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LOCARNO 66 – L'Étrange Couleur des larmes de ton corps

17/8/2013

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Una donna scompare. Il marito la cerca ovunque, non la trova, e nella disperazione inizia a essere preda di incubi e allucinazioni di ogni tipo. 
Fine. Questa è la trama di L'Étrange Couleur des larmes de ton corps, l'atteso ritorno della coppia formata da Hélène Cattet e Bruno Forzani, saliti alla ribalta quattro anni fa con l'apprezzatissimo Amer, molto lodato dai seguaci del cinema di genere. Trama, peraltro, è un termine che mal si addice alla nuova opera del duo, presentata in concorso e in anteprima mondiale a Locarno: qui, infatti, il plot narrativo è puro pretesto, un semplice accenno buttato lì per poi dirigersi negli ostici territori di una visionarietà ribadita e anzi molto estremizzata rispetto al lavoro precedente.
Già Amer, apprezzabile come sentito omaggio al glorioso giallo-horror all'italiana degli anni Settanta, viveva in una sorta di bolla autoreferenziale, un limbo chiuso in se stesso alla lunga sin troppo sicuro delle sue convinzioni. Con L'Étrange Couleur la coppia belga si è però spinta ben oltre, urlando al vento il (non) senso di un cinema che guarda al passato, lo cita in ogni istante, e poi si bea del proprio indubitabile talento, facendosi beffe dello spettatore per tessere un abito intriso di mille colori che peraltro mal si adatta alla forma dell'oggetto filmico.
Il confine tra sperimentazione e manierismo, talento e supponenza è labile, oscillante, acquattato dietro l'angolo, pronto a saltare fuori per affossare lo sfidante di turno: in questo caso il limite risulta superato e non di poco. L'opera di Cattet/Forzani, partorita ovviamente seguendo l'insegnamento dei vari Bava, Argento, Fulci e Martino, risulta affascinante per i primi 15/20 minuti, salvo poi naufragare in un infinito loop di inserti inspiegabili, tagli sfrontati, split screen, zoom feroci, inquadrature volanti, soggettive impossibili, musiche d'epoca, attacchi sonori, corpi seviziati: un'esperienza stordente, che in qualche punto ci ha ricordato il terrificante Enter the Void di Gaspar Noè. Un esperimento sulla carta eccitante ma troppo ambizioso, che stanca in fretta e gira a vuoto in un'estenuante giostra da cui in verità, esaurita la curiosità iniziale, si vorrebbe scendere molto presto.
Pur riconoscendo le capacità registiche della coppia, ci sentiamo di consigliare loro un deciso cambio di registro per il futuro: non è sempre obbligatorio spingersi oltre, alla ricerca del punto di non ritorno; alle volte può essere salutare un bel salto all'indietro, per trovare la giusta armonia e individuare una strada definitiva che possa essere anche efficace e duratura. 
Note a margine: la proiezione locarnese, già di per sé delirante, è diventata ancora più surreale nel momento in cui è entrato in sala per assistere al film un certo Abel Ferrara (!), il quale pare abbia addirittura gradito, visto l'applauso (pressoché solitario) durante i titoli di coda. Inoltre dobbiamo segnalare come Luciano Martino, fondamentale produttore di quell'epoca d'oro di cui si nutre il cinema dei registi belgi, che lo hanno perfino citato in conferenza stampa, sia venuto a mancare proprio poche ore dopo; un macabro scherzo del destino.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Locarno


Scheda tecnica

Regia: Bruno Forzani,  Hélène Cattet
Attori: Klaus Tange,  Jean-Michel Vovk,  Sylvia Camarda,  Sam Louwyck,  Anna D’Annunzio
Fotografia: Manu Dacosse
Sceneggiatura: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Montaggio: Bernard Beets
Anno: 2013
Durata: 102'

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