, perché come se non bastasse hai pure il vizio del gioco. 
Così vaghi senza uno scopo, raccatti quello che capita e quando ti ritrovi con l'acqua alla gola arrivi perfino a rubare e rivendere il calorifero di casa, giusto per acciuffare quel minimo di grana utile per annullarti davanti a una di quelle diaboliche macchinette arraffa denaro. Ma quando la tua stessa madre ti denuncia per furto, e il giudice ti mette in regime di libertà vigilata, scopri che tutto diventa ancora più difficile, soprattutto perché vivi in uno Stato dove sono sufficienti un viaggio in treno senza biglietto e una birra consumata per strada per rischiare un'immediata condanna a due anni di carcere. A questo punto, al limite estremo della sopportazione, ti sale nel cuore un unico obiettivo: trovare quel padre che non hai mai conosciuto.

Presentato in concorso alla trentatreesima edizione del Bergamo Film Meeting, Modris è il lungometraggio d'esordio di Juris Kursietis, già sceneggiatore e autore di documentari e spot pubblicitari. Basato su una storia vera, raccontata al regista da un amico avvocato, il film segue le vicende di un diciassettenne che morde i freni della giovinezza in una capitale dell'Est rigida e incolore come il lungo inverno che la domina. Un luogo algido, neutro, inospitale, dove i pochi affetti non trovano corrispondenze costanti e il vizio del gioco assume i toni simbolici di un atto di ribellione nei confronti di un'adolescenza amara, obnubilata da un gelo profondo, sia intimo che ambientale.
Girato con uno stile asciutto e moderno, il lavoro di Kursietis parte dall'influenza di Gus Van Sant per giungere sulle orme di quei pedinamenti semi-documentaristici tanto cari al primo cinema dei Dardenne, con particolare riferimento al magnifico Rosetta. La macchina da presa azzanna dunque il volto del protagonista Kristers Piksa, attore per caso (è stato scoperto dal regista mentre frequentava un corso per diventare cuoco, ed è stato scelto per la parte senza avere alcuna esperienza di recitazione), seguendolo da vicino per coglierne ogni movimento tra le strade cementificate (e ghiacciate) di Riga. 
I silenzi e le incomprensioni con la madre sfociano nella denuncia, radicale tentativo di insegnamento e intimidazione che conduce a esiti contrari rispetto alle speranze, generando un flusso di non-accettazione con cui le già flebili possibilità di inserimento nella società affogano nel mare del rifiuto. Da qui in poi l'obiettivo primario di Modris, la ricerca del padre, diventa l'unico scopo di giornate in cui vige un senso di pre-rassegnazione verso un mondo ostile nel quale ci si sente estranei ovunque, perfino a casa propria, ostaggi di una tempesta che probabilmente si potrà concludere solo con un inevitabile naufragio. 
Il film di Kursietis corre con abbondanti quantità d'ossigeno soprattutto nella prima mezzora, ficcante e concreta al punto giusto, salvo poi assestarsi in un territorio medio e accusare un paio di scivolate (ad esempio la scena di sesso lungo i binari della ferrovia) che comunque non vanno a inficiare il positivo esito di un racconto di formazione intenso, sofferto e diretto con mano discretamente sicura. Il realismo della messinscena, il volto scavato del protagonista, le improvvise ombre di impossibile salvezza, i pochi attimi di illusoria spensieratezza, la riemersione di conflitti latenti che non si possono sconfiggere, giocano e si abbracciano in uno scacchiere filmico che non indovina tutte le mosse ma disputa una buona strategia d'insieme, trovando il colpo risolutore in una magnifica inquadratura finale in cui l'immobile silenzio vale più di qualsiasi parola. Lì, in quell'attimo sospeso, sboccia l'unico fiore che potrà forse crescere dall'arido suolo della Lettonia; un petalo d'amore tra le rovine dell'abbandono.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Regiia: Juris Kursietis
Sceneggiatura: Juris Kursietis
Fotografia: Bogumil Godfrejow
Attori: Kristers Piksa, Rezija Kalnina, Sabine Trumsina
Anno: 2014
Durata: 98'

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BFM 33 - Il programma: profumi d'Europa

