ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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LOCARNO 75 – Last Dance, di Delphine Lehericey

17/8/2022

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​Germain ha 75 anni. Uomo tranquillo e riflessivo, accanito lettore, vuol bene alla moglie Lise e mal sopporta l’invasività dei loro figli. Quando un giorno all’improvviso si ritrova vedovo, il suo unico desiderio sarebbe poter vivere in pace il dolore, progetto reso pressoché impossibile dal continuo assalto di parenti e vicine di casa che lo disturbano a suon di martellanti telefonate, consegne quotidiane di pasti e turni di compagnia stabiliti con certosina precisione. La vita di Germain potrebbe comunque incastrarsi nelle pieghe della malinconia, se non fosse che ha una promessa da rispettare: portare a termine ciò che Lise aveva iniziato prima di andarsene, ovvero partecipare a uno spettacolo di danza contemporanea. Un mondo totalmente sconosciuto gli si apre così davanti agli occhi.

Presentato nella sfarzosa cornice di Piazza Grande a Locarno e vincitore del premio del pubblico, Last Dance è un film di produzione svizzero/belga che si pone come inno all’amore senza fine, e al contempo come esempio di una riscoperta di sé in grado di superare imbarazzi, limiti e confini mai nemmeno avvicinati. La regista e sceneggiatrice Delphine Lehericey sfrutta le coreografie di Maria Ribot, qui in veste di attrice ma nella realtà ballerina e artista visiva di successo (ha conseguito il Leone d'Oro alla Biennale Danza di Venezia nel 2020), e dopo il complesso ritratto adolescenziale del precedente Le milieu de l’horizon, crea il toccante disegno di un soggetto anziano che nell’ottemperare il patto con la compagna perduta le (e si) regala un afflato di romantica eternità.

Non è un caso se Germain, interpretato con sincera partecipazione dal sempre bravo François Berléand, tiene sul comodino accanto al letto À la recherche du temps perdu di Proust. Tra una pagina e l’altra, il suo romanzo esistenziale si arricchisce di un capitolo prima impossibile da prevedere, nel quale la recherche si traduce nel significato del movimento, nella liberazione del corpo, nello scioglimento dell’afflizione attraverso l’ipnotica celebrazione del gesto sinuoso, possibile eccome anche in età avanzata, a patto di lasciar defluire pregiudizi e timidezze.

La missione di Germain diventa inoltre una fuga dalle insopportabili insistenze di chi gli sta intorno, soffocanti figure iper-protettive convinte di fornirgli un necessario aiuto quando invece lui vorrebbe semplicemente essere lasciato in pace. Le sproporzionate attenzioni scatenano l’effetto opposto, totale insofferenza e persino piccole vendette (le torte quotidiane preparate dalla vicina date da mangiare al gatto, i telefoni staccati di proposito), perché l’indipendenza è un’anelata virtù, così come lo è mantenere il segreto sul luogo dove Germain inizia a recarsi ogni giorno (il teatro), al fine di evitare ulteriori ingerenze.
​Le prove dello spettacolo sono un intimo e silente legame con cui mantenere il filo della passione prima di salutare davvero Lise e traghettarla verso l’aldilà, e si rivelano un supporto essenziale (questo sì) per combattere la nostalgia senza crollare. Nei passi inventati su quel palco, misurati eppure carichi di mistero e seduzione, Germain consacra decenni di felice relazione con la donna della vita e le indirizza un ultimo e commovente bacio.

Last Dance, per alcuni aspetti affine al recente e pregevolissimo C’est ça l’amour con Bouli Lanners, è un lavoro che tenta di abbinare commedia e dramma, serie riflessioni sulla terza età e tocchi di ilarità, mondo del cinema e peculiarità della danza, senza inventare nulla. La regia si amalgama con le coreografie studiate dalla Ribot, trovando momenti di notevole forza visiva e idee ragguardevoli (i teneri messaggi alla moglie defunta scritti a mano su bigliettini poi nascosti nei libri in biblioteca), ma la struttura d’insieme risulta prevedibile in ogni sviluppo. Ciò peraltro non elimina il preminente fattore umanistico, abile a far breccia senza sforzo nel cuore dello spettatore, per una storia in fondo basilare e tuttavia densa di valore.

Per un’opera di questo genere, affidarsi a volti giusti non è elemento secondario. La decisione di puntare su Berléand risulta vincente, e non dispiacciono nemmeno le presenze, accanto ad attori non professionisti, di qualche faccia piuttosto nota. Tra loro Déborah Lukumuena, già vista nell’apprezzabile Divines (per il quale si aggiudicò un César) insieme a Kacey Mottet-Klein, arrivato a Locarno da ragazzino sette anni fa per l'anteprima di Keeper di Guillaume Senez e nel frattempo diventato adulto.

Un titolo come Last Dance può essere accusato di strizzate d’occhio alla platea, ridondanze, eccessiva melensaggine. Non del tutto a torto. Ma se è vero che il concetto di grande film risiede altrove, è altrettanto vero che siamo di fronte a una pellicola delicata, emozionante e dolce come le fusa feline. Di questi tempi, non è poco.

«Tu es avec moi, pour toujours.»

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Locarno 75


Scheda tecnica

Titolo originale: Last Dance
Anno: 2022
Durata: 84’
Regia e sceneggiatura: Delphine Lehericey
Fotografia: Hichame Alaouié
Montaggio: Nicolas Rumpl
Musiche: Nicolas Rabaeus
Attori: François Berléand, Kacey Mottet Klein, La Ribot, Déborah Lukumuena, Astrid Whettnall 
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LOCARNO 75 – Before I Change My Mind, di Trevor Anderson

11/8/2022

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​«Robin è un maschio o una femmina?»

Con questa domanda, destinata a non trovare definitiva risposta, inizia Before I Change My Mind, lungometraggio d’esordio del regista canadese Trevor Anderson, già autore di corti selezionati in importanti festival e qui all’opera prima sulla lunga distanza. Il film, collocato nella sezione Cineasti del Presente e proiettato in anteprima mondiale a Locarno 2022, pone un interrogativo di per sé atavico, perlomeno sulla carta, su cui si fonda la base di un lavoro che cerca però di andare oltre l’identità di genere, mettendo il concetto stesso di persona su un piano superiore rispetto alla connotazione sessuale.

L’adolescenza è protagonista di tanti lodevoli titoli di questa edizione locarnese. Dai francesi Stella est amoureuse, Petites e Astrakan, fino alla pellicola qui in oggetto, il processo di crescita, conoscenza e affermazione di sé risulta preponderante in un folto numero di visioni, contraddistinte da acume e brillantezza in fase sia di scrittura che di direzione attoriale. In tale mosaico si inserisce molto bene il lavoro di Anderson, al cui centro troviamo appunto Robin, ragazzo (o ragazza?) tredicenne appena trasferito/a dagli States alla cittadina canadese di Alberta, insieme al padre. La sceneggiatura descrive l’arrivo nella nuova scuola, la complessità dell’ambientamento, i dileggi e le umiliazioni da parte dei coetanei, confusi di fronte a questa sorta di "caso alieno" che non riescono a identificare, a catalogare. 

In Robin, nonostante le derisioni, scatta invece l’attrazione verso Carter, bulletto della classe; i due stringono una particolare amicizia, durante la quale i veri sentimenti di Robin vengono gelosamente mantenuti sottotraccia, salvo poi mordere la luce quando il duetto diventa un triangolo, per l’inserimento dell’affascinante compagna Isabelle. Gradualmente si sviluppa allora una giostra di turbamenti che più o meno tutti noi abbiamo provato a quell’età: risate innocenti, cocenti delusioni, parole non dette, timidi baci, reazioni inconsulte, gesti pericolosi e biasimevoli compiuti per impressionare e/o sentirsi parte di qualcosa, attimi di dolcezza, singulti di rabbia. Al quadro si aggiungono inoltre isolate immagini in flashback in cui ci viene suggerito un passato di dolore e probabile abbandono.

Tutto questo accade senza mai svelare il segreto, ovvero senza confessare l’appartenenza di genere relativa a Robin. La questione resta sospesa nell’aria, poiché lo scopo del regista è allontanare da giudizi morali incentrati sulla ristretta gabbia maschio/femmina, affinché lo spettatore possa accettare (o perché no anche rifiutare) le azioni del/della protagonista senza influssi contaminati. Ciò che viene mostrato accantona dunque la soluzione al dubbio per innalzare la sopracitata idea di persona, solo in quanto tale e come tale da valutare, amare, apprezzare o respingere. Ne consegue un racconto stratificato che rifugge la mera classificazione per farsi materia narrativa libera.

