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IL SEGRETO DEL SUO VOLTO (PHOENIX) - La rinascita della fenice

6/1/2016

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Nelly Lenz (Nina Hoss), ebrea berlinese, fa ritorno a casa alla fine della guerra. Sopravvissuta al campo di concentramento, ma con il volto orribilmente sfigurato, si sottopone a un intervento di ricostruzione facciale in una clinica specializzata, grazie all'aiuto di Lene (Nina Kunzendorf). Quest'ultima progetta un trasferimento in Israele con l'amica, che ha ereditato un'ingente somma di denaro dato che è l'unica superstite della sua famiglia.
​Diversi però sono i piani di Nelly, a cui preme soltanto ritrovare l'amatissimo marito Johnny (Ronald Zehrfeld). Perciò insiste con il chirurgo perché possa restituirle sembianze il più possibile simili al suo autentico volto e, una volta dimessa, si aggira nei locali notturni di Berlino con la speranza di rintracciare il compagno musicista. Lene, che conosce la vera natura di Johnny, tenta di ostacolare in ogni modo la ricerca dell'amica, invano.
​Una sera Nelly entra al Phoenix, un night club nel settore americano della città, e lo vede servire ai tavoli. Anche l'uomo la nota; la avvicina e le propone di mettersi in affari. Le racconta che lei assomiglia alla defunta moglie Nelly e che, con qualche accorgimento, potrà fingere di essere la consorte deceduta per richiedere l'eredità che le spetta. Se lo stratagemma andrà secondo i piani, spartiranno a metà il denaro.
​Ancora troppo innamorata, la giovane ebrea rifiuta di credere alla cattiva fede del marito e accetta l'accordo. Riesce persino a ingannarlo, nascondendo il numero che le è stato tatuato sul braccio durante la prigionia e non svelando mai le sue doti canore (prima della guerra la donna si esibiva come cantante). Johnny le fa indossare vestiti e scarpe che appartenevano alla compagna, le tinge i capelli di castano e le insegna a comportarsi con i medesimi atteggiamenti dell'ex moglie. Così la superstite Nelly Lenz nasce un'altra volta, diventando l'alter ego di se stessa. Si sottopone a un gioco straziante, che mette in discussione tutto ciò che ha vissuto in precedenza, e porta a compimento il piano di un marito avido, che ha divorziato da lei subito dopo la sua cattura da parte dei nazisti (come le ha svelato Lene).
 
Con Il segreto del suo volto (Phoenix) il tedesco Christian Petzold affronta la pagina più lacerante della storia della Germania regalando un'opera intelligente e precisa, senza mai scadere nella banalità o nel dejà-vu. Una regia pulita segue con discrezione la palingenesi di Nelly, simbolo della rinascita di un intero popolo. Petzold però mette in evidenzia un aspetto fondamentale che accompagna qualsiasi forma di cambiamento, e lo fa attraverso la protagonista (determinata ad essere la Nelly di sempre): è inconcepibile fare tabula rasa del passato e ricominciare a vivere ex novo; non si può voltare pagina e dimenticare. Il titolo originale, Phoenix, ci ricorda infatti che l'uccello mitologico risorge dalle proprie ceneri dopo la morte. E non a tutti, purtroppo, sarà comunque possibile adattarsi alla nuova esistenza, come accadrà a Lene, che scriverà all'amica: “Cara Nelly, ti ho detto che non c'è modo di tornare indietro, ma per me non c'è neanche un modo di andare avanti. Mi sento più vicina ai nostri morti che ai nostri vivi”. 
Magnifica l'interpretazione di Nina Hoss, già vista in precedenti lavori del cineasta tedesco, che raggiunge l'apice nella drammatica scena finale, quando canta Speak Low di Kurt Weill mentre Johnny suona il pianoforte. 

Serena Casagrande

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Phoenix
Anno: 2014
Regia: Christian Petzold
Sceneggiatura: Christian Petzold, Harun Farocki
Fotografia: Hans Fromm
Durata: 98'
​Uscita italiana: febbraio 2015
Interpreti principali: Nina Hoss, Ronald Zehrfeld, Nina Kunzendorf, Michael Maertens, Imogen Kogge.