5/3/2015

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Si apre sabato 7 marzo l'edizione numero 33 del Bergamo Film Meeting, manifestazione che come ogni anno riesce a ritagliarsi un ruolo pregevole e a suo modo unico nell'affollato panorama festivaliero italiano, grazie alla sempre viva attenzione rivolta al cinema di qualità e al lancio di autori troppo poco conosciuti qui da noi.
Mai come quest'anno il BFM riconferma il suo orientamento rivolto al cinema europeo, da cui provengono la quasi totalità dei 120 film che saranno proiettati dal 7 al 15 marzo; una scelta coerente e decisa che sottolineiamo e condividiamo con assoluto piacere, scrollandoci di dosso ogni facile suggestione commerciale proveniente d'oltreoceano.
Il programma è come sempre ricchissimo; nove giorni di maratona cinefila in cui navigare dalle prime ore del mattino fino a tarda sera alla scoperta di tematiche articolate, storie per tutti i gusti e registi che in molti casi mai avevano trovato un simile spazio in Italia. 
Si inizia con il concorso lungometraggi, con sette film diretti da autori giovani, tutti in anteprima nazionale, incentrati su temi prettamente contemporanei, presentati all'Auditorium di Piazza Libertà e poi replicati al Cinema San Marco: Anderswo, dalla Germania; Why Can't I Be Tarkovsky?, dalla Turchia; Loreak, dalla Spagna; Modris, dalla Lettonia; Gente de Bien, ambientato in Colombia ma diretto da un autore di scuola francese; Amnesia, dalla Norvegia; Afterlife, dall'Ungheria.
Prosegue poi per il secondo anno Europa: femminile singolare, l'interessantissima sezione dedicata ad autrici europee di cui viene proposta la totalità delle opere. Quest'anno l'attenzione è concentrata sull'inglese Andrea Arnold (premio Oscar per il cortometraggio Wasp e premio speciale della giuria a Cannes sia per Red Road che per Fish Tank), sulla bosniaca Aida Begic, sull'ungherese Agnes Kocsis e sulla portoghese Teresa Villaverde. Se togliamo la Arnold, ormai apprezzata a livello mondiale, abbiamo tre autrici note agli addetti ai lavori ma pressoché sconosciute al pubblico; l'opportunità di scoprire la loro filmografia sarà dunque alquanto ghiotta.
Come sempre si riconferma la sezione Visti da vicino, con numerosi documentari indipendenti quasi tutti inediti in Italia, in molti casi seguiti da un dibattito in sala con i rispettivi autori. Non mancano poi proposte riservate ai bambini e ai ragazzi delle scuole, con proiezioni ad hoc tra le quali non possiamo non rimarcare la scelta di inserire in programma il bellissimo Bande de filles di Céline Sciamma.
Lodevoli le retrospettive di questa edizione, a partire da un'ampia rassegna dedicata al Polar francese, con circa 20 titoli realizzati tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta, pellicole esemplificative di un genere che ha saputo raccogliere gli elementi base del poliziesco provenienti dagli States per poi rimodellarli secondo la sensibilità transalpina, trovando una ricetta originale entrata a pieno diritto nella storia del cinema d'Oltralpe. Tra gli imperdibili titoli in programma, Quai des Orfèvres di Clouzot, Le trou di Becker, Classe tous risques di Sautet, Le doulos di Melville e Le desordre et la nuit di Grangier. 
Accanto al polar ci sarà inoltre una seconda retrospettiva intitolata Dopo la prova e composta da opere incentrate sul concetto stesso di messinscena, sui complessi meccanismi della rappresentazione e sulle commistioni tra cinema e teatro. Anche in questo caso in programma capolavori da non perdere come Stage Fright di Hitchcock, Deathtrap di Sidney Lumet, Dopo la prova di Bergman e L'esquive di Kechiche. 
Non è finita qua: a Bergamo ci saranno anche una personale dedicata a Pavel Koutsky, importante autore di cinema d'animazione ceco poco conosciuto in Italia; alcune anteprime di sicuro interesse (ad esempio Une nouvelle amie, il nuovo film di François Ozon); proiezioni speciali dedicate alla riapertura dell'Accademia Carrara (con l'anteprima nazionale di National Gallery di Wiseman e la riproposizione in quattro puntate di Belphégor, Il fantasma del Louvre, la miniserie Tv che nel 1965 inquietò profondamente gli spettatori francesi); la consueta fantamaratona, quest'anno neanche a farlo apposta di venerdì 13, con Christopher Lee in Theatre of Death di Samuel Gallu e un meraviglioso Vincent Price in Theatre of Blood di Douglas Hickox. Non mancheranno infine, come sempre, incontri con gli autori ed eventi collaterali.

Appuntamento dunque a Bergamo da sabato 7 a domenica 15 marzo, e qui sulle pagine di Orizzonti di Gloria per le recensioni in diretta dall'evento di alcuni tra i film più significativi in concorso. 