Before I Change My Mind, non privo di riferimenti autobiografici, colpisce nel segno sotto ogni aspetto. Lo fa con invidiabile brillantezza, lasciandosi cullare dall’ottima intuizione di posizionare il film nei fiammeggianti anni Ottanta, di cui ricostruisce e sfrutta (benissimo) spazi, musiche, sensazioni, tanto che a tratti pare di assistere quasi a uno spin-off di Stranger Things (senza l’elemento horror). 

Riviste sconce rubacchiate qua e là da leggere di nascosto dai genitori nella casa sull’albero, computer con i floppy disk, biciclette, calzette bianche, bolle di sapone: Anderson ci immerge senza fatica in quel mondo, in quell’epoca, regalandoci un’ora e mezza sempre coinvolgente durante la quale intelligenti riflessioni umane e umanistiche si accompagnano a scene di irresistibile ilarità, dal grottesco musical religioso (con 99 esilaranti frustrate) alle signore sole che invitano un uomo a cena e si ubriacano senza ritegno, dalla folgorante scoperta del punk, con immediato stravolgimento del look a improbabili splatter gore in VHS che provocano ai ragazzi un gran sonno invece di spaventarli. 

Il clima resta quindi leggero, ammiccante, nel senso però migliore del termine, perché in Before I Change My Mind la complicità tra regista e pubblico non diminuisce affatto la sostanza, incarnata da un nugolo di efficaci giovani interpreti tra i quali spiccano la luminosa Lacey Oake e Vaughan Murrae, nella realtà attore non binario (soggetto che al di là del sesso attribuito alla nascita non si riconosce nel tradizionale schema maschio/femmina). Un legame forte tra personaggio e vita vera, perfetto per donare ancora più credibilità a un’opera che risalta per acume, spontaneità e freschezza.

​Senza bisogno di alcun "genere" precostituito.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Locarno 75

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Scheda tecnica

Regia: Trevor Anderson
Sceneggiatura: Trevor Anderson, Fish Griwkowsky
Anno: 2002
Durata: 89’
Musiche: Lyle Bell
Fotografia: Wes Miron
Montaggio: Justin Lachance
Attori: Vaughan Murrae, Dominic Lippa, Lacey Oake, Matthew Rankin

QUI IL TRAILER
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LOCARNO 75 – Stella est amoureuse di S.Verheyde / Petites di J.Lerat-Gersant

8/8/2022

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Il Festival di Locarno torna a pieno regime, dopo due edizioni chiaramente difficoltose, e lo fa senza alcun tipo di restrizione (meglio evitare impietosi confronti con la realtà italiana), proponendo un programma come sempre stimolante, variegato e ricchissimo.

Nelle sezioni, competitive e non, grande spazio per il cinema francese, rappresentato da un folto numero di pellicole in anteprima mondiale. In Piazza Grande trovano posto tra le altre Annie Colère con Laure Calamy, Last Dance con François Berleand e Une femme de notre temps con Sophie Marceau. Senza tralasciare Paradise Highway, di produzione americana ma interpretato dalla meravigliosa Juliette Binoche, elegante e splendente anche durante la conferenza stampa svizzera. 

Nel concorso internazionale ecco invece Stella est amoureuse, di Sylvie Verheyde, vero e proprio sequel di Stella, film diretto dalla stessa regista che nel 2008 si era posto come perfetto esempio della capacità unica del cinema d’Oltralpe di descrivere con naturalezza ed empatia le mille oscillazioni della giovinezza. La Verheyde torna dunque a quel personaggio, ne ripropone lo stesso tipo di radici e alcuni degli attori (in particolare Benjamin Biolay), spostando però l’attenzione verso una ragazza ormai cresciuta e alle prese con il passaggio dall’età adolescenziale agli albori dell’età adulta. 

La Stella che vediamo oggi è reduce da una vacanza estiva in Italia e sta per affrontare il termine delle scuole superiori, con lo spettro del vicino esame di maturità e un futuro davanti al momento privo di idee consistenti. Siamo negli anni Ottanta, tempo di scoperte, eccitazioni e sollecitazioni palpitanti ma anche in grado di confondere e confondersi.
​La protagonista trascorre ore con amiche vecchie e nuove, segue le lezioni in classe con poca voglia, scopre le notti trasgressive in discoteca e conosce un ballerino di colore di cui pare innamorarsi. In lei si assommano e accavallano sintomi di ribellione, desideri di affermazione della propria personalità, iniziazioni sessuali, sensi di inadeguatezza di fronte a ciò che la società chiede. Intorno invece scorrono con malcelato fallimento le frustrazioni di una madre abbandonata e indebitata e di un padre immaturo che cerca con scarsi risultati di creare una nuova famiglia. 

Le riflessioni morali e ontologiche di Stella est amoureuse viaggiano in stretto contatto con il periodo di ambientazione della vicenda, appunto gli Ottanta, attraverso un’operazione che può ricordare il recente Eté 85, ma con esiti più felici. Laddove infatti la pellicola del solitamente sempre lucido Ozon soffriva di un certo schematismo, qui lo spettatore è catapultato in un mondo trascinante, dipinto con i ritmi delle bellissime canzoni dell’epoca, sparate a volume consistente nelle molteplici sequenze collocate all’interno del locale che la ragazza inizia a frequentare con assiduità.
​Proprio in quel contesto il film apre le ali, grazie alla capacità di far percepire atmosfere, suoni, sudori e sapori intrisi di realismo, accompagnati dal ritmo forsennato della musica, dei suoni ipnotici, delle note di cui seguire la cadenza passo (di danza) dopo passo. Stella balla, noi con lei, in un vortice di movimento e luci stroboscopiche in fondo anch’esse ben raffigurative per ciò che concerne la sete di vita della ragazza, ma anche i tanti dubbi di un cuore ancora lontano da certezze e solidità.

La Verheyde padroneggia in modo invidiabile la notte, non perde di vista la sua ritrattistica nemmeno di giorno e veleggia su coordinate che la avvicinano allo straordinario Mektoub My Love di Kechiche, naturalmente senza volerne paragonare l’efficacia complessiva. Il suo lavoro è comunque attento, mai compiaciuto e incontra l’essenza della talentuosa attrice Flavie Delangle, le cui mutazioni improvvise di sguardo, gesti e reazioni forniscono il volto giusto a una donna in erba che in fondo alla fine può decidere una sola cosa, la migliore: cogliere l’esistenza così come viene, giorno dopo giorno. Domani si vedrà. 

Sentimenti uguali e contrari per Camille, sedicenne punto focale di Petites, opera prima di Julie Lerat-Gersant, in concorso nella sezione Cineasti del presente. Incinta senza averlo voluto, l’anti-eroina del film cerca di sbarazzarsi in autonomia del fardello, fallisce il tentativo e viene mandata dal giudice minorile in una casa famiglia, dove fino a parto concluso dovrà coabitare con altre ragazze in condizioni più o meno simili alle sue. Strappata dalle pareti domestiche, costretta in un luogo che lei vede come ingiusta prigione, Camille sfoga rabbia e frustrazione, salvo poi poco alla volta stringere amicizia con qualcuna delle sue forzate coinquiline. Il bimbo che porta nel ventre continua a essere un peso; la decisione è liberarsene appena sarà nato, darlo in affidamento. I mesi che mancano al parto riusciranno a modificare questa dura scelta?

Petites è un disegno filmico che racchiude storie di madri obbligate, mancate, sbagliate. Camille, innanzitutto, ma anche la di lei genitrice, amorevole però totalmente incapace di assistere la figlia con un minimo di costanza e lucidità. Insieme a loro le altre ragazze che attraversano l’opera, tra sofferenze, distrazioni, pentimenti, cocenti e reiterati errori. I maschi restano in disparte, quasi sempre volatili o dannosi, salvo un fidanzato che in fondo il bimbo forse lo terrebbe ma non ha alcuna idea di cosa significhi assumere una tale responsabilità, né può comprendere il travaglio interiore che incombe in chi ha il compito di mettere al mondo un figlio, voluto o meno.

L’esordio di Julie Lerat-Gersant all’inizio pare incanalarsi su sentieri già battuti, senza aggiungere connotazioni significative. Con lo scorrere dei minuti i toni però si alzano e approfondiscono, regalando al film maggiore intensità e freschezza, sino a toccare nodi narrativi ed emotivi che sanno condurre a una sincera commozione.

