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HOTEL BY THE RIVER – Respiro contro respiro

6/6/2020

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Foto
​Un anziano poeta alloggia gratis in una stanza d’hotel, messa a sua disposizione dal padrone dell’albergo. Sente di essere arrivato al termine della vita, percepisce la morte imminente pur senza soffrire di alcuna malattia. Di conseguenza chiama i due figli, che non vede da tempo, e li invita a raggiungerlo, per un ultimo incontro davanti a un caffè. Nel frattempo, nello stesso hotel, una ragazza, abbandonata dal fidanzato, riceve la visita di una cara amica, pronta a confortarla per il dolore derivato dalla conclusione della relazione.

Sta tutta qui la trama di Hotel by the River, ennesimo capitolo dell’affascinante viaggio che da anni il maestro coreano Hong Sang-soo dedica all’esplorazione dei sentimenti umani. Con parsimonia e rispetto, sempre, senza rinnegare i propri schemi ma cercando al contempo di allargarne le prospettive. 
In un inverno ammantato di soffice neve, tra le pareti di un albergo situato lungo il fiume e i luoghi che lo circondano, si consuma una semplice storia, o meglio due, trame parallele che si incrociano con lievità pur toccando temi nient’affatto frivoli. La consapevolezza di un’esistenza che ormai ha esaurito la sua strada (Young-Hwan, il vecchio poeta), contrapposta a una fine che può diventare anche un nuovo inizio (la ragazza, interpretata da Kim Min-hee, musa e compagna del regista), in un gioco a incastro dolce e composto come il suono di passi sul manto nevoso, alla ricerca di una pace interiore forse in realtà già conquistata o tutta da scalare.
​
Hotel by the River, per il quale l’attore Ki Joo-bong ha vinto nel 2018 il premio come miglior attore a Locarno, è un film misurato, nei toni e nelle azioni, nella scansione temporale (la vicenda si sviluppa e conclude in poche ore) e nelle espressioni, salvo qualche scatto d’ira repressa peraltro non sufficiente a scalfire la padronanza degli affetti che ancora restano saldi nell’anima. Un’opera soave, fotografata in uno splendente bianco e nero e accompagnata da gesti di corroborante gentilezza: il momento in cui l’amica della ragazza la invita a stendersi sul letto per riposarsi un po’ e le toglie le calze; i pupazzetti che il poeta regala ai figli; la timidezza con la quale la receptionist dell’hotel chiede un autografo prima a lui e poi a uno dei figli (autore cinematografico); lo sguardo amoroso ma privo di qualsiasi intento volgare con cui il poeta loda la bellezza delle due amiche.
I toni sono candidi, ma non c’è traccia di zuccheroso autocompiacimento; non mancano anzi le stilettate, come quando il protagonista viene definito “un mostro privo di qualsiasi buona qualità” per aver abbandonato la famiglia. Eppure, anche negli attimi di durezza, Hong Sang-soo mantiene saldo l’afflato estatico e spirituale, altruista e improntato alla reciproca comprensione. Un concetto, quest’ultimo, ben esemplificato dalle reiterate e magnifiche inquadrature delle due amiche rannicchiate sul letto, dormienti o semi-dormienti a pochi centimetri tra loro, respiro contro respiro. Idillio silente, acqua limpida che fa bene al cuore, a maggior ragione in un periodo orrendo come questo, dove gli abbracci sono vietati e il termine “distanza sociale” domina la scena.
​
Hong legge con la sua stessa voce i titoli di testa e poi porta avanti il suo piano di analisi senza premura, prendendosi il tempo che desidera. Imposta simmetrie e paesaggi quasi onirici, inquadra il fiume come simbolo di transito tra la vita e la morte, si sofferma sul passaggio di un gatto e sul nido di una gazza, sottolinea riflessioni probabilmente autobiografiche relative al cinema (definendo “ambivalente” il lavoro del personaggio-regista) e constatazioni sulla difficoltà dei rapporti tra donne e uomini, poiché questi ultimi sono spesso soggetti immaturi, incapaci di capire appieno il cuore femminile. 
Infine, torna come da abitudine a dedicarsi a una convivialità fatta di cibo e (tanto) alcool, situazione già ampiamente mostrata nell'ottimo Right Now Wrong Then (Pardo d’Oro a Locarno 2015) e in On the Beach at Night Alone (2017): un’ubriacatura collettiva che peraltro non dimentica il lirismo di cui è intrisa l’intera pellicola, purtroppo inedita in Italia.
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Ogni artificio è lasciato da parte, ogni orpello stilistico è per fortuna ignorato. Zoom frequenti, ripetute panoramiche a schiaffo, campi visivi aggiustati con movimenti lievi o del tutto immobili: non serve nient’altro. L’essenza è dentro, nei sorrisi e nei piccoli inchini, nelle premure e nei versi di un poemetto d’addio. L’umanità colpisce, sbaglia, piange, si pente, si acceca, ma poi sa ritrovare la luce. Quella stessa luce fulgida emanata dal maglione caldo di Kim Min-hee, dai suoi piedi nudi sul letto, dalla sua nostalgia per un amore perduto che comunque amore resta.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Cinema dal mondo

Scheda tecnica

Titolo originale: Gangbyun Hotel
Anno: 2018
Regia: Hong Sang-soo
Sceneggiatura: Hong Sang-soo
Fotografia: Kim Hyung-ku
Montaggio: Son Yeon-ji
Attori: Ki Joo-bong, Kim Min-hee, Kwon Hae-hyo, Song Seon-mi, Yoo Joon-sang

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