Il programma completo e le modalità d'ingresso sul sito ufficiale. Qui sotto il divertente trailer di presentazione del festival.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Report

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BFM 32 – Silmäterä, di Jan Forsström

15/3/2014

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Marja è una giovane madre single. Durante la notte lavora consegnando giornali, e di giorno si prende cura della piccola figlia Julia. La sua vita non è affatto semplice, tra le difficoltà di una situazione economica a dir poco precaria e la mancanza di sostegni concreti. La nuova vicina di casa, Karin, stringe una bella amicizia con Marja e inizia a darle una mano. Ciò nonostante la quotidianità della ragazza-madre è sottoposta a un continuo stress, mitigato soltanto dall'amore infinito che ella nutre nei confronti di Julia. 
Le traballanti certezze di Marja crollano quando all'improvviso si presenta alla sua porta un uomo con cui aveva avuto una breve relazione tempo addietro. L'uomo comprende come Julia possa essere sua figlia, e inizia a pretendere di poterla vedere e conoscere. A quel punto Marja, nel terrore di perdere l'unica creatura a cui non può e non vuole rinunciare per nessun motivo al mondo, comincia a smarrire ogni razionalità, fino a compiere un gesto estremo.

Silmäterä, presentato in concorso al Bergamo Film Meeting e tratto da una storia realmente accaduta una dozzina di anni fa, è diretto con buona mano dal finlandese Jan Forsström, classe 1975, sceneggiatore di successo al debutto nella regia di un lungometraggio. L'autore, traendo spunto dalla vicenda di cronaca ma apportando diverse modifiche, narra una dolente storia in cui, per usare le sue stesse parole, “volevo mostrare come talvolta l'amore possa diventare pericoloso”.
È proprio lungo il confine tra affetto e ossessione che il film dispiega le sue carte, procedendo con sufficiente sensibilità tra l'analisi sociale volta ad analizzare la complessa vita di giovani madre colpite dalla crisi economica e l'intimità violata di una donna cresciuta troppo in fretta. Marja è l'emblema di un corpo di madre in un cuore di ragazza, un'anima sola che si nutre del volto della figlia come ossigeno vitale con cui combattere le declinazioni invasive di un humus territoriale diffidente e spietato. Il lavoro notturno, le poche ore di incerto riposo diurno, le spese a cui far fronte, l'impossibilità di progetti a lungo termine, le necessità emozionali e logistiche della figlia: troppi fattori da gestire, troppe necessità a cui porre rimedio. Marja fatica ad accettare le già poche proposte di aiuto, sorretta da un orgoglio che diventa frenetica ambizione di potercela fare unicamente con le proprie energie, e cammina lungo il destino in bilico su una sottile linea incavata nella necessità di amare la figlia con ogni forza a disposizione. 
L'arrivo del padre di Julia, spinto da intenzioni molto meno bellicose di quanto sembrerebbe, è sufficiente per soffiare via un castello di carte costruito senza margini né basi solide; da lì in poi la vita di Marja diviene una guerra impossibile da vincere e combattuta contro fantasmi perlopiù inesistenti. La seconda parte del film, avvolta da una spirale di tensione psicologica dai ritmi adeguati, ci offre il ritratto di una madre sempre più dispersa nelle nebbie della follia, sino ad approdare a un gesto inconsulto che spezzerà anche l'ultimo tratto di speranza. A quel punto i teneri baci e le carezze tra lei e Julia si annulleranno a fronte di una camminata a piedi nudi in strada, lungo la notte, diretta verso un domani in cui nulla potrà mai più essere somigliante ai sogni ormai spezzati.
Più interessante che bello, il film di Forsström si perde talvolta in sottolineature eccessive, dando l'impressione di non scavare quanto potrebbe, preferendo invece adagiarsi su semplificazioni di scrittura rivolte verso il lato prettamente emotivo dello spettatore. Nonostante questo il lavoro dell'autore finlandese si lascia comunque apprezzare, sia per la ricchezza delle sfumature sia per l'intensità con cui, utilizzando stilemi vicini al thriller, riesce a raccontare con tocco delicato l'interiorità sanguinante di due ritratti femminili verso cui non si può restare indifferenti. Con loro e per loro l'amore divora la realtà e straripa oltre gli argini, dirigendosi verso un triste e inevitabile abbandono.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Titolo originale: Silmäterä (Titolo internazionale: The Princess of Egypt)
Regia e sceneggiatura: Jan Forsström
Fotografia: Paivi Kettunen
Montaggio: Jan Forsström
Anno: 2013
Durata: 89'
Attori: Emmi Parviainen, Luna Leinonen Botero, Mazdak Nassir, Ylva Ekblad, Miika Soini

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BFM 32 - La dune, di Yossi Aviram