Stella e Camilla: anime forti e insieme fragili, in cerca di comprensione, verità e felicità, nel percorso a ostacoli lungo l’impervia scalata verso l’avvenire.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Locarno

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Schede tecniche

Titolo originale: Stella est amoureuse
Anno: 2022
Regia: Sylvie Verheyde
Durata: 110'
Sceneggiatura: William Wayolle
Cast: Flavie Delangle, Marina Foïs, Benjamin Biolay
Fotografia: Léo Hinstin
Montaggio: William Wayolle
Musica: NousDeux The Band

Titolo originale: Petites
Anno: 2022
Regia e sceneggiatura: Julie Lerat-Gersant
Durata: 90'
Cast: Pili Groyne, Romane Bohringer, Victoire Du Bois, Lucie Charles-Alfred
Fotografia: Virginie Saint-Martin
Montaggio: Mathilde Van de Moortel
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LOCARNO 74 – La place d’une autre, di Aurélia Georges

13/8/2021

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​Francia, 1914. La guerra colpisce, miete vittime e rende difficile la vita di giovani donne prive di adeguati mezzi di sostentamento. Nelie lavora come domestica, viene messa alla porta per demeriti altrui e come tante altre si ritrova in strada, a mendicare un pezzo di pane e vendere il suo corpo. Salvata da una responsabile della Croix-Rouge parte per il fronte in qualità di infermiera. In un ospedale militare conosce Rose, donna di buona famiglia in transito dalla Svizzera e diretta a Nancy, con il prospetto di diventare la dama di compagnia della ricca Madame de Lengwil.

​Durante un attacco tedesco Rose resta gravemente ferita, in punto di morte. Nelie coglie al volo la macabra occasione, le ruba i vestiti e perfino il nome, si reca in sua vece a Nancy, con identità fasulla, e riesce subito a conquistare le grazie della signora che, ignara di tutto, la assume credendola realmente Rose. La vita di Nelie cambia totalmente aspetto, in meglio, ma da lì comincia un complesso viaggio tra menzogne, sospetti, inganni, fiducia mal riposta, rivendicazioni, tentativi di vendetta e sensi di colpa.
​
Presentato in anteprima mondiale e in concorso al Festival di Locarno, La place d’une autre è un racconto in costume che si appoggia all’epoca di riferimento per rappresentare, in via peraltro universale, un tentativo di emancipazione apparentemente mancante di qualsiasi ordine morale. Nelie è una delle molte ragazze che sognano di cambiare esistenza, abbandonare la strada e trovare un rifugio solido e sicuro; per dare sostanza al suo obiettivo sfrutta appieno l’inattesa chance del destino, recitando il ruolo di colei a cui ha sottratto realmente tutto. La sua abilità in tal senso svia gli ipotetici iniziali dubbi di Madame de Lengwil, figura ambivalente per come pretende rispetto e verità ad ogni costo, salvo poi però affezionarsi profondamente alla finta Rose e difenderla anche quando il meschino segreto perde di consistenza.
In questi contrasti si dipana il senso di un’opera che non giudica e non condanna, cerca parziali giustificazioni anche agli atti più impuri e scivola tra luci e ombre, mantenendo sempre in primo piano la consapevolezza di quanto, in certi periodi storici, sia difficile biasimare una ragazza che nell’inganno trova l’unica opzione con cui combattere paura, disperazione, abbandono, fame e miseria.

La messinscena che guida la pellicola di Aurélia Georges, al terzo lungometraggio dopo L’homme qui marche (2008) e La fille et le fleuve (2014), fa dell’eleganza un marchio stilistico irrinunciabile, anch’esso in antitesi con l’atavico e concretissimo orrore della guerra. I colori, i libri e l’opulenza della tenuta di Madame de Lengwil schiacciano, perlomeno a tratti, la devastazione di tutto ciò che ha a che fare con bombardamenti, ferite, lacrime e follia, accompagnando lo spettatore in un mondo ovattato in cui però il germe del conflitto penetra seguendo traiettorie subdole e improvvise. In fondo ogni personaggio della vicenda ha un solo reale scopo: sopravvivere, come meglio può, e ciò, tornando al discorso di cui sopra, scagiona in qualche maniera anche chi si rende responsabile di atti vili compiuti nel nome di una residua speranza di riscatto individuale e sociale. Il tutto, comunque, sino a un certo limite, oltrepassato il quale il cuore torna per fortuna a dettare legge.

La place d’une autre, tratto da un’opera scritta nel 1873 da Wilkie Collins (collaboratore di Charles Dickens), è un lavoro accurato e impeccabile dal lato formale. Qualche pecca si nota invece in fase di sceneggiatura, sia per una parte iniziale esaurita troppo in fretta, sia per alcuni successivi sviluppi un po’ troppo “semplici” e dunque non del tutto credibili. Restano in ogni caso i (tanti) pregi di un film sviluppato con notevolissima cura e impreziosito da volti semplicemente perfetti. A partire da quello di Lyna Khoudri, lieta conferma dopo la strepitosa interpretazione in Papicha pur qui in panni e contesti molto differenti e giocoforza trattenuti, per giungere a Sabine Azéma, regina del cinema francese capace una volta ancora di irradiare lo schermo con la sua immensa classe.
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Nelle loro espressioni, nelle loro lievi sfumature espressive, si alternano attimi di pace e sofferenza, misteri e perplessità, gioie e delusioni, sino a un epilogo, prevedibile eppure adeguato, in cui è l’amore a decretare il possibile sentiero verso l’avvenire.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose, Locarno 72-74

Scheda tecnica

Regia: Aurélia Georges
Sceneggiatura: Aurélia Georges, Maud Ameline (da un'opera di Wilkie Collins)
Attori: Lyna Khoudri, Sabine Azéma, Maud Wyler, Laurent Poitrenaux, Didier Brice
Fotografia: Jacques Girault
Montaggio: Martial Salomon
Anno: 2021
Durata: 112’
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LOCARNO 72 – Panoramica del concorso internazionale

19/8/2019

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​Locarno è esplorazione, curiosità, porte aperte a tutte le forme di cinema. Un festival in cui è abbastanza raro vedere grandi nomi inseriti nelle principali competizioni. O meglio, di nomi importanti talvolta ce ne sono, ma si tratta spesso di autori conosciuti soprattutto dagli addetti ai lavori, a cui si affiancano registi esordienti e/o in rampa di lancio.
​Un quadro d’insieme eterogeneo e sempre interessante, privo di timori nel proporre al poliglotta pubblico ticinese opere in molti casi complesse, di non immediata fruizione, ma contraddistinte da inappuntabile qualità stilistica (esempi indimenticabili, in tal senso, i bellissimi Right Now, Wrong Then di Hong Sang-soo e Godless di Ralitza Petrova, vincitori rispettivamente delle edizioni 2015 e 2016).
L’edizione 72 di Locarno ha giustamente proseguito su questa linea, inserendo nel concorso internazionale 17 titoli, provenienti da diverse parti del mondo, che hanno raccontato storie di perdita e redenzione, condanna e riscatto, fuga o ritorno dalla/alla terra natia, focalizzando le loro narrazioni su personaggi in missione verso il rintracciamento della propria anima.
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Non sorprende, dunque, che il Pardo d’Oro sia stato assegnato al portoghese Vitalina Varela, di Pedro Costa, autore amato dagli habitué festivalieri e qui più rigoroso che mai nel tratteggiare la storia di una (autentica) donna, originaria di Capo Verde, che torna nel popolare quartiere di Fontainhas, a Lisbona, per onorare la memoria del defunto marito. Il film di Costa è una discesa notturna e ieratica nelle viscere del barrio, tra tuguri e povertà, solidarietà collettiva e vite spente, in un non-luogo che assorbe i capricci estremi del clima tanto quanto il sudore delle ombre che lo affollano.

