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TAKE THIS WALTZ - Prestami la tua mano

30/4/2013

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Di film inediti in Italia e non ancora in calendario per un’uscita nostrana negli anni, se uno ci ripensa, se ne sono assommati a tonnellate. E il guaio è che spesso si tratta di autentiche gemme, di gioielli rari che però per varie ragioni finiscono col non vedere la luce delle sale della penisola: miopia generalizzata a vari livelli, scarsa fiducia in un certo target di prodotti e soprattutto una ancor più consolidata pigrizia da parte dei nostri distributori, vera e propria tossina che va a braccetto con la cecità non inferiore di un pubblico sempre più intorpidito, pronto a bollare inspiegabilmente come la classica commedia americana operazioni che invece sono tutt’altro. 
Take this Waltz, dell’attrice e regista canadese Sarah Polley, anno (e corrispettivo Festival di Toronto) 2011, rientra a pieno titolo nel calderone di titoli sopraccitati. Ed è anche uno dei più bei film trascurati dal nostro mercato in tempi più o meno recenti, ragion per cui ci preme e ci rallegra aver modo di sottolinearne i pregi e il valore, nella speranza di sollecitare una voglia di recuperarlo e un interesse tempestivi. 
Margot (Michelle Williams) e Lou (Seth Rogen) sono sposati da cinque anni e vivono nel quartiere di Little Portugal a Toronto. Scrittrice freelance lei, autore di libri culinari - soprattutto sul pollo - lui, prigionieri di una quasi inevitabile routine matrimoniale. Margot però incappa in Daniel, artista dal fascino maudit e dall’aria sbattuta e scarmigliata, che farà breccia nel suo sonnacchioso universo di quieta, giovane, ordinaria middle class travolgendo come un uragano la sua esistenza e le sue certezze affettive. 
Che Sarah Polley fosse una regista di raffinatissima eleganza e classe ancor più spiccata lo si era evinto già dal bellissimo Away from Her – Lontano da lei, che rinunciando a facili scorciatoie strappalacrime aveva saputo raccontare temi delicati come l’Alzheimer e lo sgretolarsi dell’identità con sorprendente e lacerante profondità. La sua mano si conferma eccellente, portatrice sana di tonalità pastello e di una finezza tanto psicologica quanto atmosferica. Ogni scena elude il rischio della gratuità e la spada di Damocle della convenzionalità con una qualità di scrittura di gran lunga sopra la media, capace di muoversi sempre in punta di piedi e mai invadente verso i suoi personaggi. Incalzante e colma d’affezione sì, ma anche molto rispettosa nei riguardi di certe caverne segrete del loro mondo interiore che allo spettatore non è dato conoscere: nei loro riguardi si moltiplica così il senso di mistero, ma anche la vicinanza e la curiosità, l’empatia e il senso di appartenenza. 
La capacità della Polley di donare credibilità alle più svariate situazioni si palesa meravigliosamente in cospicue alternanze di tempi e di toni, tanto in una scena di fortissima tensione erotica a base di odori animaleschi e dirty talking quanto in un’esilarante e buffa sequenza in piscina in cui il personaggio della Williams allontana le anziane intorno a lei con un metodo assai poco polite. Col risultato che il film cambia spesso pelle ma rimane anche uguale a se stesso, con l’abilità rara di prendere traiettorie e di fare scelte narrative antiretoriche che non avresti mai previsto ma senza per questo scuotere la propria struttura classica più del dovuto. 
La storia di una giovane donna attanagliata dalla sospensione dicotomica tra un morigerato anche se logoro affetto per il consorte e il fremito della trasgressione erotica può sembrare vecchia, ma il garbo sottile e luminoso col quale il tema è affrontato trascina di prepotenza il film dalle parti del cuore, favorendo un’irresistibile sedimentazione dell’emozione. Le scorciatoie visive sono ridotte al minimo e anche quelle presenti faticano a sapere di già visto: si noti il ralenty aeroportuale, un modello sul quale buona parte del cinema indie ha costruito le sue alterne fortune. 
La Williams dal canto suo pare fatta apposta per questi ruoli di donna fragile e in preda ai dubbi, che oscilla tra la rabbia per l’arida e tesa incomunicabilità del suo rapporto col marito e dei momenti di indiscutibile dolcezza fatti di abbracci intrecciati e danze intenerite, baci attraverso un vetro e valzer da prendere al volo, sulle note del bellissimo brano di Leonard Cohen che dà il titolo al film. 
Un’opera piccola e preziosa, Take this Waltz, di grazia minuziosa ma anche di ruvida pregnanza, proprio come la musica del geniale autore canadese, frutto innegabile del vasto sottobosco Sundance ma non per questo asservita alle derive e ai paludati limiti di un cinema indipendente o pseudo-tale sempre uguale a se stesso. Piuttosto piena di lampi, bellissimi e indimenticabili come la splendida fotografia di Luc Montpellier che rapisce raggi di sole e li muta in fendente, increspante magia: la sequenza della passeggiata sul risciò trainato proprio dallo stesso pittore amante-tentatore, il giro in giostra sulle note zuccherose e ricorrenti del classico Video killed the Radio Star e non ultimo il finale, che sa di vero e proprio raccordo di sguardo tra la regista e la sua protagonista. Uno sbandierato e sincerissimo atto conclusivo, suggello di smodata libertà tutta al femminile. 

Davide Eustachio Stanzione

Sezione di riferimento: America Oggi


Scheda tecnica

Titolo originale: Take this Walz
Regia: Sarah Polley
Sceneggiatura: Sarah Polley
Attori: Michelle Williams, Seth Rogen, Sarah Silverman, Luke Kirby
Anno: 2011
Durata: 116 min.
Fotografia: Luc Montpellier
Musica: Boxhead Ensemble
Uscita italiana: inedito

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