13/3/2014

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In una città in Israele, Hanoch gestisce una piccola officina di riparazione biciclette; nelle pause di lavoro impegna il proprio tempo giocando a scacchi con un vecchio amico. La moglie è incinta, ma lui non si sente pronto per la paternità. La sua decisione causa la separazione dalla compagna. Nel frattempo a Parigi l'anziano ispettore Reuven Vardi non riesce a sventare il suicidio di uno scrittore. Stanco e deluso, Vardi chiede il pensionamento anticipato. 
Un giorno Hanoch compare a Parigi e inizia di nascosto a pedinare l'ispettore, per motivi che al momento non conosciamo. Poco tempo dopo una ragazza trova lo stesso Hanoch privo di sensi, senza documenti, in una spiaggia sulla costa. Portato in ospedale l'uomo si risveglia, ma pare aver perso la memoria e rimane chiuso in un inspiegabile mutismo, senza pronunciare nemmeno una parola. Il capo della polizia parigina assegna a Vardi il caso. Superata l'iniziale reticenza il vecchio ispettore si mette in viaggio per indagare e scoprire l'identità dell'uomo. I due, all'apparenza estranei, condividono in realtà un legame che sarà gradualmente svelato.
Presentato in concorso al Bergamo Film Meeting, in anteprima nazionale, La Dune è diretto da Yossi Aviram, classe 1971, documentarista qui al suo debutto nel lungometraggio per il cinema, con un film girato quasi interamente con troupe francese. L'autore israeliano, nato a Gerusalemme, prende spunto da una storia realmente accaduta in Inghilterra, e da un doc da lui realizzato qualche anno fa, per portare sullo schermo una narrazione che travalica i confini di genere, intrecciando un complesso mosaico strutturale che segue in montaggio parallelo gli accadimenti riguardanti due uomini tanto diversi per provenienza geografica quanto in realtà uniti da un vincolo di non immediata comprensione. Per precisa scelta, il regista lascia allo spettatore un concreto senso di incertezza, compensato poi solo parzialmente da una risoluzione che spiega a grandi linee le soluzioni della vicenda senza peraltro svelarne tutti gli aspetti; una decisione coraggiosa, sulla carta respingente ma in realtà appropriata, grazie alla qualità della messinscena e all'invidiabile padronanza con cui Aviram tesse le fila del racconto, attraverso una sceneggiatura impeccabile ed estremamente affascinante.
Di matrice israeliana, vista l'origine dell'autore, La dune è in realtà in tutto e per tutto un film francese, nella produzione così come nell'anima e nello stile; un classico esempio di un tipo di cinema che chi non ama la realtà transalpina potrebbe definirebbe noioso. Al contrario, è proprio la rarefazione dello sviluppo narrativo a donare alla pellicola un esaltante senso di mistero, condotto con magistrale cautela tra lunghi silenzi, sguardi lontani, azioni lente, pensieri trattenuti e tasselli mancanti.
Il lavoro di Aviram si pone come un'intelligente rappresentazione di tre solitudini che s'incrociano, a partire da Hanoch, in viaggio con la sua bicicletta verso una ricerca che possa fargli ritrovare il senso perduto della vita, per proseguire con l'ispettore Verdi, ormai stufo del suo lavoro, appesantito da un passato che lo ferisce e da un presente che non offre più emozioni; una quotidianità che scivola via (“dormo tutto il giorno e alla sera sono esausto”), addolcita solo dal rapporto con il compagno Paolo, con l'amato cane e con le indistruttibili abitudini (il caffè al solito bar). A loro si aggiunge poi Fabienne, la ragazza che trova Hanoch privo di sensi sulla spiaggia; non contenta di averlo salvato si affeziona a lui, nonostante egli non apra bocca, e continua ad andarlo a trovare in ospedale, raccontandogli la sua vita, in un dialogo a una sola voce utile per espiare il sentimento di abbandono di cui anche lei soffre.
Così, tra una mossa sulla scacchiera e una passeggiata con il cane, una via metropolitana e un baretto deserto in un paesino di provincia, il film si dipana, senza fretta, immergendoci in un'atmosfera tanto malinconica quanto ipnotizzante, grazie a un controllo registico saldissimo e ad attori di alto livello, a iniziare da Niels Arestrup, fresco vincitore del suo terzo premio César e ormai giunto a una maturità interpretativa eccezionale. Accanto a lui Lior Ashkenazi, già visto in Kalevet e Big Bad Wolves, bravo a lasciar parlare soltanto il volto durante le numerose scene prive di dialogo. Con loro il sempre puntuale Guy Marchand, la bella Emma de Caunes e, in un ruolo piccolo ma significativo, il grande Mathieu Amalric.
Suadente e ricchissimo di sfumature, La dune cela al suo interno un prezioso scrigno colmo di affetti perduti, disillusioni, istinti repressi, piccoli abbracci, nostalgie e speranze; un disegno da comporre poco a poco, con la giusta parsimonia, per giungere a testa alta all'ultima, bellissima inquadratura, proiettata verso un domani incerto, sì, ma con ogni probabilità migliore. Perché in fondo non è mai troppo tardi per rincominciare ad amare.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Regia: Yossi Aviram
Sceneggiatura: Yossi Aviram
Anno: 2013
Durata: 87'
Fotografia: Antoine Héberlé
Attori: Niels Arestrup, Lior Ashkenazi, Guy Marchand, Emma de Caunes, Mathieu Amalric