Lontananza o riavvicinamento dalle/alle proprie origini: tema centrale anche dell’ottimo film brasiliano A Febre, debutto nel lungometraggio di Maya Da-Rin, il cui fulcro si staglia sulla toccante figura di Justino, indigeno di 45 anni appartenente al popolo Desana, che da tanti anni lavora come guardiano al porto della città di Manaus, ma sogna, prima o poi, di poter tornare a casa, alle sue foreste, alle abitudini della sua gente, liberandosi dal fardello di una quotidianità che lo opprime. Un’opera di alto valore, impreziosita dall’emozionante volto del protagonista Regis Myrupu (nella foto sopra), premiato dalla giuria, attore non professionista (è realmente un indigeno) sulle cui misurate espressioni si svelano orgoglio, sofferenza ed enorme dignità; una di quelle interpretazioni sottotraccia che si stampano nella mente e nel cuore.
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Fughe obbligate o impossibili, agognate o imposte, sono anche il punto di analisi del coreano Pa-go (Height of the Wave), di Park Jung-Bum, vincitore del premio speciale della giuria, ambientato in un’isola dove si sviluppano le storie parallele di una poliziotta mandata in esilio dai suoi superiori e di una ragazza, sfruttata dagli abitanti del posto, che vorrebbe andarsene ma non ci riesce, per paura di quell’oceano che anni prima ha travolto e divorato i suoi genitori. Un altro film che scruta attraverso le sensazioni impresse nei visi e nello spirito, implementando al contempo un racconto morale travestito da noir i cui misteri poco a poco si aprono, rivelando come tutti siano complici e responsabili.

Misteri al centro pure del giapponese Yokogao (A Girl Missing), dove un’infermiera si trova impigliata nelle maglie di una persecuzione mediatica nel momento in cui scompare la sorella minore della famiglia presso cui lavora; un evento che si ripercuote su tutta la sua vita, in un complesso coacervo di sbagli di difficile riparazione.

È invece colpevole solo di non voler cedere allo scorrere del tempo Luis Rovisco, protagonista di Technoboss, di Joao Nicolau, escluso dal palmarès anche se un riconoscimento lo avrebbe meritato; un addetto ai sistemi di sicurezza aziendali ormai vicino alla pensione, che cerca di mantenersi al passo con le nuove tecnologie professionali, rifiuta di lasciare strada a colleghi più giovani e insegue un forte anelito d’amore verso una ex fiamma incontrata nella hall di un hotel. Un lavoro stralunato e divertente, surreale e a tratti molto dolce, accompagnato da canzoni intonate dai personaggi e da stordite espressioni di kaurismakiana memoria.
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Fermare il tempo, oppure ridargli corpo e attualità: Les enfants d’Isadora, del francese Damien Manivel, già apprezzato per opere come Un jeune poète e Le Parc e qui premiato per la miglior regia, si dedica al mondo della danza, mettendo in scena quattro donne che ripropongono una coreografia creata un secolo prima dalla famosa ballerina Isadora Duncan, con cui quest’ultima immaginava di cullare il suo bimbo prima di dirgli addio. Una pellicola poetica e armonica, con un finale struggente.
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E poi c’è il tempo che perde le sue concezioni primarie, facendosi messaggio universale, come nell’ipnotico e sorprendente film indonesiano Hiruk-pikuk si al-kisah (The Science of Fictions), in cui un uomo buono di nome Siman assiste inavvertitamente a un allunaggio fasullo messo in atto da una troupe straniera; una volta scoperto, gli viene mozzata la lingua, affinché non possa rivelare a nessuno il segreto. Da quel momento in poi Siman perde i connotati con la realtà fattuale, costruisce una specie di astronave per poter un giorno andare sulla luna e soprattutto inizia a muoversi al ralenti, in ogni gesto, in ogni situazione, cucendosi addosso una sorta di modo alternativo per raccontare silenziosamente alla gente ciò che ha visto. Siman diventa così una specie di freak, una creatura altra, un’anima fuori fuoco che nel suo andamento lento fa sentire una muta voce di protesta contro le ingiustizie. 
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Il mondo crudele e spietato non fa mancare i propri artigli nemmeno nei francesi Terminal Sud e Douze Mille, entrambi interessanti ma frenati da un eccessivo schematismo. Nel primo un medico coraggioso tenta di continuare a espletare il suo dovere, a proprio rischio e pericolo, in un paese in guerra. Nel secondo un uomo lascia temporaneamente la compagna e parte, all’inseguimento di un lavoro che gli possa permettere di guadagnare abbastanza soldi per assicurare a entrambi un presente migliore. 
Infine, una citazione per l’italo-argentino Maternal, collocato in una casa d’accoglienza a Buenos Aires dove trovano asilo giovane ragazze incinte, e per l’islandese Bergmál (Echo), serie di piccoli quadretti volti a formare una mordace immagine dell’Islanda contemporanea, tra solitudini e generosità. 
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Tutto questo (e ancora di più) è stato il concorso internazionale di Locarno 72: un bel contenitore di suggestioni e riflessioni, per un festival che una volta di più ha confermato ampio fascino e intoccabile forza.
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Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Locarno 72

Palmarès Concorso Internazionale
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- Pardo d’oro (Gran Premio del Festival) – Città di Locarno 
VITALINA VARELA di Pedro Costa, Portogallo
- Premio speciale della giuria – Comuni di Ascona e Locarno
PA-GO (Height of the Wave) di PARK Jung-bum, Corea del Sud
- Pardo per la migliore regia – Città e Regione di Locarno
Damien Manivel per LES ENFANTS D’ISADORA, Francia/Corea del Sud
- Pardo per la migliore interpretazione femminile
Vitalina Varela per VITALINA VARELA di Pedro Costa, Portogallo
- Pardo per la migliore interpretazione maschile
Regis Myrupu per A FEBRE di Maya Da-Rin, Brasile/Francia/Gremania
- Menzioni speciali
HIRUK-PIKUK SI AL-KISAH (The Science of Fictions) di Yosep Anggi Noen, Indonesia/Malesia/Francia
MATERNAL di Maura Delpero, Italia/Argentina

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LOCARNO 70 - Il programma ufficiale

12/7/2017

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​Tradizione e innovazione. Con queste due parole il direttore artistico Carlo Chatrian ha aperto la presentazione dell'edizione 70 del Festival di Locarno, il cui programma è stato annunciato in queste ore. Dal 2 al 12 agosto la bellissima cittadina svizzera ospiterà un evento come sempre imperdibile, caratterizzato da un cartellone assai folto (oltre 200 i titoli complessivi) in cui spaziare tra suggestioni diversificate e affascinanti. 
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Adrien Brody, Jean-Pierre Léaud, Fanny Ardant, Mathieu Amalric, Vanessa Paradis, Vincent Macaigne, Jean-Marie Straub, Nastassja Kinski, Mathieu Kassovitz, Olivier Assayas: questo l'elenco (non esaustivo) dei principali ospiti che arriveranno a Locarno, per presentare film di cui sono attori o registi e incontrare il pubblico, per ricevere premi speciali o per indossare una veste ufficiale (è il caso di Assayas, presidente di giuria). Tutti comunque animeranno l'attenzione dei tanti spettatori e addetti ai lavori che si aggireranno tra Piazza Grande e le sale (comprese, finalmente, quelle del nuovo Palazzo del Cinema) rendendo come sempre magica e speciale l'atmosfera di quei giorni.
Giusto per citare qualche titolo, nel concorso internazionale Mrs Fang di Wang Bing (sul tema dell'Alzheimer), Lucky (con la partecipazione di David Lynch), Madame Hyde (con Isabelle Huppert alle prese con un disturbo della personalità) e La telenovela errante, film postumo di Raul Ruiz; in Piazza Grande Demain et tous les autres jours di Noémie Lvovsky (con Amalric e Anais Demoustier), Lola Pater (con la Ardant nei panni di un transgender) e Sparring (con Kassovitz); fuori concorso Le venerable W. Di Barbet Schroeder. 
Tradizione e innovazione. Abbracci cinefili e ricerca dell'originalità. Massima attenzione al presente e sentiti omaggi al passato (doveroso sottolineare, in tal senso, la bella retrospettiva dedicata a Jacques Tourneur). Come sempre ci sarà modo di soddisfare ogni gusto. 

Qui sotto l'elenco completo di tutti i film selezionati, divisi tra le varie sezioni, competitive e non. Sul sito ufficiale il programma esteso. 

