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A WAR (KRIGEN) - La guerra e le sue derive morali

22/2/2016

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In corsa nella categoria Best Foreign Film agli Oscar 2016, edizione ottantottesima della celebre manifestazione a stelle e strisce, il danese A War (Krigen) è il nuovo film dell’ottimo e sempre sorprendente Tobias Lindholm. Dopo le sceneggiature di Submarino e Il Sospetto, entrambe realizzate per il connazionale Thomas Vinterberg, e la direzione del tesissimo A Hijacking, Lindholm torna alla regia di un lungometraggio; il risultato è una notevole rilettura del war movie statunitense di recente fattura, The Hurt Locker, Zero Dark Thirty e American Sniper su tutti. A War prescinde – presa di posizione forte e decisa – dal voler rappresentare lo “spettacolo” della guerra, con il fine di mettere in scena i conflitti individuali che ogni soldato porta con sé sul campo di battaglia. 
Lunghi momenti d’attesa e pochi e fulminanti sprazzi d’azione caratterizzano il film di Lindholm, un’opera che narra le vicende di un plotone danese di stanza in Afghanistan con lo scopo di preservare l’incolumità della popolazione civile. La responsabilità di tutto il reparto è sulle spalle di Claus (Pilou Asbæk), soldato tutto d’un pezzo che sta sempre vicino ai propri ragazzi ma si trova lontano, lontanissimo, da sua moglie e dai tre figli, che fanno il possibile per affrontare la vita di tutti i giorni nonostante la sua mancanza. Durante una missione che doveva essere di routine, Claus e i suoi si trovano sotto attacco e, con un uomo gravemente ferito a terra, chiamano rinforzi ottenendo un devastante attacco aereo.
Questo il punto critico che fa affondare la carriera del soldato, ma che riporta alla luce quella del padre e marito, che dovrà affrontare le conseguenze delle sue azioni davanti a un tribunale militare, per dimostrare una volta per tutte che egli aveva la piena evidenza di come Compound 6 fosse davvero un obiettivo non civile.

A War è un film diviso in due. I centoventi minuti della pellicola sono ripartiti equamente tra campo di guerra e campo processuale. Una suddivisione che crea una chiara consequenzialità tra causa ed effetto. Lindholm riesce così a rendere estremamente palese ed esplicito il fatto che le azioni militari possano avere effetti profondissimi proprio nel quotidiano; in nuce all’opera del regista danese non giace assolutamente nessuna argomentazione relativa ai crimini di guerra, quanto, e piuttosto, alle derive morali e personali che determinate scelte possono provocare.
Sul finire dello scorso anno, il Danish Film Institute ha deciso che sarebbe stato il film di Lindholm a rappresentare il cinema danese ai prossimi Oscar, scavalcando le candidature di Men and Chicken e del notevole The Look of Silence. Giudicare questa scelta, a visione conclusa, e lasciata sedimentare la pellicola nella nostra mente, appare più semplice di quanto si possa immaginare. A War è infatti un film che conferma per l’ennesima volta quanto il cinema danese e scandinavo tutto sia attento a ciò che accade oltreoceano, metabolizzando schemi e segni con lo scopo di realizzare un prodotto personale. Il film danese infatti si ispira ma tradisce il modello, annullando il possibile patto regista/spettatore, non offrendo chiarimenti e, anzi, omettendo quanto è possibile mostrare per costringerci a una negoziazione difficoltosa e incerta.
Iniziato l’iter processuale, Claus si trova a dover ripercorrere con la mente – sollecitato dal giudice e dall’avvocato dell’accusa – gli eventi che lo hanno costretto a prendere quella drammatica decisione. La memoria, non senza qualche ambiguità, lo tradisce, e noi spettatori, come lui, siamo incapaci di ricordare il punto focale della vicenda. Lindholm decide così di non ricorrere alla figura retorica chiarificatrice per eccellenza: il flashback. In questo modo la tensione verso lo scioglimento del dubbio, la sentenza finale, è un parossismo totalmente basato sulla più totale fiducia nei confronti delle verità processuali e delle testimonianze. 
La scelta di negare qualsiasi chiarificazione è, a parere di chi scrive, fondamentale per rendere A War il piccolo gioiello che è. Inoltre, la decisione di far gareggiare agli Oscar un film caratterizzato da una forma cinematografica anti-hollywoodiana potrà certamente creare qualche cortocircuito dagli esiti, si spera, inaspettati – nonostante l’ungherese Son of Saul sia l’opera da battere.
In conclusione, A War di Lindholm si presta anche a una visione e una lettura non univoca. La fruizione in sala e quella domestica saranno diametralmente opposte: la prima, basata sulla costrizione temporale immodificabile, la seconda invece con libertà allo spettatore, per quell’ “impossibile ritorno” a un punto precedente della fabula. 