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BFM 32 – Leave to Remain, di Bruce Goodison

12/3/2014

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Ogni anno centinaia di ragazzi, minorenni, approdano in Inghilterra. Arrivano da diverse parti del mondo: Afghanistan, Algeria, Guinea, Pakistan, in fuga dalla guerra e dalla sofferenza. Una volta giunti nel Regno Unito sono affidati ai servizi sociali, che provvedono a fornire loro un alloggio e a iscriverli in una scuola speciale. Nel frattempo la situazione di ognuno di loro è valutata con attenzione. L'obiettivo è ottenere un permesso di soggiorno permanente, con cui poter restare in Inghilterra a tempo indeterminato e ricostruirsi una nuova vita. In pochi però ce la fanno: una volta compiuti i 18 anni di età, la gran parte di questi ragazzi è rispedita a casa propria.
Leave to Remain, selezionato per il concorso internazionale dell'edizione 32 del Bergamo Film Meeting e presentato in anteprima europea, racconta la realtà di alcuni di questi adolescenti, muovendosi lungo il confine tra fiction e documentario. Il regista è Bruce Goodison, classe 1964, apprezzato autore televisivo. Per dare forma e anima al suo lavoro l'autore ha letto e ascoltato le vere storie di tanti ragazzi; in un secondo tempo ha selezionato alcuni giovani non professionisti, ha fondato un'apposita società di produzione e ha iniziato a insegnare ai prescelti le fondamenta del mestiere di attore, in un graduale processo di istruzione volto a ottenere il miglior risultato possibile durante le riprese del film. 
Leave to Remain racconta dunque la difficile situazione di questi adolescenti, ospitati in una casa-famiglia e in una classe mista il cui insegnante, Nigel, prende a cuore i loro sogni ben oltre ai semplici doveri professionali. In particolare il regista si sofferma su ciò che accade agli afghani Omar e Abdul e all'africana Zizidi, attorniati da compagni/amici di culture ed etnie profondamente diverse, ma accomunati dall'orrore di un passato segnato da cicatrici indelebili, e dalla speranza di poter davvero ripartire verso un futuro nuovo. I protagonisti frequentano le lezioni e le gite scolastiche durante il giorno, ed escono a ballare e divertirsi la sera; comportamenti consueti per adolescenti che in fondo desiderano soltanto l'integrazione e la libertà, con il fine ultimo di ottenere il riconoscimento più grande: un'esistenza normale, lontana dalle lacrime di ciò che è rimasto nei rispettivi paesi d'origine. Interrogati dagli assistenti sociali per stabilire se vi siano o meno le condizioni per farli restare, alcuni di loro si inventano una storia non del tutto consona al reale vissuto: mentono per scartare il sistema, abbattere la burocrazia e conquistare l'agognato permesso. Altri, invece, sono semplicemente spaventati, perduti nella solitudine di un mondo estraneo, e si muovono incerti e tremanti, cercando un senso nel presente e un soffio di gioia rivolto all'avvenire. Perfino Nigel talvolta mente davanti alle autorità, spinto dall'utopia di salvarli tutti, perché in fondo ognuno di loro è parte integrante di una famiglia allargata il cui sostegno reciproco è alla base della quotidianità.
Durante la visione delle prime scene, ambientate nella scuola, si ha la sensazione di trovarsi quasi di fronte a una versione inglese dello splendido Entre les murs di Laurent Cantet. Il film però non resta racchiuso in un'aula, ma ne scivola fuori molto presto, cogliendo le strade, le discoteche, i binari della metropolitana, le gite in montagna e al lago, le visite infermieristiche e il tribunale: ogni luogo è per i ragazzi un simulacro di dubbi e paure, ricordi e rimpianti, attacchi e difese; sui loro corpi ci sono violenze, stupri, infibulazioni, bruciature di sigarette; nelle loro anime navigano pensieri di sangue, parenti ammazzati brutalmente davanti agli occhi, fughe disperate, incubi senza fine. Oggi, però, la vita è fatta di volti, rumori e odori diversi; tutto è sconosciuto, ma può diventare familiare con il sostegno degli amici e dell'insegnante. Così ci si abbraccia e si esce fuori, insieme, a vedere per la prima volta la neve, aspettando un verdetto positivo, nell'illusione che “tutto andrà bene”.
Goodison orienta il suo film lungo una via intermedia tra fiction e doc, scegliendo un approccio molto diretto, cullato tra le sabbie di un evidente intento pedagogico non privo di un certo didascalismo. Frenato da una netta discontinuità, e da soluzioni talvolta troppo semplicistiche, Leave to Remain punta soprattutto a far vibrare i cuori degli spettatori, riuscendo peraltro nell'intento grazie a sequenze dotate di buona intensità emotiva. Non a caso durante i titoli di coda la platea regala all'autore un lungo applauso (probabile premio del pubblico in arrivo). Gli attori formati per l'occasione riescono a esprimersi con sufficiente profondità, mentre il ruolo dell'insegnante-mentore si avvale della preziosa presenza del bravo Toby Jones (Berberian Sound Studio), molto più di un caratterista. Il suo sguardo, bastonato ma ancora ricco di orgoglio, è in fondo lo stesso di tutti i ragazzi che egli prende a cuore: gabbiani con le ali spezzate che guardano su, verso il cielo, sognando di rincominciare a volare.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Regia: Bruce Goodison
Sceneggiatura: Bruce Goodison, Charlotte Colbert
Fotografia: Felix Wiedemann
Musiche: Alt-J
Anno: 2013
Durata: 89'
Attori: Zarrien Masieh, Yasmine Mwanza, Noof Ousellam, Toby Jones