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Locarno 70

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Concorso internazionale Pardo d'Oro

9 DOIGTS di F.J. Ossang
GOOD MANNERS di Juliana Rojas & Marco Dutra
CHARLESTON di Andrei Cretulescu
DID YOU WONDER WHO FIRED THE GUN di Travis Wilkerson
FREEDOM di Jan Speckenbach
GEMINI di Aaron Katz
GLI ASTEROIDI di Germano Maccioni
GOLIATH di Dominik Locher
GOOD LUCK di Ben Russell
LA TELENOVELA ERRANTE di Raul Ruiz
LUCKY di John Carroll Lynch
MADAME HYDE di Serge Bozon
MRS. FANG di Wang Bing
DRAGONFLY EYES di Xu Bing
A SKIN SO SOFT di Denis Coté
WINTER BROTHERS di Hlynur Palmason
WAJIB di Annemarie Jacir
 
Cineasti del presente

3/4 di Ilian Metev
ABSCHIED VON DEN ELTERN di Astrid Johanna Ofner
BEACH RATS di Eliza Hittman
CHO-HAENG di Kim Dae-hwan
DENE WOS GUET GEIT di Cyril Schäublin
DISTANT CONSTELLATION di Shevaun Mizrahi
EASY di Andrea Magnani
EDAHA NO KOTO di Ninomiya Ryutaro
IL MONTE DELLE FORMICHE di Riccardo Palladino
LE FORT DES FOUS di Narimane Mari
METEORLAR di Gürcan Keltek
MILLA di Valerie Massadian
PERSON TO PERSON di Dustin Guy Defa
SASHISHI DEDA di Ana Urushadze
SEVERINA di Felipe Hirsch
VERÃO DANADO di Pedro Cabeleira

Piazza Grande

AMORI CHE NON SANNO STARE AL MONDO di Francesca Comencini
ATOMIC BLONDE di David Leitch
CHIEN di Samuel Benchetrit
DEMAIN ET TOUS LES AUTRES JOURS di Noémie Lvovsky
DREI ZINNEN di Jan Zabeil
GOOD TIME di Ben Safdie, Joshua Safdie
GOTTHARD - ONE LIFE, ONE SOUL di  Kevin Merz
I WALKED WITH A ZOMBIE di Jacques Tourneur
ICEMAN di Felix Randau
LAISSEZ BRONZER LES CADAVRES di Hélène Cattet, Bruno Forzani
LOLA PATER di Nadir Moknèche
SICILIA! di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
SPARRING di Samuel Jouy
THE BIG SICK di Michael Showalter
THE SONG OF SCORPIONS di Anup Singh
WHAT HAPPENED TO MONDAY? di Tommy Wirkola

Signs of Life

ALIENS di Luis López Carrasco
COCOTE di Nelson Carlo De Los Santos Arias
ERA UMA VEZ BRASÍLIA di Adirley Queirós
FILMUS di Clément Safra
IN PRAISE OF NOTHING di Boris Mitic
OUROBOROS di Basma Alsharif
PANOPTIC di Rana Eid
PHANTASIESÄTZE di Dane Komljen
SURBILES di Giovanni Columbu
ZIRDZIŅ, HALLO! di Laila Pakalniņa
ȚARA MOARTĂ di Radu Jude

Pardi di domani

Concorso internazionale
AGVARIM SHEL ELLA di Oren Adaf
ANTÓNIO E CATARINA di Cristina Haneș
ARMAGEDDON 2 di Corey Hughes
BOOMERANG di David Bouttin
BRITISH BY THE GRACE OF GOD di Sean Robert Dunn
CROSSING RIVER di HAN Yumeng
DAS SATANISCHE DICKICHT – DREI di Willy Hans
DOUGGY di Matvey Fiks
EDGE OF ALCHEMY di Stacey Steers
FINE DI UN AMORE di Alberto Tamburelli
HAINE NEGRE di Octav Chelaru
HARBOUR di Stefanie Kolk
JEUNES HOMMES À LA FENÊTRE di Loukianos Moshonas
KAPITALISTIS di Pablo Muñoz Gomez
LOOP di Matija Gluscevic
LOS PERROS DE AMUNDSEN di Rafael Ramírez
NEGAH di  Farnoosh Samadi
NIKOG NEMA di Jelena Gavrilović
PALENQUE di Sebastián Pinzón Silva
PLUS ULTRA di Helena Girón, Samuel M. Delgado
SHMAMA di Miki Polonski
SIGNATURE di CHIKAURA Kei
SILICA di Pia Borg
SONG X di Mont Tesprateep
VYPUSK '97 di Pavlo Ostrikov
WASTELAND NO. 1: ARDENT, VERDANT di Jodie Mack
ZHIZN' MOEGO DRUGA di Zolotukhin

Concorso nazionale
59 SECONDES di Mauro Carraro
A SONG FROM THE FUTURE di Donati
KUCKUCK di Aline Höchli
LA FEMME CANON di David Toutevoix, Albertine Zullo
LES HISTOIRES VRAIES di Lucien Monot
LES INTRANQUILLES di Magdalena Froger
PARADES di Sarah Arnold
RESISTANCE di Laurence Favre
REWIND FORWARD di Justin Stoneham
UND ALLES FÄLLT di Nadine Schwitter
VILLA VENTURA di Roman Hüben

Fuori concorso

ACTA NON VERBA di Yvann Yagchi
ANATOMIA DEL MIRACOLO di Alessandra Celesia
AZMAISH di Sabiha Sumar
CHOISIR À VINGT ANS di Villi Hermann
CONTES DE JUILLET di Guillaume Brac
FILLES DU FEU di  Stéphane Breton
GRANDEUR ET DÉCADENCE D'UN PETIT COMMERCE DE CINÉMA di Jean-Luc Godard
IBI di Andrea Segre
LE VENERABLE W. di Barbet Schroeder
NAZIDANIE di Boris Yukhananov, Aleksandr Shein
NOTHINGWOOD di Sonia Kronlund
NOUS SOMMES JEUNES ET NOS JOURS SONT LONGS di Léa Forest, Cosme Castro
PIAZZA GRANDE di Misha Györik , Michael Beltrami
PIETRA TENERA di Mertenat
PROTOTYPE di Blake Williams
SAND UND BLUT di Matthias Krepp, Angelika Spangel
THE REAGAN SHOW di Pacho Velez, Sierra Pettengill
WILLKOMMEN IN DER SCHWEIZ di Sabine Gisiger

Histoire(s) du cinéma

Pardo d'onore Manor Jean-Marie Straub
CÉZANNE, DIALOGUE AVEC JOACHIM GASQUET di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
DALLA NUBE ALLA RESISTENZA di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
KLASSENVERHÄLTNISSE di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
KOMMUNISTEN di Jean-Marie Straub
VON HEUTE AUF MORGEN di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
DER BRÄUTIGAM, DIE KOMÖDIANTIN UND DER ZUHÄLTER di Jean-Marie Straub
EN RACHÂCHANT di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
INCANTATI di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
L'AQUARIUM ET LA NATION di Jean-Marie Straub
LA GUERRE D'ALGÉRIE! di Jean-Marie Straub
Premio Raimondo Rezzonico Michel Merkt
FROST di Sarunas Bartas
MAPS TO THE STARS di David Cronenberg
STRONG ISLAND di Yance Ford
Premio Cinema Ticino Esmé Sciaroni
LA PAZZA GIOIA di Paolo Virzì
Omaggio Nastassja Kinski
CAT PEOPLE di Paul Schrader
PARIS, TEXAS di Wim Wenders
Leopard Club Award Adrien Brody
THE PIANIST di Roman Polanski
THE THIN RED LINE di Terrence Malick
DER KONGRESS DER PINGUINE di Hans-Ulrich Schlumpf
KLEINE FREIHEIT di  Hans-Ulrich Schlumpf