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IL MONDO SUL FILO - Il virtuale secondo Fassbinder

21/4/2013

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Cinema e realtà virtuale sono due campi che possono essere considerati molto distanti tra loro. Questi due “mondi” svolgono differenti funzioni e stringono legami relazionali peculiari con i loro fruitori. Sin dalla sua comparsa, la realtà virtuale è entrata nell'immaginario cinematografico grazie, soprattutto, a registi e sceneggiatori che hanno intravisto in essa notevoli potenzialità tematiche e stilistiche.
Il cinema, infatti, sin dagli albori del computer, e delle sue capacità di simulazione, ha cercato di inserire all'interno delle sue storie e del campo visivo questi personaggi intenti a navigare all'interno di un ambiente simulato mostrando, nel tempo, quanto questo campo si fosse sviluppato. Il Mondo sul filo (Welt am draht) di Rainer Werner Fassbinder risale al 1973 e apre questo filone che, a dire la verità, non conta un numero così vasto di opere, e che nel 1999 ha avuto un'impennata con l'uscita quasi contemporanea di tre lavori capaci di compiere un passo avanti rispetto alla precedente filmografia di riferimento: eXistenZ di David Cronenberg, Matrix dei fratelli Wachowski e Il tredicesimo piano di Josef Rusnak.
Il mondo sul filo, creato per il canale televisivo WDR, viene girato da Fassbinder in poco più di quaranta giorni tra Parigi, Monaco e Colonia, e vede la sua prima diretta televisiva il 14 ottobre 1973 (la prima parte) e il 16 ottobre (la seconda). Inspirato al libro Simulacron-3 di Daniel F. Galouye – come, per altro, Il tredicesimo piano di Rusnak – l’imponente opera del regista bavarese affronta un racconto di fantascienza, dalle chiare venature distopiche, inserendovi tutto il suo potenziale stilistico teso a esaltare il gioco dei ruoli nell’ambito del potere borghese e l’amore e i legami affettivi come possibilità di emancipazione sociale.
Dopo la misteriosa morte del proprio superiore, il direttore Vollmer, Fred Stiller, suo vice in un istituto di cibernetica in grado di generare un ambiente virtuale, inizia una propria indagine personale per chiarire come siano andate realmente le cose. Durante il suo percorso si innamora di Eva, la figlia di Vollmer, ma viene anche progressivamente allontanato e temuto dai suoi colleghi e amici. Nel susseguirsi della vicenda molti dubbi sorgono in lui, fino all’amara rivelazione: la realtà in cui crede di vivere non è altro che una simulazione a sua volta, esattamente come il progetto Simulacron a cui, lui stesso, ha dato vita.
Nonostante una trama di sicuro interesse, il merito di Fassbinder consiste nel non adagiarsi al testo narrativo o nel mettere in scena una visione spettacolare della nuove speranze tecnologiche utilizzando le immagini, e il loro potenziale, per intrattenere il pubblico. Il film del regista tedesco appare ancora oggi stimolante – a quarant’anni di distanza – proprio perché cerca una lettura profondamente personale delle problematiche legate ai diversi piani del reale, in favore di una visione tragica delle certezze di una borghesia che si credeva padrona del proprio mondo. Vollmer prima e Stiller poi sono i rappresentanti di un mondo, quello ritenuto reale, che creano un altro mondo in maniera da poter fare delle previsioni riguardo le necessità dei fabbisogni di acciaio che saranno generate da lì fino agli anni Novanta; compartecipano a creare un sotto-mondo (proletario?) che lavori in funzione del soddisfacimento dei loro interessi economici.
Il fulcro della lettura fassbinderiana si gioca tutto sulla deterritorializzazione della “potenza”, intesa sia gerarchicamente sia come piano del reale, ovvero quella modalità del reale che esiste solo in potenza di essere, che non è reale ma possibile. La società borghese di cui Stiller fa parte, infatti, è convinta di occupare la cima della gerarchia, usando il suo potere per generare altri mondi o strati sociali. La tragedia, sotto forma di agnizione progressiva, appare con tutta la sua intelligenza nel momento in cui Vollmer e Stiller comprendono che il loro mondo è anch’esso una simulazione scaturita dalle necessità di un sovra-mondo (economie internazionali?) e che, quindi, anch’essi sono soggetti al gioco forza potere/potenza di interessi economici ancora più grandi.
Così, Il mondo sul filo di Fassbinder assurge a una posizione affatto particolare nella cinematografia che tratta le tematiche virtuali, dimostrando per l’ennesima volta le capacità filmiche di un regista superbo che, conscio del mezzo e del linguaggio di riferimento, offre un discorso chiaro e intelligibile innestato all’interno di un’opera che è comunque leggibile da diversi strati del pubblico. E come consuetudine dei suoi lavori per la televisione, “il nostro” ci regala un finale lieto in cui l’amore permette a Stiller di emanciparsi dalla sua condizione, per raggiungere Eva Vollmer in ciò che lui considera il mondo vero.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Welt am Draht
Anno: 1973
Regia: Rainer Werner Fassbinder
Sceneggiatura: Fritz Müller-Scherz e Rainer Werner Fassbiner
Fotografia: Michael Ballhaus
Musiche: Gottfried Hüngsberg
Durata: 205’
Uscita in Italia: prima Tv nel settembre 1979
Attori principali: Klaus Löwitsch, Barbara Valentin, Mascha Rabben, Uli Lommel

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