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BFM 32 - Il programma: la forza delle idee

5/3/2014

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Si svolgerà dall'8 al 16 marzo, con sedi principali presso l'Auditorium di Piazza della Libertà e l'adiacente Cinema San Marco, la trentaduesima edizione del Bergamo Film Meeting. 
Nell'affollato panorama festivaliero italiano, quello della città lombarda è senza alcun dubbio uno degli eventi più belli, nonché uno dei pochi realmente indispensabili. Una manifestazione che negli anni ha saputo costruirsi una solidissima dignità, riuscendo a proporre sempre cinema di qualità, programmi di sicuro interesse e intuizioni di assoluto rilievo (ad esempio la splendida retrospettiva dedicata a Robert Guédiguian lo scorso anno), trovando una propria e radicata ragion d'essere, a differenza di altri festival più grandi e blasonati ma fondamentalmente inutili, per non dire dannosi.
Nonostante gli ormai consueti e immancabili tagli al budget, anche stavolta gli organizzatori sono riusciti a mettere in piedi un cartellone ampio, vario e ricco di spunti e idee brillanti. Innanzitutto il concorso ufficiale, con sette film europei tutti in prima visione italiana: il francese La dune (con Niels Arestrup, fresco vincitore del suo terzo César), il finlandese Silmatera, il belga Yam dam, il britannico Leave to Remain (con Toby Jones), il rumeno Roxanne, lo sloveno Zapelji me e l'olandese Wolf.
Ancora nel nome dell'Europa, e di un cinema capace di inventare il futuro, come recita uno degli slogan del festival, si pongono le intriganti retrospettive tutte al femminile dedicate ad autrici da scoprire o riscoprire: la napoletana Antonietta De Lillo, l'austriaca Jessica Hausner e l'islandese Sólveig Anspach, regista multiculturale che negli anni ha lavorato sul doppio binario documentario-fiction, viaggiando per il mondo per poi trovare da molti anni una definitiva sede di vita e lavoro in Francia. Così come per le altre autrici appena citate, tutte le opere della Anspach saranno proiettate a Bergamo: tra i titoli, non possiamo non citare l'intenso dramma Haut les coeurs!, del 1999, che fece vincere a Karin Viard il César come miglior attrice dell'anno, e il nuovo Lulu femme nue, appena uscito nei cinema transalpini con grande apprezzamento di pubblico e critica.
Al BFM non mancherà inoltre un'ulteriore retrospettiva dedicata al bravissimo animatore francese Pierre-Luc Granjon, e notevole spazio sarà riservato ai documentari (la consueta sezione "Visti da vicino"), tra i quali incuriosisce molto il bizzarro docu-fiction inglese The Imposter, transitato al Sundance. Ci saranno anche cortometraggi, proiezioni per le scuole, anteprime (La luna su Torino di Ferrario, Devil's Knot di Egoyan) e come ogni anno, per i cinefili più resistenti, una fantamaratona notturna (lo scorso anno terminò alle 3.47 del mattino!) con la proiezione del delizioso Per favore, non mordermi sul collo di Polanski seguito dal leggendario Carrie di De Palma.
Gli appuntamenti elencati già sarebbero sufficienti, ma il Bergamo Film Meeting è ogni volta un luogo in cui il passato torna a splendere. Anche quest'anno troverà dunque tantissimo spazio il glorioso cinema che fu, con una corposa retrospettiva (23 titoli) dedicata a Dirk Bogarde, durante la quale si rivedranno capolavori come The Servant di Losey, La caduta degli Dei di Visconti e Providence del compianto Alain Resnais, e un ulteriore percorso tematico intitolato “Ma papà ti manda sola?”, con una decina di pellicole che hanno saputo abbracciare ai massimi livelli i dettami della screwball comedy, dallo straordinario It happened one night di Capra a Bringing Up Baby di Hawks.
Insomma, chiunque transiterà dalle parti di Bergamo nei prossimi giorni non potrà non trovare molteplici ingredienti gustosi e diversificati con cui sfamare un'inesausta sete di cinema e ricerca, capace di abbattere qualsiasi confine culturale e temporale; il tutto nel caldo tepore di un festival che, come sempre e meglio di molti altri, sa abbracciare il passato, scavare nel presente e corteggiare l'avvenire. 