Retrospettiva Jacques Tourneur

ANNE OF THE INDIES di Jacques Tourneur
APPOINTMENT IN HONDURAS di Jacques Tourneur
BERLIN EXPRESS di Jacques Tourneur
CANYON PASSAGE di Jacques Tourneur
CAT PEOPLE di Jacques Tourneur
CIRCLE OF DANGER di Jacques Tourneur
DAYS OF GLORY di Jacques Tourneur
DOCTORS DON'T TELL di Jacques Tourneur
EASY LIVING di Jacques Tourneur
EXPERIMENT PERILOUS di Jacques Tourneur
FRONTIER RANGERS di Jacques Tourneur
GREAT DAY IN THE MORNING di Jacques Tourneur
LA BATTAGLIA DI MARATONA di Jacques Tourneur
LES FILLES DE LA CONCIERGE di Jacques Tourneur
NICK CARTER, MASTER DETECTIVE di Jacques Tourneur
NIGHT OF THE DEMON di Jacques Tourneur
NIGHTFALL di Jacques Tourneur
OUT OF THE PAST di Jacques Tourneur
PHANTOM RAIDERS di Jacques Tourneur
POUR ÊTRE AIMÉ di Jacques Tourneur
STARS IN MY CROWN di Jacques Tourneur
STRANGER ON HORSEBACK di Jacques Tourneur
THE COMEDY OF TERRORS di Jacques Tourneur
THE FEARMAKERS di Jacques Tourneur
THE FLAME AND THE ARROW di Jacques Tourneur
THE LEOPARD MAN di Jacques Tourneur
THEY ALL COME OUT di Jacques Tourneur
TIMBUKTU di Jacques Tourneur
TOTO di Jacques Tourneur
TOUT ÇA NE VAUT PAS L'AMOUR di Jacques Tourneur
WAR-GODS OF THE DEEP (CITY IN THE SEA) di Jacques Tourneur
WAY OF A GAUCHO di Jacques Tourneur
WICHITA di Jacques Tourneur
KILLER DOG di Jacques Tourneur
REWARD UNLIMITED di Jacques Tourneur
ROMANCE OF RADIUM di Jacques Tourneur
THE FACE BEHIND THE MASK di Jacques Tourneur
THE GRAND BOUNCE di Jacques Tourneur
THE INCREDIBLE STRANGER di Jacques Tourneur
THE KING WITHOUT A CROWN di Jacques Tourneur
THE MAGIC ALPHABET di Jacques Tourneur
THE MAN IN THE BARN di Jacques Tourneur
THE SHIP THAT DIED di Jacques Tourneur
THE TWILIGHT ZONE: NIGHT CALL di Jacques Tourneur
WHAT DO YOU THINK? di Jacques Tourneur
YANKEE DOODLE GOES TO TOWN di Jacques Tourneur
DIRECTED BY JACQUES TOURNEUR di Jacques Manlay
FILMS DE FAMILLE - JACQUES TOURNEUR di Jacques Tourneur
JACQUES TOURNEUR, LE MÉDIUM (FILMER L'INVISIBLE) di Alain Mazars

Open Doors

28 di Prasanna Jayakody
A GIRL IN THE RIVER: THE PRICE OF FORGIVENESS di Sharmeen Obaid-Chinoy
DAVENA VIHAGUN di Sanjeewa Pushpakumara
EARTH AND ASHES di Atiq Rahimi
JEEWAN HATHI di Meenu Gaur , Farjad Nabi
KHAMOSH PANI di Sabiha Sumar
MOOR di Jamshed Mahmood
NAMAI BA RAHIS GOMHOR di Roya Sadat
OSAMA di Siddiq Barmak
SULANGA ENU PINISA di Vimukthi Jayasundara

Semaine de la critique

BLOOD AMBER di Yong Chao Lee
DAS KONGO TRIBUNAL di Milo Rau
DRUŽINA di Rok Biček
FAVELA OLÍMPICA di Samuel Chalard
LAS CINÉPHILAS di María Álvarez
SEÑORITA MARIA, LA FALDA DE LA MONTAÑA di Rubén Mendoza
THE POETESS di Stefanie Brockhaus, Andreas Wolff

Panorama Suisse

A CAMPAIGN OF THEIR OWN di Lionel Rupp
AIRPORT di Michaela Müller
ALMOST THERE di Jacqueline Zünd
DAS MÄDCHEN VOM ÄNZILOCH di Alice Schmid
DIE GÖTTLICHE ORDNUNG di Petra Volpe
FINSTERES GLÜCK di Stefan Haupt
L'OPÉRA DE PARIS di Jean-Stéphane Bron
LA FUREUR DE VOIR di Manuel von Stürler
MISÉRICORDE di Fulvio Bernasconi
UNERHÖRT JENISCH di Karoline Arn, Martina Rieder

Locarno Kids

JOHAN PADAN A LA DESCOVERTA DE LE AMERICHE di Giulio Cingoli
ZOMBILLÉNIUM di Arthur de Pins, Alexis Ducord

Foto
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LOCARNO 68 - Les Êtres chers, di Anne Émond

15/8/2015

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Ci sono dolori che restano. Impressi nella mente e nel cuore. Pronti a bussare alla porta della coscienza, come feroci fantasmi mai sazi. Spettri di una malinconia che nessuna gioia può sconfiggere. Indistruttibili nemici in una battaglia destinata a proseguire per sempre, senza alcuna possibilità di definitiva redenzione. Tormenti crudeli che prima o poi rischiano di deflagrare, annullando le ultime barriere per conquistare definitivamente il trono della sofferenza.
La famiglia Leblanc subisce un duro stravolgimento nel momento in cui, all'improvviso, il padre Guy muore, apparentemente per un attacco cardiaco. La verità è però un'altra, ben più difficile da accettare. Una realtà che per tanti anni viene taciuta a David, uno dei cinque figli, il più fragile e sensibile. 
Il tempo passa, lo shock per la tragedia pare essere superato, la vita prosegue. David eredita dal padre l'attività di casa, un laboratorio artigianale di ideazione e realizzazione di marionette. A sua volta mette in piedi una nuova famiglia sposando Marie, che gli regala due figli, Laurence e Frédéric. Il giorno in cui David scopre finalmente le vere modalità della morte del padre, la sua già labile forza mentale vacilla. Altri anni passano ma l'uomo, dietro ai sorrisi di circostanza, continua a soffrire pene incolmabili, pervaso da una profonda angoscia esistenziale che non conosce soluzione. Forse soltanto seguendo le orme del padre, fino in fondo, egli potrà trovare la pace.

La sezione Cineasti del Presente si è rivelata uno dei fiori all'occhiello dell'edizione 2015 di Locarno, regalando al pubblico tante opere di notevole qualità, tanto da porsi sullo stesso livello del concorso internazionale. Oltre all'intrigante The Waiting Room e ad altre pellicole di ampio interesse come il Dom Juan di Vincent Macaigne e Le grand jeu di Nicolas Pariser, ha ottenuto evidenti e meritati consensi, tra gli altri, anche Les Êtres chers, secondo lungometraggio dell'autrice canadese Anne Émond, classe 1982.
La regista scrive e dirige un melodramma compatto, denso, struggente, solido e concreto, confermando ancora una volta l'ottimo stato di forma del cinema canadese di stampo francofono; non a caso proprio Locarno, due anni fa, fu teatro della scoperta dello splendido Gabrielle, di Louise Archambault, con cui peraltro Les Êtres chers condivide il direttore della fotografia, Mathieu Laverdière. La Émond espande la sua narrazione in un arco di tempo di oltre vent'anni, focalizzandosi su una piccola saga familiare che inizia nel 1978 e prosegue sino all'alba del nuovo millennio. Aiutata da un cast ordinato ed efficace, a partire dal bravo protagonista Maxim Gaudette, la regista pennella un nostalgico e delicato quadro in cui osserva con il giusto pudore un “male di vivere” destinato purtroppo a non spegnersi mai.
Il concetto chiave alla base della storia è l'unione familiare, decisa e incorruttibile; David, sconvolto per la morte del padre e basito nell'attimo in cui, tempo dopo, scopre la verità nascosta, trova un'unica valvola di benessere nell'atto di fondare a sua volta un nuovo nucleo a cui dedicare ogni particella della sua energia, cercando di coinvolgere i propri cari in un legame forte e indissolubile, similmente a ciò che lui aveva edificato nei confronti di genitori e fratelli. La scena in cui David lavora nel suo laboratorio di marionette, insieme alla moglie e ai figli, tutti impegnati a dare una mano, e afferma quanto sia bello e commovente essere lì, insieme, condividendo un momento e un obiettivo, è la perfetta raffigurazione con cui affermare l'importanza capitale di avere un nido intimo in cui ritrovare ogni giorno sorrisi e certezze, nonostante le saltuarie e inevitabili incomprensioni che talvolta si creano.
Nella genuina e quasi infantile felicità di David nel vedere all'opera la propria famiglia si attua al contempo una disperata richiesta di aiuto, urlata a se stesso da un uomo in bilico sulla pericolosa fune di un tedio da cui invano cerca e cercherà di sottrarsi. I sorrisi, i baci, il calore del focolare domestico, per quanto unici e meravigliosi, non sono infatti sufficienti per eliminare le tracce sanguinanti di un dolore senza nome, troppo forte per poter essere in qualsiasi modo mondato e annullato. David è una creatura inadatta a questa vita, un'anima debole ricoperta da un manto di perenne inquietudine, una foglia che cerca disperatamente di restare attaccata al proprio ramo ma rischia di volare via in qualsiasi istante. Gli resta così un'unica missione, un'unica via di parziale salvezza: donare alla moglie, alla madre e ai figli tutto l'amore di cui dispone, prima che il vento lo porti lontano.
Il film della Émond suscita emozione per come sa rappresentare la melancolia senza mai risultare invasivo. La messinscena dell'autrice canadese è sempre sussurrata, controllata, e sa far esplodere significati decisivi dalla tristezza di uno sguardo, dall'ombra nascosta in un sorriso, dotandosi inoltre di bellissimi raccordi visivi che lasciano espandere la vicenda lungo gli anni scivolando da un periodo all'altro senza che quasi ce ne si accorga. Una fluidità di manovra che abbraccia un racconto soffuso e toccante, al termine del quale resta solo una cosa da fare: guardare avanti, per “veder crescere le persone che amiamo” e onorare così la memoria di chi ci ha voluto bene.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Locarno