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Krigen
Anno: 2015
Nazione: Danimarca
Regia: Tobias Lindholm
Sceneggiatura: Tobias Lindholm
Fotografia: Magnus Nordenhof Jønck 
Durata: 115’
Attori principali: Pilou Asbæk, Tuva Novotny, Dar Salim

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SUBMARINO – Storia di un’espiazione impossibile

23/5/2013

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Lontano dai formalismi estetici e maniacali di Lars Von Trier e dal brillante estro cinematografico di Nicolas Winding Refn, Thomas Vinterberg percorre una via del tutto personale all’interno della cinematografia danese ed europea. Nonostante la breve frequentazione del movimento Dogma 95 con Festen – Festa in famiglia, con cui si aggiudica il premio della giuria de Festival di Cannes del 1998, il regista di Copenaghen non rimane ancorato a rigidi stilemi formali cercando di evolvere, e adattare, il proprio modo di fare film a seconda del progetto. Dopo alcuni titoli in lingua inglese (It’s all about Love, Dear Wendy) e Riunione di famiglia, nel 2010 Vinterberg realizza questa preziosa opera filmica dal titolo Submarino, tratta dall’omonimo libro del giovane scrittore danese Jonas T. Bengtsson.
Il titolo ci offre una chiave di lettura chiara e inequivocabile: si riferisce a quel tipo di tortura in cui la testa del malcapitato viene immersa sott’acqua. Il film è infatti incentrato sul mostrare dei personaggi che, quotidianamente, cercano in tutti i modi, legali e non, di raggiungere la tanto agognata superficie.
Vinterberg apre l'opera con una sequenza particolarmente rilevante e poetica. Dopo aver brevemente introdotto la realtà di Nick e suo fratello, ragazzini delle scuole elementari costretti ad affrontare povertà, abusi e la dipendenza dell’alcol da parte della madre, mostra i due nell’intento di trovare al fratellino un nome adatto. Apprendiamo che il neonato rappresenta molto per Nick e suo fratello, come se lo avessero investito di un valore simbolico: è infatti la speranza di un futuro migliore; così decidono, nell’indifferenza materna, di battezzarlo come si farebbe in chiesa. Una scena poetica e metafisica, realizzata tra le algide lenzuola del letto dei ragazzi: il battesimo rappresenta il culmine della speranza, ma anche, purtroppo, l’unico momento di grande pace e felicità offerta ai due. Il neonato è infatti destinato a perire poco dopo, nel buio della notte.
Dopo un salto temporale di circa trent’anni, il regista danese mostra Nick, che ora vive nella periferia a nord-ovest di Copenaghen, e gli affianca una serie di personaggi la cui crudezza li rende tanto vividi: Sofie, la vicina di casa con cui ha dei rapporti sessuali privi d’amore; Ivan, il fratello problematico e mentalmente instabile dell’unica donna che ha amato in passato; sono persone di cui prova a prendersi cura, senza però riuscirci. Nick cerca in tutti i modi di espiare una colpa che non gli appartiene, la morte del fratellino. La sua durezza, che lo rende un personaggio ostico, non fa che nascondere un lato del tutto vulnerabile, un possibile incontro tra l’uomo rude che è e il bambino innocente che era.
Submarino mostra, attraverso una pratica cinematografica imperniata sul realismo, una serie di scontri e incontri mancati. Nick è destinato a collidere con coloro che ha intorno, un vero e proprio duello di corpi che non si cercano, derelitti metropolitani sotto il gioco della forza centrifuga della città; è però l’incontro voluto e sperato a mancare, quello col fratello. Quest'ultimo, quasi mai chiamato per nome come se fosse destinato a essere solo un’appendice della tragedia personale di Nick, è un padre eroinomane che cerca di tirare a campare e che, per cause di forza maggiore, incontra il fratello maggiore solo quando la sua vita è ormai compromessa. 
Vinterberg fa slittare questo ricongiungimento molte volte all’interno del film, piegando il tessuto narrativo e creando uno slittamento temporale destabilizzante, drammatizzando attraverso il sapiente uso del linguaggio cinematografico la tragedia di questi due fratelli.
Submarino, con la sua crudezza realistica e una direzione di assoluto valore, ci offre un Thomas Vinterberg di grande spessore, che rivisita le peculiarità registiche di inizio carriera sotto, però, il peso degli anni passati e di una maturità conquistata. Due anni separano infatti questo film da Il Sospetto, lavoro che confermerà lo status internazionale dell'autore.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica  

Titolo originale: Submarino
Regia: Thomas Vinterberg
Sceneggiatura: Jonas T. Bengtsson, Thomas Vinterberg, Tobias Lindholm
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Fotografia: Charlotte Bruus Christensen
Durata: 110’
Anno: 2010
Attori principali: Jakob Cedergren, Morten Rose, Patricia Schumann

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