Alessio Gradogna

Il programma completo sul sito ufficiale

Sezione di riferimento: Festival

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BFM 31 - Chaika, il treno della speranza

6/4/2013

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C'è un treno che parte, ogni giorno, da una landa remota situata in mezzo al niente. Chi sono le persone che salgono sui quei vagoni? Dove vanno? Scappano verso una nuova vita? Oppure fuggono per poi ritornare? E' quanto si chiede Ahysa, la protagonista di Chaika, il migliore tra i film in concorso visti nella trentunesima edizione del Bergamo Film Meeting.
Diretto dallo spagnolo Miguel Angel Jimenez, il film racconta la storia di una prostituta di origine kazaka. Abbandonata la casa paterna, la ragazza s'imbarca su una nave, in mancanza di alternative migliori, e per intere settimane è costretta a soddisfare le voglie represse (e talvolta brutali) dei marinai. 
Terminata la navigazione Ahysa, nel frattempo diventata madre, non sa dove andare: accetta così l'invito di Asylbeck, marinaio dall'animo buono, innamorato di lei e disposto a offrirle un tetto pur di averla vicino. Negli anni seguenti Ahysa e il figlio, Tursyn, vivono con Asylbeck e la sua famiglia in una casupola gelida in Siberia, per poi trasferirsi tra le steppe del Kazakistan. Più avanti nel tempo, Tursyn torna nei luoghi in cui ha trascorso la sua infanzia, per rievocare il passato.
La lavorazione di Chaika è stata una difficilissima sfida. Così l'hanno definita i produttori del film, tramite un video-messaggio recapitato agli spettatori di Bergamo per ovviare all'assenza del regista, impossibilitato a recarsi nella città lombarda. Tre anni di riprese, con pericoli di non poco conto e ostacoli di tutti i tipi messi in atto dalle autorità kazake, mal disposte a tollerare nel loro territorio la lavorazione di un film con protagonista una prostituta musulmana. Divieti, visti poi ritirati, ingerenze e aggressioni, a causa delle quali la troupe ha dovuto raccogliere il materiale e terminare le riprese altrove, in Siberia, con temperature mai sopra i -20 gradi. 
Un'avventura estrema, verrebbe da dire herzoghiana, per fortuna portata a termine con pieno successo. Chaika è infatti un lavoro doloroso, intimo, lacerante, e non privo di poesia. Un'opera diretta con attenzione e umiltà, in cui la natura toglie spazio alla parola, e il silenzio riesce a spiegare più di mille frasi. Penetrata dai rudi marinai prima, dal freddo inclemente poi, Ahysa è un'anima mite, sola, irrequieta: una donna cresciuta troppo in fretta, torturata dal destino, vogliosa di cullare sogni di mitiche fughe dirette verso un futuro radioso. Il suo compagno, Asylbeck, ne è l'esatto contrappunto: un uomo semplice, che niente ha e niente insegue, salvo la presenza di una donna che non lo ama, ma che, anche solo standogli accanto, gli regala quella felicità che mai potrebbe trovare in nessun altro angolo del mondo.
Ci sono persone che muoiono lì dove sono nate; altre invece cercano per tutta la vita il luogo giusto per loro, senza mai trovarlo. Ahysa (una bravissima Salome Demuria) fa parte della seconda categoria, come tanti di noi; stringendo i denti lei combatte, soffre, subisce, piange, resiste, sapendo che un giorno, forse, troverà finalmente il coraggio di salire su quel treno, correndo ad ampie falcate verso il domani. Qualunque esso sia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Titolo originale: Chaika
Anno: 2012
Regia: Miguel Angel Jimenez
Sceneggiatura: Miguel Angel Jimenez, Luis Moya
Fotografia: Gorza Gomez Andreu
Musiche: Pascal Gaigne
Durata: 100'
Uscita in Italia: --
Interpreti principali: Salome Demuria, Gio Gabunia, Bachi Lezhava, Aytuar Issayev