Scheda tecnica

Regista: Anne Émond
Interpreti: Maxim Gaudette, Mickaël Gouin, Valérie Cadieux, Karelle Tremblay
Fotografia: Mathieu Laverdière
Musiche: Martin Léon
Sceneggiatura: Anne Émond
Montaggio: Mathieu Bouchard-Malo
Anno: 2015
Durata: 102'

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LOCARNO 68 - Il palmarès: Pardo d'Oro a Hong Sang-soo

13/8/2015

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Accade molto spesso, per non dire quasi sempre, di essere totalmente o in parte in disaccordo con i premi assegnati nei festival più importanti. In questo caso però, per una volta, il discorso si ribalta completamente. Con vivissimo entusiasmo e un po' di sorpresa accogliamo infatti il verdetto della giuria internazionale di Locarno 68, capitanata da Udo Kier, che ha assegnato il massimo riconoscimento, il Pardo d'Oro, proprio al film che noi più abbiamo amato in questa edizione, ovvero lo splendido Right Now, Wrong Then di Hong Sang-soo.

Il bellissimo lavoro di Hong porta inoltre a casa il premio per il miglior attore, andato al bravo protagonista Jung Jae-Young, mentre si segnala con una certa soddisfazione anche il premio per la miglior regia, assegnato al controverso ma coraggiosissimo Andrzej Zulawski per Cosmos.

Si chiude così nel migliore dei modi un'edizione che ha offerto tantissimi spunti di ricerca, scoperta e interesse, confermando per l'ennesima volta, in modo chiaro e lampante, la posizione primaria e il ruolo indispensabile di Locarno nel panorama festivaliero europeo (e non soltanto). 

Qui sotto il palmarès completo. Cliccando sui link sopra evidenziati potete leggere le nostre recensioni dei film di Hong e Zulawski.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Locarno


Concorso internazionale

Pardo d’oro
JIGEUMEUN MATGO GEUTTAENEUN TEULLIDA (Right Now, Wrong Then) di HONG Sangsoo, Corea del Sud

Premio speciale della giuria
TIKKUN di Avishai Sivan, Israele

Pardo per la miglior regia
ANDRZEJ ZULAWSKI per COSMOS, Francia/Portogallo

Pardo per la miglior interpretazione femminile a:
TANAKA SACHIE, KIKUCHI HAZUKI, MIHARA MAIKO, KAWAMURA RIRA
per HAPPY HOUR di HAMAGUCHI Ryusuke, Giappone

Pardo per la miglior interpretazione maschile
JUNG JAE-YOUNG per JIGEUMEUN MATGO GEUTTAENEUN TEULLIDA (Right Now, Wrong Then) di HONG Sangsoo, Corea del Sud

Menzioni speciali
Per la sceneggiatura di HAPPY HOUR di HAMAGUCHI Ryusuke, Giappone
Per la fotografia di Shai Goldman per TIKKUN di Avishai Sivan, Israele


Concorso Cineasti del presente

Pardo d’oro Cineasti del presente – Premio Nescens 
THITHI di Raam Reddy, India/Stati Uniti/Canada

Premio speciale della giuria Ciné+ Cineasti del presente
DEAD SLOW AHEAD di Mauro Herce, Spagna/Francia

Premio per il miglior regista emergente
LU BIAN YE CAN (Kaili Blues) di BI Gan, Cina


First Feature

Swatch First Feature Award (Premio per la migliore opera prima) 
THITHI di Raam Reddy, India/Stati Uniti/Canada

Swatch Art Peace Hotel Award
SINA ATAEIAN DENA per MA DAR BEHESHT (Paradise), Iran/Gemania

Menzioni speciali
LU BIAN YE CAN (Kaili Blues) di BI Gan, Cina
KIEV/MOSCOW. PART 1 di Elena Khoreva, Russia/Estonia/Ukraina


Pardi di domani

Concorso internazionale

Pardino d’oro per il miglior cortometraggio internazionale – Premio SRG SSR 
MAMA di Davit Pirtskhalava, Georgia

Pardino d’argento SRG SSR per il Concorso internazionale
LA IMPRESIÓN DE UNA GUERRA di Camilo Restrepo, Francia/Colombia

Nomination di Locarno agli European Film Awards – Premio Pianifica
FILS DU LOUP di Lola Quivoron, Francia

Premio Film und Video Untertitelung 
MAMA di Davit Pirtskhalava, Georgia

Menzione speciale
NUEVA VIDA di Kiro Russo, Argentina/Bolivia


Concorso nazionale

Pardino d’oro per il miglior cortometraggio svizzero – Premio Swiss Life
LE BARRAGE di Samuel Grandchamp, Svizzera/Stati Uniti

Pardino d’argento Swiss Life per il Concorso nazionale
D’OMBRES ET D’AILES di Eleonora Marinoni, Elice Meng, Svizzera/Francia

Best Swiss Newcomer Award
LES MONTS S’EMBRASENT di Laura Morales, Svizzera

 
Prix du Public UBS

DER STAAT GEGEN FRITZ BAUER di Lars Kraume, Germania
 
Variety Piazza Grande Award

LA BELLE SAISON di Catherine Corsini, Francia

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LOCARNO 68 - Right Now, Wrong Then, di Hong Sang-soo

13/8/2015

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Un film. Anzi due. Simmetrici e speculari. La medesima storia raccontata da due prospettive diverse. Un piccolo gioco strutturale con cui mostrare come la stessa vicenda possa subire imprevedibili variazioni di significato cambiando leggermente le parole, i gesti e i comportamenti. Un'opera che riflette se stessa allo specchio, dando vita a diverse possibili opzioni di senso e svolgimento, uguali e contrarie, per affermare come nella nostra quotidianità sia sufficiente una leggera variazione di tono per creare una melodia simile ma al contempo profondamente nuova e sorprendente.

Right Now, Wrong Then, ritorno a Locarno di Hong Sang-soo due anni dopo il premio per la miglior regia ricevuto per Our Sunhi, era uno dei film più attesi tra i diciannove selezionati per il concorso ufficiale dell'edizione 2015. L'alta aspettativa non è andata delusa, tutt'altro.
La storia parte dal volto di Ham Chun-su, famoso regista che atterra nella cittadina di Suwon per tenere un dibattito alla fine della proiezione del suo nuovo film. L'autore arriva però a destinazione con un giorno d'anticipo. Per ammazzare il tempo Ham passeggia in un territorio che non conosce, annoiandosi, fino a quando per caso conosce una giovane pittrice. I due chiacchierano, sorridono, approfondiscono il loro nuovo rapporto, mangiano e bevono insieme. Lei gli mostra i suoi quadri, poi gli chiede di accompagnarla a casa di un paio di amiche con cui ha appuntamento. Tutto sembra procedere per il verso giusto, sino al momento in cui Ham confessa di essere sposato. A quel punto il cuore in subbuglio della ragazza subisce una dura delusione, a causa della quale il suo atteggiamento muta, transitando dall'attrazione al rifiuto. La vicenda cambia registro, si avvia verso una conclusione forse prevedibile... e poi rincomincia, daccapo, da zero, con gli stessi personaggi, lo stesso incipit, le stesse probabili direzioni. Ma la seconda versione di questa piccola danza di corteggiamento avrà passi e conseguenze diverse.

