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ANY DAY NOW - Diritto alla felicità

23/8/2013

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America, anni ’70. Marco (Isaac Leyva) è un ragazzo con la sindrome di Down, figlio non voluto di una madre tossicodipendente che si dimentica di lui quasi fosse un ingombrante, trascurabile oggetto di cui disfarsi. Letteralmente raccolto e accudito da Rudy Donatello (Alan Cumming) e Paul Fliger (Garret Dillahut), una coppia di vicini gay, Marco trova una nuova casa e l’affetto che gli è sempre mancato, quello che ha sempre voluto, l’amore e la cura che gli sono sempre stati negati. Finché la bigotta società dell’epoca tende i tentacoli e stringe le sue maglie sul nucleo non-convenzionale, e con la crudeltà della legge fatta dagli uomini determina una inutile catena di solitudini e di eventi drammatici.
Diciamo subito che non c’è nulla di particolarmente originale nell’ultima fatica dell’attore – ora regista - Travis Fine, il cui più importante lavoro come interprete è stato nella serie tv I ragazzi della prateria, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ‘90. Come regista, al contrario, Fine se la cava piuttosto bene anche con un plot che più volte sfiora – senza mai toccarlo – il confine della retorica e del sentimentalismo. Ma indubbiamente spezza il cuore assistere all’abbruttimento della società dei perbenisti e dei moralisti, crea un senso di impotenza e desolazione restare passivi spettatori mentre si consuma la separazione di una famiglia privata della dignità di esistere, per non dire che commuove assistere alle tribolazioni di una creatura come Marco, così buona, sensibile e innocente, vittima di un destino avverso che il sistema non cerca nemmeno di correggere.
Certi film capitano al momento giusto: Any day now è forse il figlio di una campagna di sensibilizzazione ai matrimoni e alle adozioni gay di cui da molti anni si parla negli Stati Uniti e in cui favore si è speso perfino Barack Obama. La scelta di collocare la storia in un contesto storico relativamente lontano dal presente eppure abbastanza vicino da poterlo sentire come attuale è efficace e funzionale ad aggirare qualsiasi accusa di propaganda, ma l’ambientazione anni ’70 è sempre un terreno spinoso, e nemmeno in questo caso il film si sottrae a certe scelte scenografiche e di costumi che paiono vagamente artefatte, non naturali.
Any day now. Ora. Non quarant’anni fa, quando è ambientato il film, forse ispirato a una storia vera, anche se non sono riportate fonti dirette dagli autori. Ciò che è più importante, ai fini del film e delle sue intenzioni, è che la storia potrebbe accadere ogni giorno, nel silenzio delle aule di tribunale, nella connivenza di giudici indifferenti e di persone animate dal pregiudizio. Nella quotidianità di bambini cui si nega sempre e comunque il diritto alla felicità, quasi questa sia appannaggio solo di pochi, quasi ai molti sia impedito perfino avere una voce.
Per questo il film è importante. Perché è delicato e toccante, convenzionale nella struttura narrativa ma quasi intimista nel modo di ritrarre personaggi e ambienti familiari, emozioni e stati d’animo profondi e contrastanti. Politicamente corretto? Senza dubbio. I buoni sono buonissimi e i cattivi sono tutti gli altri. Any day now suona quasi come un avvertimento, un richiamo per lo spettatore di oggi che osserva un might-have-been di ieri. E deve essere anche questa la ragione per cui il film ha raccolto tanti consensi di critica, vincendo anche il premio principale al Giffoni Film Festival appena concluso. L’attenzione delicata al mondo delle giovanissime vite emarginate è stata premiata proprio al Festival che i piccoli li ospita e li vuole raccontare.
Il dramma familiare tutto costruito in tribunale ha precedenti illustri, da Kramer contro Kramer (1979) a Lontano da Isaiah (1995), fino al recente Un soffio per la felicità (2009), tanto per citare alcuni titoli. Ciò che rende Any day now un’opera autenticamente diversa dalle altre è il senso di verità e passione che pervade il film, e la splendida prova di Alan Cumming. Non occorre certo una presentazione di questo straordinario attore, che dà il meglio di sé in teatro (Cabaret, per cui ha vinto un Tony Award, L’opera da tre soldi) piuttosto che in tv, dove si ritaglia un prezioso ma limitato spazio da caratterista (The good wife).
Alan Cumming è l’anima e il cuore di Any day now, regala una performance sentita e raffinata, lontana dai luoghi comuni e dagli stereotipi, molto fisica ed emotivamente impegnativa. Senza contare il malinconico piacere di sentirlo cantare e commuoversi. La sua voce è il commento più toccante alle immagini che il regista offre della lontananza, alle facce dell’ignoranza, alle panoramiche notturne della solitudine e dell’abbandono della povera gente, degli invisibili, i “diversi”. Che un giorno o l’altro, forse, saranno liberi.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: America Oggi


Scheda tecnica

Titolo originale: Any Day Now
Anno: 2012
Regia: Travis Fine
Attori: Alan Cumming, Garret Dillahut, Isaac Leyva, Frances Fisher, Don Franklin
Sceneggiatura: Travis Fine, George Arthur Bloom
Scenografia: Elizabeth Garner
Musiche: Joey Newman
Fotografia: Rachel Morrison

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