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BFM 31 - Guédiguian e il cinema di qualita'

6/4/2013

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Qualcuno tempo fa lo chiamò "il poeta dei sobborghi marsigliesi": una definizione forse limitativa, ma tutto sommato adeguata nel descrivere il cinema di Robert Guédiguian, protagonista dell'edizione 2013 del Bergamo Film Meeting, conclusa tra gli applausi del pubblico che per nove giorni ha affollato l'Auditorium di Piazza della Libertà, spesso esaurito in ogni ordine di posto, con gente addirittura accampata sugli scalini dei corridoi. 
L'idea di dedicare una retrospettiva integrale all'autore francese, purtroppo poco conosciuto in Italia, oltre a essere brillantissima sulla carta si è rivelata vincente anche al lato pratico: i 17 film di Guédiguian hanno appassionato gli spettatori, e sia lui che la compagna-attrice Ariane Ascaride, ospiti del festival, hanno ricevuto una meritata standing ovation quando sono apparsi sul palco, dimostrandosi poi persone umili, amabili, squisite, nei vari incontri in cui sono stati coinvolti nelle ore successive, intrattenendo la folla con aneddoti interessanti e spassosissimi 
Operai, disoccupati, giovani allo sbando, piccoli delinquenti. Gente povera ma piena di dignità. Storie di tutti di giorni, divise tra disillusioni e sconfitte, battaglie e vittorie, tenerezza e caparbietà. Trent'anni di cinema onesto, genuino, condotto con mano sicura, dall'esordio con Dernier Eté (1981) sino all'ultimo e bellissimo Le nevi del Kilimangiaro; tre decadi di lavoro appassionato, coerente, schierato dalla parte dei più deboli senza peraltro mai (s)cadere nel qualunquismo o nella mera lotta ideologica: Guédiguian, riportando le sue stesse parole, nella sua carriera ha voluto sempre "dare voce a chi non ce l'ha", e lo ha fatto con una purezza d'intenti libera da ogni sospetto. 
Il pubblico di Bergamo ha potuto così vivere un coinvolgente viaggio in un cinema di volta in volta dolente e divertito, straziante e risorgente, contrassegnato da tappe significative e in fondo tutte necessarie: la disperazione cocente di La ville est tranquille, forse il capolavoro di una vita; il sogno mai domo di A' la place du coeur; il laicismo tagliente del "quasi morettiano" L'argent fait le bonheur; lo scatenato divertissement metacinematografico di  A' l'attaque; tante storie per un unico cinema, sempre uguale a se stesso eppure sempre diverso, con un'intoccabile famiglia di attori ad accompagnare Guédiguian in ogni lavoro: la Ascaride, musa ispiratrice nella vita come nell'Arte; Jean-Pierre Darroussin, magnifico interprete che non ci si stancherebbe mai di guardar recitare; Gérard Meylan, impeccabile trasformista. Un po' come Kaurismaki, Guédiguian da trent'anni fa sempre lo stesso film, eppure ogni volta è capace di sorprenderci e rinnovarsi. Una virtù che appartiene solo ai grandi cineasti.
Il festival di Bergamo si è confermato ancora una volta uno degli appuntamenti più belli dell'intero panorama nazionale, e lo ha fatto attraverso un fattore tanto essenziale quanto (non) scontato: la qualità. Impossibile, tra gli ottanta e passa titoli presentati, trovare una pellicola di livello scadente. Numerosissime, invece, le suggestioni positive, sia nei film in concorso, sia nelle sezioni parallele, sia negli abbondanti omaggi rivolti al passato, in cui è stato possibile gustare, tra gli altri, F For Fake, testamento artistico del "ciarlatano" Orson Welles; Murder By Death, scatenata parodia del whodunit con clamorosa sfilata di star all british, da Peter Sellers ad Alec Guinness, da Maggie Smith a Peter Falk; House on Haunted Hill, leggendario horror di William Castle con il totemico Vincent Price; The Horse's Mouth, sottostimato lavoro del '58 con un Guinness pittore scapestrato più in forma che mai.
A conti fatti, quello di Bergamo resta un evento imprescindibile, per compiere un'immersione totale nel caldo abbraccio del cinema, senza limiti né confini.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Reportage

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