Hong Sang-soo prosegue nell'evidente intenzione di asciugare sempre più le peculiarità della sua poetica, lasciando spazio a una messinscena durante la quale ogni orpello stilistico è accantonato a vantaggio di una intima, genuina e umanissima rappresentazione dei sentimenti, dei sani imbarazzi, dell'importanza della parola come atto fondante di qualsivoglia relazione interpersonale. Il grande regista coreano si prende i tempi di cui ha bisogno, non accelera mai, lascia fluire il suo racconto “unico e doppio” con la dovuta calma, trovando il giusto respiro e confezionando un'opera di toccante e disarmante tenerezza. Il meccanismo da cui si dipana la sceneggiatura necessita di un certo impegno da parte dello spettatore, e alla lunga può risultare stancante. Ma l'eventuale “fatica” della visione si annulla davanti all'irresistibile grazia con la quale Hong circonda i suoi due protagonisti, i bravi Jung Yae-young e Minhee Kim, donando a entrambi una sorta di aura magica da cui fuoriesce un'empatia indiscutibile.
La piccola e struggente danza dei sentimenti messa in atto dall'autore di In Another Country, durante il quale già aveva sperimentato una sorta di moltiplicazione dell'unicità del racconto (là Isabelle Huppert interpretava tre diversi personaggi), non pretende di fornire alcuna soluzione, come ribadito dallo stesso Hong in conferenza stampa, ma lascia a ogni fruitore la possibilità di trovare il proprio senso e la propria interpretazione. Right Now, Wrong Then non offre facili risposte; preferisce limitarsi a un efficacissimo afflato descrittivo con cui il regista disegna una splendente e dolcissima cartografia dell'amore, trovando inoltre il giusto passo per inserire nel racconto momenti di sana e vivace allegria che sanno confluire alla perfezione nelle tortuosità più malinconiche. 
Il risultato è un film bello, soave, a suo modo perfino delizioso nonostante la durata forse eccessiva. Un film a cui si vuol bene sin dal primo istante. Una morbida ma concreta commedia umana che si risolve in un (doppio) finale sotto la neve, tra una sigaretta e l'altra, fuori da un cinema semi-vuoto, dove ci si scalda con i battiti del cuore, si accantonano le incomprensioni e ci si marchia indelebilmente addosso l'emozione per ciò che si è vissuto, anche se per poco. Un ricordo limpido e delicato che mai volerà via.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Locarno


Scheda tecnica

Titolo originale: Jigeumeun matgo geuttaeneun teullida
Regia: Hong Sang-soo
Attori: Jung Jae-young , Minhee Kim
Musiche: Jeong Yong-jin
Sceneggiatura: Hong Sang-soo
Montaggio: Hahm Sung-won
Anno: 2015
Durata: 121'

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LOCARNO 68 - Cosmos, di Andrzej Zulawski

11/8/2015

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La decostruzione del concetto primario di narrazione cinematografica. La glorificazione dell'arte del linguaggio. L'approdo in un mondo parallelo a sua volta grembo di altri infiniti mondi. La raschiante risata promossa a strumento con cui ritrarre la mostruosità umana. La sconquassante sciarada di una realtà in cui perfino la parola "follia" risulta antiquata e insufficiente. 
Tutto questo, e molto di più, è Cosmos, attesissimo ritorno (dopo 15 anni) di Andrzej Zulawski, presentato in anteprima mondiale a Locarno. Un film che parte da una base assai complessa, il romanzo di Witold Gombrowicz pubblicato nel 1965, traghettato sul grande schermo con il desiderio di “rispettarlo e al contempo reinventarlo”, per usare le parole pronunciate dal regista in occasione della conferenza stampa svizzera.
Qui, in un luogo senza luogo e in un tempo senza tempo, si sviluppa un racconto la cui trama risulta un orpello di difficile descrizione e di aleatoria importanza. In breve, la vicenda ruota intorno agli strani eventi che si sviluppano in una pensione di campagna nella quale per qualche giorno soggiornano come ospiti Witold, studente che non ha superato gli esami di diritto e Fuchs, giovane appena licenziatosi da una società di moda parigina. La bucolica tenuta è gestita da una bizzarra coppia di coniugi di mezza età e dalla loro affascinante figlia, sposata con un architetto. Witold si innamora della ragazza, mentre davanti ai suoi occhi accadono eventi misteriosi, con passerotti e polli impiccati e inspiegabili disegni che appaiono dal nulla sul soffitto. La ricerca del responsabile di questi inusuali accadimenti guida la messinscena.

Se si volesse in qualche modo incastonare Cosmos all'interno di un genere, lo si potrebbe forse definire una sorta di “giallo psicologico”. Ma sarebbe una forzatura, in quanto il lavoro zulawskiano rifugge qualsiasi schema e forma preconcetta, diluendosi invece in un meccanismo anarchico in cui nel mondo delle apparenze si annidano una quantità indefinita di altri universi paralleli, e dove la realtà fattuale smarrisce volutamente ogni confine logistico e filosofico.
Il poliedrico globo pulsante di Cosmos è un purgatorio terreno in cui la parola diviene divino contenitore di traiettorie oblique nelle quali ogni deviazione è permessa e ben accetta, in una ascensione linguistica che crea una nuova e sconvolgente forma di retorica. Allo stesso modo le classiche costrizioni comportamentali dei membri della società conosciuta si disperdono come polvere nel vento, lasciando strada ad atti strampalati che coinvolgono tutti i personaggi trasformandoli in danzatori dell'alienazione umorale.
Il non-luogo in cui si sviluppa la vicenda diventa così un humus fertile e godereccio in cui si impiccano passeri e gatti, si sbraita sopra e sotto i tavoli, ci si muove furtivi strisciando in una notte senza buio, si resta in momentaneo stato catatonico quando si è colti da eccessivi singulti emotivi, si citano a piè sospinto fonti letterarie che confluiscono nella tangibilità del quotidiano, si innalza sopra i cieli del benessere borghese la ferina crudeltà dell'uomo.
Il ritorno di Zulawski è un piatto in cui gli ingredienti si divorano tra loro, mischiando sapori e profumi, trovando infine un gusto mai assaggiato prima. È un frenetico ballo libertino che scatena le abilità attoriali di una splendida Sabine Azéma, di un inarrestabile Jean-François Balmer e dei promettenti Jonathan Genet e Victoria Guerra. È una sorta di teatro-cinema in cui trovano posto insulsi bastoni conservati per decenni, cameriere con un labbro sfigurato, insetti nelle cibarie, preti con sciami d'api sotto la tonaca, citazioni di Pasolini, Dante, Sartre e Chaplin, spazi chiusi di buñueliana memoria, urla sfinenti e coscienze morenti. È soprattutto, all'alba del 2015, un coraggioso e irresistibile e insopportabile atto di coraggio e sfida.

Se per un momento volessimo fare un giochino, confrontando i giudizi espressi a caldo da pubblico e addetti ai lavori dopo la proiezione locarnese, non ne verremmo a capo: si transita da “immenso” a “indecente”, da “straordinario” a “imbarazzante”. Al di là delle estremizzazioni, spesso frutto di passioni viscerali o contestazioni aprioristiche che in entrambi i casi poco hanno a che fare con l'attività critica, non si può negare come Zulawski abbia accolto su di sé un rischio enorme, scegliendo una materia già in partenza quasi infilmabile e decorandola con ulteriori scarti stilistici che ne rendono ancor più greve la fruizione. Ma va anche dato atto all'autore polacco (ormai naturalizzato francese), in passato capace di sconvolgere menti e cuori con pellicole devastanti come Diabel, Possession e Szamanka, di aver voluto gridare al cinema, ancora una volta, il proprio rifiuto a sottoporsi a qualsiasi normalizzazione, optando al contrario per un progetto che solo lui e pochissimi altri, in questi tempi di deprimente standardizzazione, avrebbero potuto affrontare.
Nelle sue catapulte lessicali, nei suoi stacchi di montaggio “sbagliati”, nei suoi doppi e tripli non-finali, nella sua stralunata bulimia, Cosmos è un viaggio ipnotico dentro uno spazio velenoso e sferzante dove si inciampa, si cade, ci si rialza, si cade di nuovo, fino a che davanti agli occhi si apre uno scenario invitante e respingente, angelico e perfido, lussurioso e laido. A ognuno di noi spetta il compito di decidere se raggiungerlo o andarsene, e se dare o meno una chance a un'opera-limite che in qualche modo, nel bene e nel male, lascerà comunque un segno.

Alessio Gradogna

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Sezione di riferimento: Festival Locarno


Scheda tecnica

Regia: Andrzej Zulawski
Attori: Sabine Azéma, Jean-François Balmer, Jonathan Genet, Johan Libéreau, Victoria Guerra, Clémentine Pons
Fotografia: André Szankowski
Musiche: Andrzej Korzynski
Montaggio: Julia Gregory
Anno: 2015
Durata: 103'

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