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I MISTERI DEL GIARDINO DI COMPTON HOUSE - Morte nell'Arte

4/9/2013

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Immagine
Peter Greenaway, vero e proprio pittore su celluloide, è facilmente annoverabile tra i registi più interessanti del panorama contemporaneo, grazie a una serie di opere di indiscutibile bellezza artistica e rigore metodologico, tra cui possiamo citare Lo zoo di Venere, Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, I racconti del cuscino e I misteri del giardino di Compton House. Quest’ultimo – che a breve approfondiremo – è il primo film del regista inglese ad aver suscitato in egual misura i pareri favorevoli di critica e pubblico. The Draughtsman’s Contract (questo il titolo originale, che possiamo tradurre ne "Il contratto del disegnatore") è il secondo lungometraggio di Greenaway e succede a Le cadute, film che soffre ancora di una certa vena sperimentale appartenente al primo corpus di opere del regista di Newport.
I misteri del giardino di Compton House, ambientato nel 1694 in una bellissima tenuta della campagna inglese, narra le vicende di Neville che, ingaggiato dalla signora Herbert, deve eseguire dodici tele con soggetto la proprietà del marito di lei. I disegni devono essere conclusi entro due settimane, in tempo per il ritorno di quest’ultimo. Tra Neville e la signora Herbert viene stipulato un contratto che non regola esclusivamente il rapporto artistico/professionale tra i due, ma sancisce orari e modalità per una serie di incontri atti al soddisfacimento del piacere sessuale del disegnatore. Non appena il lavoro ha inizio, cominciano ad apparire particolari misteriosi nelle tele di Neville, segni che porterebbero a sospettare la morte del signor Herbert. L’artista si ritrova così involontario testimone del misfatto e, dopo aver stipulato un ulteriore contratto “intimo” con la figlia della signora Herbert, diviene ospite scomodo.
Inscritto nell’ambito pittorico, caratteristica precipua dell’opera di Greenaway, questo “thriller in dodici atti” mette in scena problematiche assai rilevanti riguardo la fruizione dell’opera d’arte. È un lavoro di cui si è parlato molto e approfonditamente dal 1982 ad oggi; in questa sede non si vuole quindi elaborare una tassonomia degli elementi caratteristici del film e del regista inglese, bensì darne una lettura che possa rinnovarne l’interesse. 
Neville, abile disegnatore, ha il compito di realizzare dodici disegni campestri che ritraggono la proprietà del signor Herbert. Solo alcuni di questi, però, possiedono un interesse che trascende le qualità artistiche: essi raccontano una storia. In questo modo Greenaway ci permette di tornare al XVII secolo e di paragonare il lavoro di Neville con uno dei quadri più rinomati di Nicolas Poussin, ovvero Paesaggio con serpente. Realizzata tra il 1648 e il 1650, la tela dell’artista francese mostra un serpente che attacca mortalmente un uomo; questa scena è vista da altri testimoni che, in preda al terrore, cercano rifugio. Neville, in maniera distratta, e Poussin, con metodo, realizzano una diegetizzazione del quadro atta a suscitare la partecipazione del fruitore, abbandonando così la pura mimesi paesaggistica. I dodici disegni dell’artista al servizio della signora Herbert nascondono infatti un puzzle mortifero e misterioso che chiama lo spettatore ad adoperarsi alla sua soluzione.
«Ecco la scena che occorre immaginare quando si decide di essere un paesaggista. È con l’aiuto di queste trovate che una scena campestre diventa tanto e ancor più interessante di un fatto storico», così si esprime Diderot, nel suo Salon de 1767, riguardo Paesaggio con serpente – e allo stesso modo si sarebbe potuto pronunciare riguardo le tele di Neville. Anche Du Bos, filosofo e storico francese caratterizzato da una ricerca incessante sulle “passioni” spettatoriali, non fa che confutare il pensiero del collega, affermando e ribadendo il suo amore per l’opera di Poussin. Possiamo ipotizzare che, se entrambi avessero potuto essere spettatori nel ventesimo secolo de I misteri del giardino di Compton House, si sarebbero trovati entusiasti testimoni di un giallo pittorico audace e affascinante, in grado di porli in balia dei loro sentimenti. Ma, soprattutto, di veder realizzati i loro ideali in campo estetico.
Tralasciando, ora, le problematiche della fruizione estetica del XVII e del XVIII secolo, il film mostra come il disegnatore Neville, forte di un contratto granitico che lo tutela e lo sollazza allo stesso tempo, non sia intelligente e scaltro come cerca di far credere. La sua cecità riguardo le chiare prove di un misfatto presenti nelle sue tele è una grave colpa; lo stesso Greenaway afferma che «il disegnatore del film è cieco […] perché vuole disegnare ciò che vede e non ciò che sa». Lo scarto tra visione e conoscenza non fa altro che privilegiare lo spettatore che vede – e lo fa perché è il suo ruolo “istituzionale” – ciò che l’artista è incapace di notare a causa del suo rapporto strumentale con il paesaggio, i soggetti e gli oggetti.
A causa della sua supponenza, tradita da una mancanza di capacità, Neville è destinato a soccombere nel gioco delle parti di questo meraviglioso thriller per immagini, in cui pittura, morte e sesso si uniscono tra le maglie delle inquadrature di Greenaway e l’accompagnamento musicale di Michael Nyman. Non un film pedante e puntiglioso sulla pittura e sul realismo storico, bensì una trama che dall’avvenuta “diegetizzazione” del pittorico corre verso lo svelamento di un enigma.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: The Draughtsman’s Contract
Anno: 1982
Regia: Peter Greenaway
Sceneggiatura: Peter Greenaway
Fotografia: Curtis Clark
Musiche: Michael Nyman
Durata: 108’
Uscita in Italia: Settembre 1982
Attori principali: Anthony Higgins, Janet Suzman, Anne-Louise Lambert

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